domenica 3 settembre 2023

The Vourdalak: la recensione del film col vampiro presentato alla Settimana della Critica 2023

È la terza volta che “La famiglia del Vurdalak”, racconto scritto da Aleksej K. Tolstoj (cugino del Leone di “Guerra e pace”) 40 anni prima del “Dracula” di Bram Stocker, viene portato al cinema.
La prima volta Mario Bava ne ha tratto uno degli episodi di I tre volti della paura, e successivamente Giorgio Ferroni lo ha usato come punto di partenza per La notte dei diavoli. Ora il racconto dell’altro Tolstoj è finito nelle mani del francese Adrien Beau, che smorza leggermente i toni horror per fare della vicenda un racconto gotico che parla (anche) di ossessioni amorose.

Lo svizzero Kacey Mottet Klein interpreta un nobile francese che sta facendo ritorno a Parigi ma che, in qualche punto imprecisato dei Balcani, viene aggredito da dei banditi ed è costretto a chiedere rifugio e riparo bussando alla porta di una famiglia locale. L’atmosfera è di per sé strana, e lo diventa ancora di più quando - superato un limite massimo da lui stesso imposto - torna a casa Gorka, l’anziano capofamiglia. I figli dell’uomo, invece di respingerlo e ucciderlo come lui stesso aveva chiesto se fosse rientrato superati i sei giorni di assenza, lo accolgono, e strani eventi iniziano a accadere. Il francese, invece di darsela a gambe, rimane lì fino all’ultimo, irretito dalla bellezza selvaggia del personaggio di Ariane Labed figlia di colui che forse è diventato un wurdalak, ovvero un vampiro.

Se nell’opera di Bava il wurdalak era interpretato da Boris Karloff, e nel film di Ferroni da Bill Vanders, qui il vecchio Gorka è un burattino manovrato dallo stesso regista, che gli presta anche la voce. Una scelta radicale (e vincente), che si sposa benissimo con le immagini girate da Beau in 16mm e con il tono straniato, onirico, ma mai eccessivo e postmoderno, di questo piccolo ma affascinante oggetto cinematografico.
Un film, The Voudalak, che è capace di trasmettere alla perfezione la sensazione di ambiguità, di attrazione e repulsione, e di fuori posto e fuori luogo, che avvolge e ipnotizza il suo protagonista.

La tensione, più che tra il personaggio di Klein e quello del wurdalak, è tutta tra lui e la Zdenka interpretata da una Labed bistrata, ferina e magnetica. Una tensione solo sottilmente erotica, maggiormente connotata da un romanticismo gotico, cupo e decadente che colora tutte le vicende e le scene raccontate dal film,e. che traina inevitabilmente (e con intelligenza, anche nella sua garbata teoria femminista) verso una conclusione delle vicende ribaltata rispetto al racconto letterario.
Un piccolo tuffo, piacevole e rinfrescante, in un passato cinematografico (e non) che non va dimenticato, e troppo spesso schiacciato dalla velocità, dalle ansie visive e sonore e dall’eccesso di esplicitazione dei nostri tempi.



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