domenica 30 giugno 2019

La Disney blocca anche il remake di Alien Nation diretto da Jeff Nichols

Si tratta dell'ennesimo progetto messo in stallo dopo l'acquisizione della 20th Century Fox.

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RoboCop: Neill Blomkamp conferma che il costume del sequel sarà l'originale

Il progetto prosegue bene, come ha dichiarato il regista su Twitter, rispondendo alle domande dei fan.

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La Sirenetta: Melissa McCarthy sarà Ursula nella versione live-action del film Disney

Una scelta che appare perfetta quella della bravissima attrice, in trattative per il ruolo.

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Il cortometraggio "Anna" di Federica D'Ignoti sarà proiettato l'1 luglio al TaorminaFilmFest

Non si arresta il successo del cortometraggio della regista siciliana Federica D'Ignoti dal titolo Anna, interpretato da Valentina Lodovini e Pietro De Silva, con la fotografia di Daniele Ciprì e prodotto da Freak Factory in coproduzione con Paimon Production e Studio Tanika di Andrea Pirri Ardizzone e Redigital Studio.

Dopo essere arrivato alla selezione finale ai Nastri D'Argento nella shortlist e aver vinto numerosi premi tra i quali Afrodite Shorts, MarteLive, Prato Film Festival, VoceSpettacolo Film Festival e il Festival del Cinema Patologico, sarà proiettato lunedì 1 luglio durante il TaorminaFilmFest.

La storia del film parla di Anna, una giovane donna che per la prima volta prende forza e racconta ad uno sconosciuto il dolore provocatole da Andrea, l'amore della sua vita. La sua testimonianza sarà anche il suo riscatto, con un finale a sorpresa che lascerà il pubblico senza parole.

«Il corto racconta la vendetta di Anna che, dopo anni di silenzio, decide di svelare per la prima volta la sua storia, attraverso l'unica arma in suo possesso; la scrittura – spiega la regista - questa storia è rivolta a chi ha provato il dolore di essere tradito, ma ha deciso di continuare ad amare nonostante tutto».



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Proserpine

La scrittura della Proserpine di Silvia Colasanti, commissionata da Giorgio Ferrara per l'inaugurazione del 62. Festival dei Due Mondi di Spoleto, è umbratile e intricatissima, come una lava incandescente che scorra sotto una superficie telluricamente instabile, agitata dalla nostalgia di un 'qualcosa' che l'assenza di ogni compiacimento citazionistico induce a indovinare come reminiscenze aggiornate di Henry Purcell, di madrigali rinascimentali, addirittura di struggimenti viennesi prima della deflagrazione dodecafonica, affioranti in partitura come incisioni rupestri emergenti sotto il salnitro. La nostalgia è infatti elemento primario anche del testo, tratto da un play di Mary Shelley già di suo focalizzato sulla malinconia causata da quanto accadrà nel corso dell'opera: l'iniziale duetto madre-figlia, alla vigilia del rapimento dei dèmoni degli ìnferi, imposta infatti fin da subito il lirismo del canto (agli opposti del recitar-cantando del Minotauro, che aprì il Festival lo scorso anno, firmato sempre dalla Colasanti), sul pedale di una consapevolezza amara: la perdita, la separazione, il lutto. Ma il mito della semi-dèa, perché figlia di Giove, sottratta all'affetto di sua madre Cerere, dèa della fertilità terrestre, dal dio Plutone, maligno solo per necessità che il mito si verifichi e spieghi l'alternanza delle stagioni dell'anno, contiene anche l'invito a una serena accoglienza del fato, dell'alternanza di dolore e benessere, di buio e luce, di morte e vita, perché 'non è una sventura, ma solo un lieve cambiamento per la nostra felicità': per volere di Giove, la fanciulla vivrà d'ora in poi sei mesi insieme a Cerere sulla Terra, che beneficerà dei frutti del tepore primaverile e del sole estivo, e sei mesi nell'Erebo come sposa di Plutone, lasciando via libera ai rigori di autunno e inverno. 'Sei mesi insieme, e sei mesi vicine nei sogni', suggerisce poeticamente per bocca di Proserpina la Shelley; ed è nella dimensione sospesa e onirica del dormiveglia che sembrano prender forma la musica e il canto di questo nuovissimo lavoro di una tra i più talentuosi cesellatori del suono nel panorama musicale contemporaneo: melodie vaganti in cerca di una tonalità che a volte riescono a lambire per qualche istante, per poi subito smarrirla catturate dall'incertezza del sogno, e rituffate in un universo sonoro di fascinosa indefinitezza...

Proserpine
Musica di Silvia Colasanti
Regia di Giorgio Ferrara
Direttore d'Orchestra Pierre-André Valade
Orchestra Giovanile Italiana
Spoleto, Teatro Gian Carlo Menotti
62. Festival dei Due Mondi



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sabato 29 giugno 2019

Nastri d'Argento 2019: Il Traditore trionfa con 7 premi

Oltre a Bellocchio, Favino, Lo Cascio e Ferracane, vincono Anna Foglietta, Stefano Fresi, Paola Cortellesi, Marina Confalone.

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A hundred years ago, and less, at Cinema Ritrovato ’19

DB here:

Hundreds of films, thousands of passholders, sweltering heat (105 degrees Fahrenheit on Thursday). Dazzling tributes to Fox films, Youssef Chahine, Eduardo De Filippo, Henry King, Felix Feist, silent star Musidora, sound star Jean Gabin, and other themes. Many filmmakers from Africa, South Korea, and Europe, as well as master classes with Francis Ford Coppola and Jane Campion.

Yes, Cinema Ritrovato is on steroids this year.

And as we always say: There are so many tough, indeed impossible, choices. Kristin has been faithfully following the African series, while I’ve hopped between restored and rediscovered Hollywood classics and the films from 1919. Today I’ll report a bit on the latter, with an addendum on a major filmmaker’s ave atque vale.

 

1919 bounty

Song of the Scarlet Flower (1919). Production still.

In the end of the 1910s, the feature-length format had become well-established, and a bevy of directors in Europe and America were launching their careers. Abel Gance, Victor Sjöström, Mauritz Stiller, John Ford, Raoul Walsh, Cecil B. DeMille, Lois Weber, Charlie Chaplin, Douglas Fairbanks, William S. Hart, Mary Pickford, and many other figures had already made impressive work. 1919 brought us some outstanding titles. There was von Stroheim’s Blind Husbands, Griffith’s Broken Blossoms and True Heart Susie, Lubitsch’s Madame DuBarry, along with the lesser-known Victory of Maurice Tourneur, the first part of Sjöström’s Sons of Ingmar, and the overbearing, delirious Nerven of Robert Reinert.

Bologna showed none of these. Its massive 1919 lineup featured some classics in restorations, notably Capellani’s The Red Lantern (starring Nazimova), Dreyer’s debut The President, and Stiller’s Herr Arne’s Treasure. As a sidebar there was the 1919 Italian serial I Topi Grigi, a fun sub-Feuillade exercise in crooks and chases with some nifty shots. And there were a great many fragments and short films from that year, including a Hungarian entry by Mihály (Michael) Kertész (Curtiz).

Less known than Stiller’s official classics is The Song of the Scarlet Flower, a wonderful open-air drama about a young farmer’s wanderings and his heart-rending romances with three women. In a new digital version, it emerged as one of the most sheerly beautiful films I saw at Bologna. The central action sequence, in which the hero dares to ride a log through rapids to the very edge of a waterfall, gained even greater tension thanks to the swelling orchestral score by Armas Järnefelt–the only original score to be preserved for a Swedish silent.

 

1919, German style

Der Mädchenhirt (The Pimp, 1919). Production still.

Then there were two remarkable German films unknown to me, both by directors better known for later work. Der Mädchenhirt (The Pimp) was by Karl Grune, most famous for The Street (Die Strasse, 1923). The plot follows a shiftless young man who casually becomes a pimp and pulls women into prostitution. Introducing the film, Karl Wratschko pointed out that many Weimar films warned of sexual misbehavior, and certainly the young hero of this film gets ample punishment for his sins.

Stylistically, Der Mädchenhirt was typical of much European cinema of the late ‘teens, when the tableau style, which promoted intricate staging with few analytical cuts, was losing force. Grune mostly handles action in ensemble shots broken up by axial cuts to closer views. If German filmmakers weren’t quite as editing-prone as other European directors, that may be because they didn’t have access to American models. Not until January 1920 were Hollywood films of the war years imported into Germany.

Another film carried this moderate continuity style to an intriguing extreme. Tötet nicht mehr! (Kill No More!) framed a plea against capital punishment within a family drama. Sebald, the son of a by-the-book prosecutor, falls in love with the daughter of a former prisoner. When Sebald is cast out by his father, the couple take up a theatrical career playing Pierrot and Colombine. But then Sebald blocks the theatre director from seducing his wife, so the director blackballs them and they can’t get work in other shows. Visiting the director, Sebald quarrels with the man and kills him. He’s arrested, tried, and sentenced to death.

Tötet nicht mehr! displays some remarkable visual qualities. Cross-lighting in the climactic prison scenes sculpts Sebald, the priest, and the lawyer Landt in a bold variety of ways.

Director Lupu Pick (Sylvester, 1924) uses this dramatic lighting to enhance the tableau-plus-axial-cut approach. The police are examining the crime scene and questioning Sebald. A depth composition gives us the corpse in the lower foreground, the detectives in the middle ground, and way in the back, the barely-visible face of Sebald perched between the shoulders of the two central men.

One detective walks to the distant background to question Sebald. Anybody else would have staged this bit of action in the better-lit zone on the left, where a detective talks with his colleagues. Instead, far back, a single pencil-line of light picks out the edge of Sebald’s face and body.

An axial cut-in presents a tight two-shot of the cop and Sebald–again, made stark and tense by the lighting.

The plot of Tötet nicht mehr!  is a generational one, starting with the tragedies befalling the woman’s father. These scenes introduce the sympathetic lawyer Landt, who tries to help the family throughout its troubles. Landt becomes the vehicle of the film’s message against capital punishment, which gets full airing in the boy’s trial.

In the films of the 1910s, courtroom scenes tend to be more heavily and freely edited than others. This is largely because of the need to cut among judges, jury, witnesses testifying, lawyers pontificating, and the onlookers. Pick exploits the situation with dozens of shots of participants. We also get optical point-of-view shots showing Sebald awaiting the jury’s verdict by staring at the doorknob of the jury room. There’s even a “lying flashback,” which dramatizes the prosecutor’s inaccurate reconstruction of the quarrel that led to the crime.

Most impressive, I think, is the pictorial progression in Landt’s impassioned plea to the jury to let Sebald escape execution. Among many reaction shots and reestablishing framings, Landt is rendered in increasingly close shots as he addresses the judges and the jury–and us.

     

     

The textural lighting and the ruthless elimination of the background reminded me of the trial scene of André Antoine’s Le Coupable of 1917, run at an earlier installment of Ritrovato.

There were plenty of other 1919 films on display, several of which I have yet to see. But this should give you an indication of the service that Cinema Ritrovato continues to render to the cause of understanding film history.

 

Not so long ago

The Widows of Noirmoutier (2006).

Film history close to our time was the subject of Varda par Agnès, the filmmaker’s last statement on her career. Prepared during her final years of life and produced by her daughter Rosalie Varda, it’s a poignant and revealing account of what mattered to her in her work. It showed Varda’s wry, playful humor and her commitment to treating social issues in intimate human terms. It’s a body of cinema that grows ever more important each year.

Varda par Agnès also showed her characteristic sensitivity to overall form. It’s framed by bits of her talking to audiences in master classes, so she becomes the narrator. Some stretches are chronological, going film by film, but just as often the links are associational. The  women of Black Panthers (1968) remind her of the abortion activists of One Sings, the Other Doesn’t (1977). That’s about the friendship of two women, which suggests by contrast a film about a woman alone, Vagabond (1985). The beach of Vagabond summons up the plenitude of Le Bonheur (1965). And so on.

This might seem rambling, but it’s not. Varda explains that she often conceives her films with a strict structure–the strung-together tracking shots of Vagabond, the tight time frame and spatial coordinates of Cleo from 5 to 7 (1962). Varda par Agnès splits about halfway through, flashing back to Varda’s early still photography and adroitly linking that to her emergence as a “visual artist.”

She began mounting expositions like L’Îl et Elle, which housed cinema cabins (big transparent cubes made of ribbons of 35mm film) and Widows of Noirmoutier. Around a central image of collective grief, small screens show shows women sharing the everyday details of life without a partner. In just this clip, it’s almost unbearably touching. Apart from the resonance with Varda’s devotion to Jacques Demy, I was reminded of Chekhov’s line: “If you’re afraid of loneliness, don’t get married.”

 

We’ve been so busy with films, and queueing for films, that we’ve had little time to blog about our visit. Later entries will have to come after we’ve left Cinema Ritrovato.


Thanks as usual to the Cinema Ritrovato Directors: Ceclia Cenciarelli, Gian Luca Farinelli, Ehsan Khoshbakht, Marianne Lewinsky, and their colleagues. Special thanks to Guy Borlée, the Festival Coordinator.

The complete score for Song of the Scarlet Flower is available on CD and streaming.

For Varda’s last visit to Cinema Ritrovato, go here. We discuss Varda’s career and Kelley Conway’s in-depth study of it here. See also Kelley on Varda at Cannes. A forthcoming installment of our Criterion Channel series is devoted to Vagabond.

For more on the stylistics of 1910s films, see the category Tableau Staging. I discuss The President in the Danish Film Institute essay, “The Dreyer Generation.”

The Criterion Collection’s magnificent Bergman collection wins Best Boxed Set at the annual DVD awards, Cinema Ritrovato 2019. Congratulations to producer Abbey Lustgarten and all her colleagues!



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Toy Story 4, Tom Hanks e Tim Allen amici come Woody e Buzz

Hanks ha raccontato di come l'amicizia sullo schermo si sia riflessa nella loro.

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venerdì 28 giugno 2019

Fast and Furious 9: Jordana Brewster ritorna nel ruolo di Mia!

Ad aggiornare i fan sul ritorno dell'attrice è stato ancora Vin Diesel presentando l'attrice, "sorella sullo schermo e fuori", in un nuovo video su Instagram.

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Fast & Furious - Hobbs & Shaw: Ecco il final trailer!

Lo spin-off della celebre saga, con protagonisti Dwayne Johnson e Jason Statham, arriverà nei cinema italiani l'8 agosto prossimo.

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Charlie's Angels, versione 2019: Il primo trailer anche in italiano!

Kristen Stewart, Naomi Scott, Ella Balinska e Elizabeth Banks, protagoniste del film in uscita il 21 novembre prossimo.

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I consigli per le vacanze di Universal Horror

In questi giorni di estremo caldo in tutta Italia il pensiero di tutti corre alle vacanze

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Spider-Man Far From Home: c'è mancato poco che il nuovo Captain America facesse un cameo

Peter Parker avrebbe potuto incontrare Sam Wilson, l'ex Falcon che ha ricevuto lo scudo dal Cap.

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I 10 Film Horror più terrificanti di sempre

Da sempre in Italia l'estate è la stagione preferita del cinema di paura. Vediamo insieme alcuni irrinunciabili capolavori che vi faranno accapponare la pelle.

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Toy Story 4, al secondo giorno italiano supera i 700.000 euro d'incasso

In due giorni il cartoon Disney Pixar continua a dribblare i rischi del caldo sul mercato italiano. Come andrà il weekend?

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Anima

«Uno specchio,
una spugna,
ma sei libero
»
(Traffic)

Uno o uno tra tanti

In un vagone della metropolitana che viaggia a tutta velocità verso un altro giorno uguale al precedente, uguale al successivo, uguale a mille altri vissuti e da vivere, Thom Yorke non riesce a tenere gli occhi aperti; come lui, tanti altri, che s'affannano per tenere testa a una quotidianità algida, snaturata. Priva di anima.

Sulle note di Not the news – prima traccia estrapolata dal nuovo album da solista di Yorke, dal titolo Anima, disponibile da venerdì 27 giugno – gli occupanti del vagone iniziano ad agitarsi, mettendo in scena tutta la loro inquietudine, il loro malessere: non riescono a trovare una posizione comoda per riposare prima che il viaggio li conduca verso le fatiche di un altro giorno uguale a mille altri. Yorke incrocia lo sguardo di una donna (Dajana Roncione); poi, a corsa terminata, i viaggiatori abbandonano il vagone come morti viventi; la donna dimentica il cestino del pranzo e Yorke farà di tutto per riconsegnarglielo. Non sarà un'impresa facile, non lo é mai quando Thom Yorke ci sbatte in faccia la triste realtà.

Diretto da Paul Thomas Anderson, che già aveva collaborato con i Radiohead, dirigendo i videoclip di Daydreaming, Present tense e The numbers, dall'ultimo album della band inglese A moon shaped pool (2016), Anima é un cortometraggio di quindici minuti, disponibile su Netflix dal 27 giugno, come anteprima di lancio del quarto lavoro solista del leader dei Radiohead; nel corto, accompagnano le immagini Not the news, Traffic e Dawn chorus, estratte dall'omonimo album.

Nell'incipit di Not the news, Yorke si domanda «Chi sono queste persone?». Da questa semplice – ma mai scontata – voglia di scoprire ciò che ci circonda, il cantante esterna tutta la sua insicurezza, quella straniante sensazione di far parte di un tutto, senza discernere più la propria individualità. Un'individualità perduta che scompare nelle primissime battute di Traffic – seconda traccia utilizzata nel corto: «Sottometti, sommerso, nessun corpo...»

Poi, con un semplice gesto, seguendo un istinto primordiale e salvifico, Yorke torna a essere uno e non uno dei tanti, troppi. Raccoglie il cestino del pranzo abbandonato dalla donna e la rincorre senza sosta, senza lasciarsi intimidire dal tempo, dalla fatica, dagli altri simili a lui che annegano, che non hanno corpo: grazie a una regia minimale, Paul Thomas Anderson segue Yorke, lo conduce verso ribaltamenti di prospettiva, che affiorano caoticamente, in un marasma di corpi e muri, ostacoli verso il compimento del viaggio. Sprigiona pesantezza Anima; sprigiona impotenza fisica, uragano di forze oscure che rallentano l'uomo desideroso di tornare a essere individuo, di fuoriuscire dal «bosco ai piedi della montagna», come suggeriva lo stesso frontman dei Radiohead, descrivendo il senso di Amnesiac (2001).

La ricerca del senso coincide con il ricongiungimento con l'altra metà, con l'umano e l'umanità di cui non possiamo fare a meno. E se nella parte finale di Anima Yorke danza e riesce finalmente a entrare in contatto con la donna ritrovata, l'unica parvenza di reale in un mondo freddo e prestabilito, già pensato per non essere modificato ulteriormente, alla fine del viaggio restano i dubbi, resta l'inquietudine e la risoluzione finale appare così nichilista da condurci verso l'abbandono di ogni speranza: «Credo di aver dimenticato qualcosa, ma non sono sicuro cosa, nel bel mezzo del vortice...», canta la voce soffusa di Yorke in Dawn chorus.

Dopo il contatto, la solitudine e restare soli con se stessi. La macchina da presa di Anderson, sfiancata per la corsa, ma lucida e sempre attenta a non lasciarsi sfuggire alcunché, torna sul viso di Yorke, in un primo piano illuminato da un raggio di sole e di speranza, un invito a proseguire il viaggio verso una destinazione che, forse, non ci pare così tanto chiara, ma esiste; bisogna solo trovarla e farsi coraggio.
Ancora Dawn chorus: «Se puoi, rifallo ancora una volta». Mettiamoci l'anima. Salviamoci.

Ancora una volta Thom Yorke si aggrappa a quella visione della società contemporanea che tanto lo terrorizzava verso la fine degli anni Novanta: quella paura dell'ignoto, addolcita da uno spiffero di speranza, un impulso irrefrenabile di farsi strada verso l'aria respirabile, al di fuori della moltitudine. Ancora una volta Yorke si lascia trasportare dai dubbi ma, per quanto le sue opere appaiano struggenti e pervase da un'alone di mestizia, alla fine é impossibile non restare sedotti dai primi raggi di luce a schiarire il grigio giorno. Ancora una volta Yorke si apre all'altro, lo cerca con le mani, correndo, resistendo. Probabilmente la sua musica é così naturale e spontanea, così ammaliatrice e terrificante, perché Thom Yorke non ha paura di confrontarsi con ciò che tutti noi conosciamo e che, in qualche modo, abbiamo accolto come un'irrimediabile mutazione voluta e portata dal tempo. Un grigio divenire, dal quale riemergere solo ritrovando se stessi, al di fuori della massa.

(Anima); Regia: Paul Thomas Anderson; sceneggiatura: Thom Yorke, Paul Thomas Anderson; fotografia: Darius Khondji; montaggio: Andy Jurgensen; musica: Thom Yorke ["Not the news", "Traffic", "Dawn chorus", estratte dall'album "Anima"]; interpreti: Thom Yorke, Dajana Roncione; produzione: Erica Frauman, Sara Murphy, Xavier Roy; distribuzione: Netflix (27 giugno 2019); durata: 15'



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L'inganno perfetto: il trailer italiano ufficiale del film con Helen Mirren e Ian McKellen

I due grandi attori, insieme per la prima volta, protagonisti del film di Bill Condon che uscirà in Italia il 5 dicembre distribuito da Warner Bros.

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Atto di fede

L'amore di una madre per il figlio
* * - - - (mymonetro: 2,00)

Regia di Roxann Dawson. Con Chrissy Metz, Topher Grace, Josh Lucas, Mike Colter, Dennis Haysbert, Sam Trammell, Victor Zinck Jr., Rebecca Staab, Marcel Ruiz, Ali Skovbye, Lisa Durupt, Nancy Sorel, Nikolas Dukic, Kristen Harris, Beverly Ndukwu, Isaac Kragten, Alicia Johnston, Stephanie Czajkowski, Stephanie Sy, Scott Johnson (II), Robin Ruel.
Genere Biografico - USA, 2019. Durata 116 minuti circa.

In un giorno d'inverno del 2015, l'adolescente John Smith, figlio adottivo di Joyce e Brian, cade nelle acque di un lago di St. Louis, in Missouri, a causa dell'improvvisa rottura della superficie ghiacciata. Quindici minuti dopo viene estratto ancora in vita dai soccorritori, ma una volta giunto in ospedale non risponde ad alcun tentativo di rianimazione. A un passo dalla morte, mentre i medici stanno per arrendersi, John ritorna incredibilmente in vita: per la madre Joyce, rimasto a fianco del figlio senza smettere di pregare, si tratta di un miracolo. Ma come potrà John guarire completamente? E come Joyce potrà convincere la sua comunità che quanto avvenuto ha per lei una natura innegabilmente divina?





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Star Wars, Daisy Ridley: "Non sarò nelle nuove trilogie"

L'attrice conferma che il suo personaggio non è nei piani di Rian Johnson o della coppia Benioff-Weiss.

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Francis Ford Coppola infiamma un Cinema Ritrovato già bollente di suo

Commuove per generosità e umiltà il grande regista americano, a Bologna per presentare Apocalypse Now - Final Cut, in quella che doveva essere una masterclass e si è tramutata in una chiacchiera tra studenti.

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giovedì 27 giugno 2019

Enola Holmes: a Henry Cavill la parte del fratello Sherlock!

L'attore affianca così Millie Bobby Brown ed Helena Bonham Carter nella produzione Legendary.

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Ghostbusters 3: Paul Rudd risponde all'appello!

L'attore in un divertente video condivide il suo entusiasmo per essere entrato nel cast del film di Jason Reitman.

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Midway: ecco il trailer del film bellico di Roland Emmerich

Patrick Wilson, Luke Evans, Aaron Eckhart, Nick Jonas, Dennis Quaid e Woody Harrelson nel cast del film epico.

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Comingsoon.it si rinnova: restyling grafico e nuovi formati ad elevato impatto

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Charlie's Angels: il primo trailer del reboot con Kristen Stewart, Naomi Scott e Ella Balinska

Dirige Elizabeth Banks, che interpreta una delle incarnazioni di Bosley.

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Toy Story 4 in vetta agli incassi italiani nel primo giorno di programmazione!

Prevedibilmente, nemmeno il caldo torrido può separare i fan da Woody & Buzz...

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Edizione record per l'Olbia Film Network e il Figari Film Fest

Si è conclusa domenica 23 giugno con grande successo la nove giorni di cinema ad Olbia.

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La mia vita con John F. Donovan

Xavier Dolan è un monello borioso sprezzante e provocatorio. Xavier Dolan è un prodotto su misura per cinefili e adoratori estremisti. Xavier Dolan parla a una nicchia ego-riferita che guarda solo al suo ombelico. Xavier Dolan è un bluff, un esaltato, un mitomane, un enfant terrible, un genio ribelle. Si può dire tutto e il contrario di tutto di Xavier Dolan, tranne che non sia dotato. Il giovinotto ha compiuto trent'anni da tre mesi e all'attivo vanta una cinematografia di ben otto lungometraggi, dal primo terminato appena ventenne fino all'ultimo passato a Cannes 2019. Che il suo lavoro possa essere sopravvalutato o mistificato, a seconda del polo raggiunto, sta nella scelta da parte del regista di toccare corde sempre ed esclusivamente profonde, temi bollenti tipicamente freudiani, parlare di cose scomode di cui nessuno, o quasi, ha il coraggio di parlare. Dolan potrebbe essere il figlio illegittimo di Pasolini e Freddy Mercury: storie di riconoscimento della propria omosessualità, una ricerca di amore puro, musica a volontà su immagini splendidamente inquadrate, coloratissime, accecanti: tra videoclip e Godard, tra Hitchcock e techno, tra arte visiva e decadenza viscontiana. Se Mommy può definirsi l'inno-attacco all'istituzione materna, La mia vita con John F. Donovan potrebbe essere la versione centrifugata in lavatrice a mille giri di un dramma familiare bergmaniano. La struttura è ambiziosamente ambientata su tre piani spazio-temporali: nel presente, ambientato nel 2016, a Praga una reporter politicamente impegnata è forzata dal giornale per cui lavora ad intervistare un attore giovane che ha scritto un libro; nel passato, dieci anni prima nel 2006, un ragazzino che vive in Inghilterra scrive una lettera ad un divo di una serie horror e lui gli risponde dagli Stati Uniti; parallelamente tra New York e Los Angeles scorre la vita del divo che non dichiarando la propria omosessualità conduce una esistenza di menzogne e infelicità. Le carte sono tutte in tavola - il gioco di specchi tra un giovane uomo egocentrico incapace di amare e un undicenne senza figura maschile di riferimento, innamorato della madre da cui si sente tradito, il mondo dello spettacolo che tritura cinicamente tutti coloro che entrano a farne parte, la fiducia data e tolta per distrazione, ognuno si salva da solo - eppure il film, nelle due lunghe ore, non districa con chiarezza le sue intenzioni, emoziona a stento nelle scene più magistrali (una tra le altre: l'inseguimento sotto la pioggia londinese della madre, interpretata da Natalie Portman, del piccolo Rupert - interpretato da Ben Schnetzer - fuggito dalla campagna da solo per andare a fare un provino cinematografico), la voce fuori campo non acchiappa lo spettatore in una morsa perversa. Il gioco edulcorato non vale la caramella avvelenata dello sconosciuto. Cast stellare: il protagonista John F. Donovan è interpretato da Kit Harington, star de Il trono di spade; sua madre da Susan Sarandon, la sua agente da una cinica Kathy Bates (l'intera parte interpretata da Jessica Chastain tagliata al montaggio per ragioni narrative). Primo film hollywoodiano del birichino canadese, primo girato interamente in lingua inglese, scritto a quattro mani con lo sceneggiatore Jacob Tierney. Male accolta da critica e pubblico al Toronto Film Festival, la pellicola ha incassato nel mondo 2,6 milioni di dollari contro i trentacinque spesi di budget totale. Detto ciò, come ogni film di Dolan, resta da vedere.

(La mia vita con John F. Donovan); Regia: Xavier Dolan; sceneggiatura: Xavier Dolan, Jacob Tierney; fotografia: André Turpin; montaggio: Mathieu Denis; musica: Gabriel Yared ; interpreti: Kit Harington, Natalie Portman, Jacob Tremblay, Susan Sarandon, Kathy Bates, Ben Schnetzer, Thandie Newton; produzione: 3 Marys; distribuzione: Lucky Red; origine: Usa, 2018; durata: 123'



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Wolf Call - Minaccia in Alto Mare

Cinema francese e action movie non sono un binomio così tanto comune sul grande schermo. Wolf Call – Minaccia in Alto Mare – opera prima di Antonin Baudry, già co-autore dell'adattamento di Quai d'Orsay , di Bertrand Tavernier – ne è un esempio valido, pregevole e ben rappresentativo. Da questo weekend nelle sale italiane, il film – ambientato in epoca contemporanea – è una vera e propria battaglia navale che vede i membri dell'equipaggio di un sottomarino franco impegnati in una missione dai rischi e dalle conseguenze imprevedibili.

Il Canto del Lupo – che ha ispirato il titolo originale della pellicola – è, in gergo, il segnale acustico di un sonar mandato da un altro sommergibile che si propaga contro il proprio e, al tempo stesso, viene utilizzato in Wolf Call come simbolo di una guerra acustica e subacquea. Baudry inscena, infatti, un conflitto internazionale fittizio – causato dai mediorientali – nel quale Chanteraide – interpretato da François Civil – ha il ruolo chiave di Orecchio d'Oro: un'analista e classificatore di suoni per altri impercettibili, che ha il compito di consigliare il comandante in merito a obiettivi da colpire o possibili minacce, gestibili, unicamente, attraverso un rumore. L'ottimo sonoro – sviluppato, in post-produzione da Skywalker Sound Studios e Lucasfilm – è, quindi, parte integrante della narrazione; oltre ad essere uno degli elementi principali in grado di trasmettere appieno allo spettatore la sensazione di trovarsi sott'acqua. Il film funziona, anche e soprattutto, per una regia capace di creare angoscia, tensione e adrenalina; dando la giusta epicità a quest'avventura e mantenendo, allo stesso modo, una dimensione più intima per le vicende personali del protagonista – ripreso, molto spesso, con primi piani e dettagli degli occhi. Da menzionare, sono, poi, la fotografia di Pierre Cottereau – che contrasta il rosso accesso degli interni del sottomarino al blu cobalto dei fondali marini – e la colonna sonora di tomandandy – il cui tema principale è stato partorito dal compositore hollywoodiano Marc Streitenfeld. Il solo vero tallone d'Achille di questo debutto cinematografico è la storia d'amore tra Chanteraide e Diane – unico personaggio femminile rilevante – abbozzata e concepita superficialmente; al punto da sembrare sconnessa e, del tutto, fuori contesto rispetto al plot. Se il cast maschile – impreziosito da attori abbastanza popolari, a livello europeo, come Omar Sy, Mathieu Kassovitz e Reda Kateb – fa il suo, la talentuosa Paula Beer – che avevamo scoperto nello struggente Frantz , di François Ozon – si ritrova – ancora una volta, dopo il sopravvalutato Opera Senza Autore – a coprire il ruolo marginale, svalorizzante e poco utile – perlopiù, in lungometraggi di tal genere – della dolce e sensibile donzella della situazione.

Pur avvicinandosi allo stile americano di prodotti come Dunkirk – per citarne uno – di Christopher Nolan, Wolf Call s'ispira a ciò che Baudry ha visto e vissuto in prima persona, nella sua esperienza di diplomatico e rispetto alle sue conoscenze geopolitiche; anche se lui stesso ha ammesso di aver amato pellicole similari quali U-Boot 96 e Caccia a Ottobre Rosso . Il suo film punta molto sull'azione e la spettacolarità; ma non trascura, però, temi attualissimi come il terrorismo e la minaccia del nucleare. Come recita la citazione d'apertura di Aristotele (“Ci sono tre tipi di uomini: i vivi, i morti e coloro che vanno per mare”), il mondo acquatico che fa da sfondo alla storia non è altro che un claustrofobico limbo, costantemente e sottilmente sospeso tra la vita e la morte.

(Le Chant du Loup / The Wolf's Call); Regia: Antonin Baudry; sceneggiatura: Antonin Baudry; fotografia: Pierre Cottereau; montaggio: Nassim Gordji Tehrani, Saar Klein; musica: tomandandy, Marc Streitenfeld; interpreti: François Civil, Omar Sy, Mathieu Kassovitz, Reda Kateb, Paula Beer; produzione: Pathé, Chi-Fou-Mi Productions, Les Productions du Trésor, Jouror Productions, SofiTVciné 5, Indéfilms 6, Cofimage 29, Cofinova 14, Canal+, Ciné+, Centre National de la Cinématographie (CNC); distribuzione: Adler Entertainment; origine: Francia, 2019; durata: 115'; webinfo: Sito



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Carmen y Lola

«É un peccato provare amore?»
(Lola)

Fuga d'amore

Rappresentare l'amore e le pastoie che lo tengono prigioniero di un pezzetto di società arrugginita dal tempo e dalla mancanza di respiro ideologico. È il compito che si è prefissa la regista spagnola Arantxa Echevarria, con Carmen y Lola, dramma-romanzo di formazione adolescenziale, già presentato al festival di Cannes 2018, nella sezione parallela Quinzaine des Realisateurs, vincitore del premio Goya come “miglior opera prima” e in concorso al festival Mix di Milano.

La vicenda ha come protagoniste Carmen e Lola, due ragazze appartenenti alla comunità gipsy di Madrid, ancorata a valori estremamente conservatori e devota a una tradizione patriarcale, secondo la quale ogni ragazzo e ragazza devono essere cresciuti seguendo un codice comportamentale rigido e oltremodo limitante; Carmen (Rosy Rodriguez) è bella e seducente, prossima al fidanzamento per volere delle famiglie, preoccupate unicamente di risplendere negli ideali della comunità e perpetrare una tradizione che mai dovrà essere interrotta; Lola (Zaira Morales) ama la scuola e lo studio e sogna di diventare un'insegnate, ma è costretta dal padre analfabeta a lavorare assieme al resto della famiglia presso il mercato cittadino. Tuttavia, Lola nasconde un segreto: a lei non interessano i ragazzi, bensì le ragazze e quando conosce per caso Carmen, l'attrazione tra le due sfocia in un magnetismo irresistibile. La loro relazione, presto scoperta e resa pubblica, spingerà le due ragazze alla fuga da quel mondo a cui non appartengono e non desiderano appartenere.

Grazie a una regia fluida e concentrata sui volti, gli sguardi e i dettagli delle due protagoniste, Carmen y Lola tratteggia un intimo coming of age, operando senza fronzoli su due fronti: raccontando in primis una tenera e difficoltosa storia d'amore impossibile, destinata a divenire possibile solo con un “estremo” atto di forza; in parallelo, sfruttandolo come contesto per la messa in scena, il micromondo gitano chiuso su se stesso, secondo dettami fastidiosamente arcaici, desueti e fuori luogo, inglobati come sono in una società che interagisce in larga scala, che persegue la globalizzazione, se non commerciale – non è un elemento preminente nel film -, per lo meno ideologica.

L'amore tra Carmen e Lola è un faro nella notte, una boccata di ossigeno in una stanza chiusa e la loro fuga d'amore è una chiamata al coraggio, alla strenua difesa della propria identità e libertà. Il climax finale, incentrato nel duello tra Lola e suo padre Paco (Moreno Borja), che finisce col disconoscerla, seguito dalla fuga della giovane assieme alla sua amata, rappresenta una netta presa di posizione della Echevarria, che non propone alcuna apertura al dialogo, né altra ragionevole soluzione, se non quella dell'allontanamento forzato, unico modo per distruggere le catene dell'oppressione di un frammento di società avvilente. Ma proprio questa chiusura rappresenta un ambivalente punto di forza e debolezza della pellicola: se la fuga di Carmen e Lola conclude un preciso percorso di formazione identitaria, ciò non vale per chi resta, per chi ancora non vuol saperne di negare le radici culturali a cui appartiene; non che fosse indispensabile un secondo giudizio di valore, ma tutti i personaggi “avversari” coinvolti, a cominciare dai genitori di Lola, restano in sospeso, avviliti e incapaci di addivenire a qualsiasi approccio al cambiamento. È proprio in questo punto di vista asettico e un po' abbandonato a se stesso, che Carmen y Lola si esaurisce con un pizzico di superficialità, concentrandosi unicamente sul desiderio incontenibile di evasione delle due protagoniste.

Quello della Echevarria è un manifesto all'accettazione di sé, dolce e amaro al contempo, oltremodo accurato nella ricostruzione degli usi e costumi della comunità gipsy – uno degli aspetti più interessanti e ben confezionato della pellicola -, pensato per un pubblico giovane e non. Una pellicola apprezzabile, un'incoraggiante opera prima.

(Carmen y Lola); Regia: Arantxa Echevarría; sceneggiatura: Arantxa Echevarría; fotografia: Pilar Sánchez Díaz; montaggio: Renato Sanjuán; musica: Nina Aranda; interpreti: Zaira Morales, Rosy Rodriguez, Carolina Yuste, Moreno Borja, Rafaela Leon; produzione: Pilar Sánchez Díaz, Arantxa Echevarría ; distribuzione: EXIT MEDIA; origine: Spagna, 2018; durata: 103'



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Le Isole del cinema tornano a festeggiare il cinema in Sardegna

Un festival in quattro appuntamenti che si danno il cambio nel pieno della stagione estiva sarda.

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Helena Bonham Carter con Millie Bobby Brown in Enola Holmes

La sorella più giovane di Sherlock e Mycroft Holmes indaga nel film tratto dai romanzi di Nancy Springer.

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The Eternals della Marvel, in arrivo Salma Hayek?

L'attrice si avvicina al progetto diretto da Chloe Zhao, basato sul fumetto del 1976 di Jack Kirby.

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Addio a Billy Drago, il Frank Nitti de Gli Intoccabili

Si è spento a 73 anni il noto caratterista americano il cui ruolo più celebre, tra il centinaio che ha ricoperto, è quello nel film di Brian De Palma.

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mercoledì 26 giugno 2019

La mia vita con John F. Donovan

Un'opera intima e fragile sulla celebrità e la tossicità della gloria, sempre dalla parte del cuore
* * * - - (mymonetro: 3,00)
Consigliato: Sì
Regia di Xavier Dolan. Con Kit Harington, Natalie Portman, Jacob Tremblay, Susan Sarandon, Kathy Bates, Ben Schnetzer, Emily Hampshire, Jared Keeso, Thandie Newton, Bella Thorne, Sarah Gadon, Michael Gambon.
Genere Drammatico - USA, 2018. Durata 123 minuti circa.

Rupert Turner ha otto anni e una passione smisurata per John F. Donovan, star della televisione americana e supereroe sul grande schermo. Fan irriducibile, avvia con lui una corrispondenza regolare che nasconde a tutti, anche alla madre, giovane donna in ambasce che prova a ricostruirsi una vita. Il segreto non sfugge però al bullo della scuola, che ruba le lettere di Rupert scatenando la sua ira e la reazione sproporzionata dei media. Ma Rupert è più forte di tutto, perfino del suo idolo di cui segue le tracce diventando un attore altrettanto affermato. Una celebrità che adesso si confessa al microfono di una giornalista scettica a cui racconta la sua vita con John F. Donovan.





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Nureyev - The White Crow

Il biopic sul ballerino Rudolf Nureyev
* * * - - (mymonetro: 3,00)
Consigliato: Sì
Regia di Ralph Fiennes. Con Oleg Ivenko, Adèle Exarchopoulos, Chulpan Khamatova, Ralph Fiennes, Aleksey Morozov, Raphaël Personnaz, Olivier Rabourdin, Ravshana Kurkova, Louis Hofmann, Sergei Polunin, Zach Avery, Mar Sodupe.
Genere Biografico - Gran Bretagna, 2018. Durata 122 minuti circa.

Ballerino intrepido e fuori da ogni schema, Rudolf Nureyev cresce in tecnica e splendore. Avido di conoscenza, la tournée del 1961 a Parigi è la risposta ai suoi desideri e al bisogno di conoscere più da vicino la cultura e il balletto occidentali. Le lezioni di inglese prese in Russia gli permettono di avvicinare i ballerini dell'Opéra, di comunicare con loro e di condividere i rispettivi punti di vista sulla danza e sul mondo. Incontenibile e ribelle, Nureyev sfora gli orari della 'ricreazione' e si attira i sospetti del KGB, che lo marca stretto.





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Wolf Call - Minaccia in alto mare

Un' opera prima che omaggia i classici del genere
* * * 1/2 - (mymonetro: 3,50)

Regia di Antonin Baudry. Con François Civil, Omar Sy, Reda Kateb, Mathieu Kassovitz, Paula Beer, Etienne Guillou-Kervern.
Genere Drammatico - Francia, 2019. Durata 115 minuti circa.

Analista acustico dall'udito eccezionale, Chanteraide è piombato come il sottomarino in cui presta servizio nel mezzo di un'operazione pericolosa al largo della Siria. Lo scopo della missione è recuperare un gruppo di soldati in attesa sulla spiaggia. Ma la tensione monta e le cose si complicano per la presenza di un sottomarino nemico. A Chanteraide decifrare la minaccia e la sua posizione. Infallibile fino a quel momento, commette un errore. Scampato per un soffio alla tragedia, l'equipaggio approda a Brest, dove Chanteraide deve rispondere ai suoi superiori della défaillance. Ma una serie di eventi catastrofici, che rischiano di imbarcare l'Europa in una guerra nucleare, lo obbligano a risalire a bordo. E questa volta la missione è davvero impossibile.





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Ma

Un incubo inaspettato

Regia di Tate Taylor. Con Octavia Spencer, Juliette Lewis, Luke Evans, Missi Pyle, Allison Janney, McKaley Miller, Diana Silvers, Dominic Burgess, Corey Fogelmanis, Victor Turpin.
Genere Thriller - USA, 2019. Durata 99 minuti circa.

Sue Ann è una donna solitaria che vive in disparte in una tranquilla cittadina dell'Ohio. Un giorno, viene fermata da Maggie, un'adolescente da poco arrivata in città, che le chiede dove poter comprare degli alcolici per sé ed i suoi amici; Sue Ann intravede così la possibilità di farsi degli inconsapevoli, oltre che giovani, nuovi amici. Offre quindi ai ragazzi la possibilità di ospitarli nella sua cantina, evitando loro di bere e mettersi alla guida, a patto che seguano alcune regole della casa: Uno deve rimanere sobrio. Non vengano dette imprecazioni. Non vadano mai al piano di sopra. E nessuno la chiami "Ma". L'ospitalità di Ma si trasforma presto in ossessione, e quel che è iniziato come un sogno da adolescente degenera in un incubo: la casa di Ma dall'essere il posto migliore in città diventa il peggiore sulla terra.





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Carmen y Lola

Un intimo viaggio verso l'affermazione della propria sessualità
* * * - - (mymonetro: 3,00)
Consigliato: Sì
Regia di Arantxa Echevarria. Con Zaira Morales, Rosie Rodriguez, Carolina Yuste, Moreno Borja, Rafaela León, Antonio Heredia.
Genere Drammatico - Spagna, 2018. Durata 103 minuti circa.

Lola è una gitana che vive nella periferia di Madrid, ha un sogno: diventare un'insegnante e fuggire via da quella che considera una prigione. Lola è diversa, non vuole sposarsi, non vuole essere la donna che bada alla casa e ai figli, le piace conoscere, studiare e spera di emanciparsi da quella vita. Carmen invece sta per fidanzarsi, gitana anche lei, non ha molte aspettative dal suo futuro finché l'incontro con Lola non le cambierà per sempre la vita.





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Il progetto in motion-capture Mouse Guard è definitivamente tramontato

Ad annunciarlo su Twitter lo stesso regista Wes Ball. La Fox/Disney lo aveva bloccato qualche settimana fa a due settimane dall'inizio riprese.

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Avengers Endgame con contenuti inediti: anche nei cinema italiani, dal 4 luglio!

Non lasciatevi sfuggire l'occasione di rivedere il film campione d'incassi sul grande schermo.

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Toy Story 4: La più amata banda di giocattoli è tornata al cinema

L'ultimo capitolo della saga animata Disney Pixar è da oggi nelle sale italiane in oltre 800 copie.

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Nicole Kidman, Meryl Streep e altre star nel musical The Prom, diretto da Ryan Murphy

L'infaticabile creatore di serie tv dirigerà per Netflix l'adattamento del musical di Broadway. Nel cast anche James Corden e Ariana Grande.

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Toy Story 4: la videorecensione del film Pixar, ultimo atto della saga

Due veloci parole su un'opera solida ma forse non all'altezza della precedente.

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Diana Rigg e Terence Stamp in Last Night in Soho di Edgar Wright

I due veterani si aggiungono al cast del misterioso thriller con Ania Taylor-Joy, Matt Smith, Thomasin McKenzie e Rita Tushingham. Le riprese sono già iniziate.

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Breaking Bad - il film: Bryan Cranston e Aaron Paul dicono che si farà con un buffo indizio

Una foto postata da entrambi contemporaneamente su Twitter scherza su un ipotetico ritorno della coppia di cuochi di metanfetamine.

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martedì 25 giugno 2019

Toy Story 4

Un epilogo divertente e delicato che apre a nuove possibilità e arricchisce di femminismo la saga
* * * 1/2 - (mymonetro: 3,50)
Consigliato: Sì
Regia di John Lasseter, Josh Cooley. Con Tom Hanks, Tim Allen, Don Rickles, Annie Potts, Patricia Arquette, Joan Cusack, Kristen Schaal, Laurie Metcalf, Bonnie Hunt, Jodi Benson, Lori Alan, Angelo Maggi, Massimo Dapporto, Cinzia De Carolis, Luca Laurenti, Corrado Guzzanti.
Genere Animazione - USA, 2019. Durata 100 minuti circa.

Woody, Buzz e gli altri vivono sereni con Bonnie, anche se la bambina non ama Woody come lo amava Andy e lo lascia spesso nell'armadio. Woody però rimane ricco di premure verso di lei e, quando Bonnie affronta il primo giorno d'asilo, si infila nel suo zaino per farle compagnia. Finisce così per contribuire alla creazione di Forky, un giocattolo costruito dalla bambina con una forchetta/cucchiaio che però crede di essere spazzatura e vuole solo buttarsi via. Woody cerca di fargli capire l'importanza dell'amore di una bambina, ma non riesce a convincerlo prima che lui salti giù da un camper in corsa. Il cowboy si lancia allora in un'avventura per ritrovarlo, arrivando a conoscere nuovi giocattoli e a ritrovare la sua vecchia fiamma, Bo Peep.





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