martedì 31 dicembre 2019

Sorry We Missed You

Ken Loach denuncia precariato e povertà
* * * 1/2 - (mymonetro: 3,66)
Consigliato: Sì
Regia di Ken Loach. Con Kris Hitchen, Debbie Honeywood, Rhys Stone, Katie Proctor, Ross Brewster, Charlie Richmond.
Genere Drammatico - Gran Bretagna, Francia, Belgio, 2019. Durata 100 minuti circa.

Ricky, Abby e i loro due figli, l'undicenne Liza Jane e il liceale Sebastian, vivono a Newcastle e sono una famiglia unita. Ricky è stato occupato in diversi mestieri mentre Abby fa assistenza domiciliare a persone anziane e disabili. Nonostante lavorino duro entrambi si rendono conto che non potranno mai avere una casa di loro proprietà. Giunge allora quella che Ricky vede come l'occasione per realizzare i sogni familiari. Se Abby vende la sua auto sarà possibile acquistare un furgone che permetta a lui di diventare un trasportatore freelance con un sensibile incremento nei guadagni. Non tutto però è come sembra.





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Il tempo delle mele: 5 motivi per vedere e rivedere il film con Sophie Marceau

Uscito nel 1980 e diventato subito un cult movie, raccontava una storia in cui ogni adolescente innamorato può ancora identificarsi.

Per chi negli anni '80 sperimentava i cambiamenti della preadolescenza e alle feste dei compagni di classe ballava i lenti abbracciando goffamente tanto l'amico con gli occhiali come fondi di bottiglia quando il bello di turno lungamente sognato e desiderato, Il tempo delle mele è stato un film di culto, la tappa fondamentale di un'educazione sentimentale cinematografica in cui forse mancava una storia in cui identificarsi fino in fondo, una vicenda, insomma, nella quale i sentimenti non erano la grande passione tragica che rendeva indimenticabile Il dottor Zivago o l'amore non corrisposto di Rossella O'Hara per l'algido Ashley di Via col vento. No, nel film con Sophie Marceau c'erano amore e innamoramento, ma anche leggerezza giovanile, bugie snocciolate ai genitori, brandelli di vita quotidiana, incertezze sul "farlo" o "non farlo" e dissertazioni varie sulla pillola anticoncezionale.

Diretto da Claude Pinoteau, Il tempo delle mele ebbe un successo straordinario e portò nelle sale francesi circa 4 milioni di spettatori. Da noi lo videro in 7 milioni e quei 7 milioni c'è anche chi scrive che, vista la tenera età che aveva all'epoca, si fece accompagnare al cinema King di Roma da un padre riluttante. Ha senso oggi guardare tutto d'un fiato Il tempo delle mele? Certo che sì, innanzitutto perché, parlando dei primi palpiti del cuore, racconta una storia universale, e poi perché fa ridere, molto ridere, evitando così all'elemento romantico di prevalere sul resto spingendo il film nella direzione di uno stupido teen-movie.

Le cinque ragioni per cui Il tempo delle mele resta un film indimenticabile

Sophie Marceau

Prima de Il tempo delle mele, Sophie Marceau, allora tredicenne, non aveva mai recitato, ma il cinema le interessava, e anche molto. Lo disse durante il provino con il regista, dove si presentò, accompagnata dai genitori, in tenuta sportiva. Era minuta e aveva i capelli a caschetto con cui l'avremmo vista nel film e sembrava timida, ma quando cominciò a recitare la scena in cui Vic e Penelope vengono invitate alla festa dove la prima conoscerà Mathieu, accadde un piccolo miracolo: quella ragazzina era bravissima, sicura di sé e capace di cambiare con estrema facilità tono, sguardo e atteggiamento. Protagonista anche de Il tempo delle mele 2  per cui vinse il Premio César come miglior attrice promettente, e de Il Tempo delle mele 3, la Marceau ha resistito sia come attrice che come donna al passare del tempo. La sua filmografia è vastissima e abbraccia diversi generi (ricordiamo Braveheart e Al di là delle nuvole). Quanto al suo aspetto, bisogna ammettere che diventa sempre più bella e fascinosa, e infatti sono stati in molti a perdere la testa per lei, fra cui il collega Christopher Lambert.

La canzone Reality e la scena in cui la sentiamo per la prima volta

"Reality", che è cantata da Richard Sanderson ed è stata scritta Vladimir Cosma e Jeff Jordan appositamente per la colonna sonora del film, non è un brano musicalmente complesso e seduttivo. Non è né "Bohemian Rapsody" dei Queen"Kashmir" dei Led Zeppelin, ma quasi tutti gli abitanti del pianeta la conoscono e la sanno canticchiare. Divenne un tormentone, con quel suo ritornello "Dreams are my reality, the only kind of real fantasy" perché il furbo Mathieu ne fece uno strumento di seduzione. Avvicinandosi da dietro a Vic a una festa, dopo il loro incontro, le mise le cuffie di un walkman sulle orecchie (al tempo non c'erano né gli auricolari né le cuffie wireless) e, mentre gli altri invitati si dimenavano al ritmo di un brano veloce, la invitò a ballare un lento. "Reality", che ha raggiunto la prima posizione in classifica in 15 paesi diversi, vendendo la bellezza di quasi 10 milioni di copie, portò molto denaro sonante nelle tasche di Sanderson, che all'epoca aveva inciso un solo album e che nell'83 si presentò addirittura al Festival di Sanremo.

La bisnonna Poupette

Diciamolo chiaramente: il personaggio più simpatico de Il tempo delle mele è Poupette Valadier, l'eccentrica bisnonna di Vic. Refrattaria al matrimonio e alle convenzioni della vita borghese, voleva essere chiamata per nome e, nonostante la veneranda età, frequentava concerti, musei, ristoranti alla moda come La Coupole di Parigi e e guidava la macchina anche se in maniera a volte spericolata. Memorabile una scena in autobus con Vic e Penelope nella quale parlava senza problemi di sesso, scandalizzando una vicina di posto che si alzava e se ne andava. A interpretare il personaggio era Denise Grey, attrice dalla lunga carriera che morì a 99 anni, recitò con Marcello Mastroianni in Cin cin ed ebbe un ruolo ne Il diavolo in corpo.

Penelope e la varicella

Penelope Fontanet era la migliore amica di Vic. Era simpatica, peperina e protagonista di alcune scene indimenticabili. In una davvero spassosa, se ne stava immersa, vestita, nella vasca da bagno piena d'acqua, convinta che così avrebbe reso attillatissimi i suoi jeans. In un'altra si presentava al compleanno a casa di Vic con le bolle della varicella furbamente nascoste. Parlando della malattia tipicamente infantile, il personaggio pronunciava una delle battute più memorabili del film: "Mi sono presa la varicella, è la prima volta che mia sorella mi dà qualcosa". Penelope era interpretata da Sheila O'Connor, che abbiamo ritrovato anche ne Il tempo delle mele 2.

Parigi

Se c'è un film parigino dalla testa ai piedi, è senza dubbio Il tempo delle mele. Chi l'ha visto in originale, avrà riconosciuto l'accento e i modi di dire della tipica borghesia un po’ anticonformista e un po’ bohemienne di alcune zone della città. Uno dei posti privilegiati del film, situato nel V° arrondissement, è il Liceo Enrico V, dove si svolgono scene fondamentali. Del quartiere si vedono altri edifici simbolo come il Panthéon, L'Università Panthéon-Sorbona. Poi c'è la discoteca Main Jaune, situata nel XVII° arrondissement. Luogo di culto delle notti della capitale negli anni Ottanta, a un certo punto è precipitata nell’abbandono ed è stata occupata da un collettivo di artisti. Di recente è stata chiusa. Infine, come dimenticare Corinto, il ristorante italiano preferito dei genitori di Vic che si trovava al numero 25 di Rue du Faubourg St. Honoré? Al suo posto oggi c'è un Indiana Café.



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Star Wars: l'ascesa di Skywalker

«Rey...Rey Skywalker!»
(Rey)

Sono solo imitazioni

Ogni volta, al termine di un viaggio breve o lungo che sia, sono molte le emozioni che si accavallano dentro di noi: soddisfazione, rimpianto, felicità, tristezza…
Anche la nuova trilogia di Star Wars, la “trilogia sequel” volge a conclusione con il terzo episodio diretto da J. J. Abrams – il nono, come da numerazione. Ma stavolta, più che sentirsi orgogliosi e compiaciuti di aver accompagnato l'intrepida Rey (Daisy Ridley) e i suoi compagni di ventura, il buon Finn (John Boyega) e il guascone Poe Dameron (Oscar Isaac che, è doveroso precisarlo, non sarà mai all'altezza del suo iconico “predecessore” Han Solo/Harrsion Ford, per tutta una serie di motivi che pare quantomeno inutile star qui a elencare…) verso lo scontro finale contro l'oscuro Primo Ordine dei Sith, quel che resta è una manciata di primigena e sottocutanea insoddisfazione e nulla più. Come per un piatto all'apparenza prelibato e troppo decantato, ma alla fine insipido e scotto.

Eppure il precedente Episodio VIII – Gli ultimi Jedi si era spinto con coraggio e aveva riagguantato quell'epica vibrante con la quale George Lucas ci aveva ammaliato con la trilogia originale, riuscendo a sfruttare con una notevole convinzione degli strumenti/personaggi a disposizione, l'atto finale della vita di un redivivo Luke Skywalker, protagonista assoluto di una lunga sezione finale del film più che convincente e appassionante.

Stavolta Abrams, a cui spettava il compito di sottostare per forza di cose alle esigenze produttive di casa Disney, è stato costretto a premere il piede sull'acceleratore, perseguendo l'obiettivo ultimo di terminare il viaggio, di concludere quello che, anche in un'ottica revivalista, è cominciato ad apparire come un'epos stanco e stantìo. Questa nuova trilogia galattica ha dimostrato, con Episodio IX, di non avere più nulla da dire, rinunciando quasi interamente anche al proprio dovuto canto del cigno.

Perché no, resuscitare l'odiato e perfido Palpatine solo per giustificare la repentina dipartita del Leader Supremo Snoke, personaggio vuoto e disgregato dall'avvicendamento in cabina di regia di più autori, non in grado di elevarlo a nuovo villain di rango primario e totalizzante, non ha sortito lo sperato effetto a sorpresa a cui si mirava, finendo col destabilizzare ulteriormente una (nuova) serie già precaria per compattezza narrativa e concettuale; al contrario, il neo-rapporto di parentela tra Rey e l'oscuro Palpatine ha prodotto un effetto specularmente contrario a quello che si desiderava, fagocitando svilimento e accertando, stavolta senza alcun dubbio, ma con aspra delusione, la natura prettamente commerciale di questa nuova sequela di film legati al culto lucasiano.

Se la seconda trilogia, seppur accompagnata da molti difetti strutturali, aveva osato nel creare un contesto adibito a lungo flashback di quanto ammirato e amato nella trilogia originale, si sperava che, per lo meno, questa nuova trilogia indicasse un punto di rottura con i fantasmi del passato, accompagnando sì le nuove generazioni verso un passaggio culturale epocale – con tutti i rimandi e i collegamenti, ben accetti, con gli idoli di un tempo – ma ponendo, questo sì, le stesse di fronte a nuovi dilemmi, nuove minacce dallo spazio profondo.

Invece sono cambiati gli interpreti, ma il succo della questione è rimasto sempre lo stesso: Rey ha preso il posto del maestro Luke Skywalker, fronteggiando “la famiglia”, così come il compianto Jedi fece col padre Vader; Kylo Ren (Adam Driver, unica nota veramente lieta dell'intero carrozzone) ha semplicemente indossato i panni del leader oscuro, ricalcando le orme e il pentimento del suo “predecessore” Darth Vader, così come Poe Dameron ha provato – inutilmente e in modo alquanto stucchevole – a fare il verso al travolgente Solo/Ford, in un vortice inesauribile di accadimenti e intrecci già sbrogliati, assimilati e ora riproposti con la leggerezza e la noncuranza di un bugiardo che si finge sincero solo per catturare l'attenzione di chi ascolta.

Una totale incapacità di approfondire la storia, percepita già dalla banalità di dialoghi slavati, che hanno contribuito costantemente alla cancellazione di ogni tentativo di divertire lo spettatore; così come la montante consapevolezza di essere degustatori di una minestra riscaldata più volte, abbia disintegrato ogni speranza di lasciarsi travolgere da un rinnovato senso di stupore.

Tutto già visto, tutto già vissuto. Se non per quell'unico barlume di luce, quella briciola di speranza a cui Abrams e compagnia avrebbero dovuto aggrapparsi con tutte le loro forze: quel finale radioso, quella presa di coscienza da parte della vittoriosa Rey, che si fregia del nome di Skywalker e lo fa suo. Un'epilogo splendido nella sua brevità, di gran lunga più profondo e sincero rispetto a tutti gli isterici e inutili merletti intessuti nelle due e più ore precedenti. Un'epilogo che non basta, certo, a salvare un clamoroso buco nell'acqua.

Al termine di questo viaggio la delusione accumulata è forse troppa da digerire. Ma, come ci ha insegnato la principessa Leia – e quel gioiello inscalfibile che fu A Star Wars Story: Rogue One – c'è sempre spazio e tempo per una nuova speranza…

(Star Wars: The rise of Skywalker); Regia: J. J. Abrams; sceneggiatura: J. J. Abrams, Chris Terrio; fotografia: Daniel Mindel; montaggio: Maryann Brandon, Stefan Grube; musica: John Williams; interpreti: Carrie Fisher, Mark Hamill, Adam Driver, Daisy Ridley, John Boyega, Oscar Isaac, Anthony Daniels, Naomi Ackie, Domhnall Gleeson, Richard E. Grant, Lupita Nyong'o, Keri Russell, Joonas Suotamo, Kelly Marie Tran, Ian McDiarmid, Billy Dee Williams; produzione: Lucasfilm, Bad Robot Productions; distribuzione: Walt Disney Studios Motion Pictures; origine: U.S.A., 2019; durata: 142'



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Tolo Tolo, Checco Zalone visto da un barese... in incognito


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È morto Syd Mead, concept artist di Blade Runner e Tron


Il designer americano aveva 86 anni e a lui dobbiamo anche il mitico robot n.5 di Corto circuito.

E’ morto, all’età di 86 anni, dopo aver combattuto per 3 anni con un brutto male, Syd Mead, il concept artist senza il quale Blade Runner non sarebbe stato Blade Runner. La notizia arriva dal suo compagno di vita e di affari Roger Servick, rammaricato per la perdita di un genio del disegno che amava definirsi “futurista visivo”.

Nato nel 1933 a San Paul, in Minnesota, Mead crebbe in diverse città e si diplomò in un liceo di Colorado Springs. Dopo aver fatto il servizio militare, frequentò l'Art Center School di Los Angeles, da cui uscì, laureato, nel 1959. Fu quindi assunto dalla Ford di Detroit, dove rimase per due anni lavorando come designer, per poi diventare illustratore di libri e cataloghi per diverse società.

Nel 1970 Syd Mead creò la sua compagnia di design, la Syd Mead Inc., lavorando per clienti notevolmente prestigiosi come la Philips, la Sony e la Honda. Genio della matita fin da bambino (sembra che a 8 anni sapesse già disegnare il corpo umano come un illustratore di un libro di anatomia), diede un apporto fondamentale al cinema, immaginando e disegnando universi che difficilmente dimenticheremo. Cominciò nel 1979 con Star Trek per poi dedicarsi a Blade Runner (suo è, per esempio, lo Spinner), Tron, 2010 - L'anno del contatto, Corto circuito (per cui inventò, fra le altre cose, il robot n. 5), Aliens - Scontro finale, Timecop, Johnny MnemonicMission: Impossible III.

Di recente Mead aveva collaborato con Denis Villeneuve per Blade Runner 2049, creando ambientazioni da lasciare senza fiato, e prima con Neill Blomkamp per Elysium.

La carriera lavorativa di Syd Mead, che mise il proprio talento a disposizione degli anime Turn a Gundam e Yamato 2520, è stata raccontata nel documentario di Joaquin Montalvan Visual Futurist: The Art & Life of Syd Mead.



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Playmobil the Movie, il regista Lino DiSalvo: "Tenere stretta la famiglia ti porta gioia"


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Boxoffice 2019: il rapporto Cinetel fotografa la situazione


Come sarà andata rispetto ai due anni precedenti? Quali sono stati i film più soddisfacenti?

Felici e confortanti notizie dall'ultimo rapporto Cinetel, che rileva il boxoffice in Italia e ha decretato il 2019 che volge al termine come l'anno migliore dell'ultimo triennio. Nel 2019 sono stati staccati 97 milioni di biglietti per un introito complessivo di oltre 630 milioni di euro, con un incremento quindi del 14% degli incassi rispetto al 2018 (e del 13% in più delle presenze).
Nello specifico delle produzioni e coproduzioni italiane, si parla di 130 milioni di euro per più di 20 milioni di presenze, con una quota sul totale del 21% circa, in termini assoluti migliore di quello del 2018. I dati precisi e definitivi saranno resi pubblici in una conferenza stampa in sala Anica a Roma (viale Regina Margherita 286), mercoledì 15 Gennaio 2020.

Moviement migliora gli incassi italiani nel 2019

Giusto pensare ai grandi esiti di corazzate come Il re leone (37.500.000 euro), Avengers Endgame (30.200.000) e Joker (29.300.000), ma i rappresentanti di ANICA e ANEC sottolineano l'altrettanto positivo esito dell'esperimento Moviement, di cui già vi demmo notizia: l'idea era quella di riavviare il mercato cinematografico italiano nei mesi estivi, notoriamente una spina nel fianco per il nostro sistema. Ha funzionato oltre le aspettative, come dimostrano gli incassi dei film di richiamo piazzati tra fine giugno e metà agosto: grazie a Toy Story 4, Annabelle 3, Spider-Man Far From Home, Men In Black: International, Hobbs & Shaw, Crawl, Il re leone e Il signor diavolo si parla di 138 milioni, superando la previsione dei 100. Era dal 2011 che un'estate non registrava un tale numero di presenze.



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I 10 film più sopravvalutati del decennio secondo Variety

Il critico Owen Gleiberman non risparmia nessuno: né Christopher Nolan, né Paul Thomas Anderson, né Sam Mendes.

La notissima testata giornalistica Variety, da sempre fra le nostre fonti privilegiate, ha stilato una classifica dei film più sopravvalutati del decennio che sta per concludersi. Fra i titoli selezionati dal critico Owen Gleiberman - che all'inizio dell’articolo ci tiene a precisare che i gusti son gusti - ce ne sono alcuni che la redazione di comingsoon.it ha molto amato e che secondo noi hanno avuto il plauso che meritavano. Poco male. È comunque interessante capire le motivazioni del giornalista, che tira in ballo Sam Mendes, Paul Thomas Anderson e Christopher Nolan, e se la prende con il sequel di Magic Mike e con un orsetto di pelouche che deve il nome da una nota stazione ferroviaria di Londra.

La top ten di Variety dei film più sopravvalutati del decennio

  1. The Master di Paul Thomas Anderson
  2. Paddington 2 di Paul King
  3. L'atto di uccidere di Joshua Oppenheimer e Christine Cynn
  4. Skyfall di Sam Mendes
  5. Under the Skin di Jonathan Glazer
  6. Magic Mike XXL di Gregory Jacobs
  7. Ad Astra di James Gray
  8. Support The Girls di Andrew Bujalski
  9. Inception di Christopher Nolan
  10. Margaret di Kenneth Lonergan

The Master di Paul Thomas Anderson

All'esimio signor Gleiberman potremmo rispondere a questa sua scelta con contestazioni di ogni sorta, ma siccome è di lui che parliamo, atteniamoci al suo pensiero. Il nostro riflette sul fatto che PTA è considerato dall'intero globo terracqueo, in particolare dai critici, il filmmaker che non sbaglia mai. Per Owen Gleiberman, che ha amato tantissimo Boogie Nights e Magnolia, il regista ha invece perso lo swing abbastanza presto, precipitando sempre di più nell'abisso delle storie con protagonisti uomini monomaniacali e non completamente sani di mente. Per lui The Master ha un buon inizio ma poi si ingarbuglia, prendendo addirittura in giro lo spettatore.

Paddington 2 di Paul King

Gleiberman non si capacita del favore di cui ha goduto il sequel di Paddington, amatissimo anche dalla critica. Per lui si tratta semplicemente di un film "carino" di una slapstick comedy neppure troppo raffinata da un punto di vista tecnico. Andando al cinema dopo aver letto ottime recensioni, si aspettava un nuovo Staurt Little. Si è trovato invece di fronte un mediocre prodotto commerciale.

L'arte di uccidere di Joshua Hoppenheimer e Christine Cynn

Questo documentario, che porta la firma anche di un regista indonesiano anonimo, racconta la purga anticomunista avvenuta in Indonesia tra il 1965 e il 1966 che portò alla morte di un milione di persone. La tragedia è narrata dal punto di vista di due gangster che oggi sono rispettabili componenti di organizzazioni paramilitari indonesiane. Gleiberman trova le loro testimonianze agghiaccianti ma abbastanza inutili, visto che descrivono il loro infame operato senza però spiegare cosa li abbia davvero spinti a fare del male.

Skyfall di Sam Mendes

Il critico di Variety non sente ragioni: per lui il miglior film con Daniel Craig nei panni di James Bond è Casino Royale. Gli altri… li butterebbe dalla finestra. Nonostante riconosca indiscusse doti registiche a Sam Mendes (e vorrei vedere…), Gleiberman sembra non aver amato la trasformazione  (o meglio l'umanizzazione) della spia con licenza di uccidere e l'insistenza sulla sua vulnerabilità. Nemmeno Javier Bardem nei panni del cattivo lo ha convinto più di tanto. Nel suo personaggio ha infatti riscontrato un che di caricaturale. Però, dear Owen, leggi la nostra recensione di Skyfall, magari cambi idea.

Under the Skin di Jonathan Glazer

"Questa angosciante ma inutile parabola poetica di una itinerante femme fatale fantascientifica sarebbe stata perfetta se fosse durata un'ora" - scrive Leiberman a proposito del film con Scarlett Johansson in versione aliena che, a contatto con un corpo vero, acquista via via un'anima sempre più umana. Il critico se la prende con le atmosfere rarefatte e con quanti hanno giudicato il secondo lungometraggio di Glazer una meraviglia visiva, un film d'arte, per così dire.

Magic Mike XXL di Gregory Jacobson

In Italia, il sequel del bellissimo Magic Mike di Steven Soderbergh non è stato affatto sopravvalutato, anzi… Gleiberman ci informa che oltreoceano alcuni lo hanno ritenuto quasi un capolavoro. Se nel primo film Channing Tatum diventava una specie di nuovo Tony Manero, qui il suo personaggio viene giudicato inconsistente. Il giornalista di Variety bolla lui e i suoi compari spogliarellisti come stalloni dal sospensorio di pelle assurti al rango di santi, oltre che come portatori occasionali di autostima.

Ad Astra di James Gray

Per Owen Gleiberman James Gray è un regista sopravvalutato tanto quanto Paul Thomas Anderson. Ha talento da vendere, non c'è dubbio, ma i suoi film prendono sempre in prestito qualcosa dai capolavori dei meravigliosi anni '70. Per il nostro Ad Astra è "2001: Odissea nello spazio che incontra Apocalypse Now". Il film, insomma, è "vedibile", ma indiscutibilmente mediocre.

Support The Girls di Andrew Bujalski

Sappiamo poco di questo film, che narra della proprietaria di un ristorante tutto al femminile lungo un'autostrada che contagia con il suo inguaribile ottimismo le sue ragazze, se non che la performance di Regina Hall è stata notevolmente applaudita. L'attrice ha vinto il New York Film Critics Circle Award, riconoscimento che Gleiberman non mette in discussione, anche se afferma che Support The Girls sembra una sitcom degli anni '80 con uno stile e una regia talmente dimessi da non far emergere nemmeno la solidarietà fra donne che poi è il tema del film.

Inception di Christopher Nolan

Mamma mia cosa ci tocca leggere! Nemmeno Inception viene lasciato in pace dal feroce Gleiberman! Il bellissimo film di Christopher Nolan, giustamente osannato, viene giudicato incomprensibile, insomma pieno di incongruenze narrative, soprattutto quando, all'interno di un sogno, comincia un altro sogno in cui inizia un terzo sogno e il tempo scorre in maniera diversa in ognuna delle fantasticherie. E la trottola? Cassata pure quella!

Margareth di Kenneth Lonergan

Chiude la top il film drammatico con Anna Paquin Margaret, storia di una ragazza che causa involontariamente un incidente. Diretto da Kenneth Lonergan, originariamente durava 3 ore e il regista proprio non ne voleva sapere di tagliarlo, ma poi ha ceduto e mezz'ora è stata tolta. Della versione extended cut Owen Gleiberman si limita a dire che è troppo lunga, giudicando male coloro che hanno beatificato il regista gridando la capolavoro perduto o violato.



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lunedì 30 dicembre 2019

Val Kilmer compie 60 anni: i ruoli memorabili, la malattia, la perdita della voce e il ritorno in Top Gun Maverick

Nato a Los Angeles il 31 dicembre 1959, l'attore ha recentemente combattutto contro un cancro alla gola.

Il tempo vola. Forse non tanto da superare il muro del suono come i jet di Top Gun: Maverick, ma abbastanza da far compiere a Val Kilmer i suoi primi 60 anni il 31 dicembre 2019.
Anche se non lo si vede nei due trailer, l'attore è nel sequel del film con Tom Cruise in quella che probabilmente sarà una piccola parte. È pur sempre di Iceman che stiamo parlando, il ruolo più iconico della filmografia di Val Kilmer.

Ruoli memorabili

Non siete d'accordo su Iceman di Top Gun (1986)? È stata quella di Jim Morrison nel film The Doors (1991) di Oliver Stone la sua più grande prova? Dove vogliamo mettere allora il Kilmer più maturo nel drammatico Wonderland (2003) in cui interpreta il pornodivo John Holmes in declino?
Per essere onesti bisognerebbe difendere anche un paio di ruoli in cui non era il protagonista, ma il suo contributo è stato fondamentale come in Tombstone (1993) e Heat - La sfida (1995). Chi ha detto Batman? No, Batman no. Possiamo anche rivederlo con piacere Batman Forever (1995) e, a distanza di 24 anni, apprezzarlo proprio per il suo essere orgogliosamente kitsch, ma Kilmer rimane in quel film l'attore più scollato dal personaggio, che ha rappresentato un passo falso della sua carriera.
Una bionda tutta d'oro (1993), Il Santo (1997) e Pianeta Rosso (2000) non hanno lasciato grandi ricordi nella nostra memoria e, a parte l'ultimo vero ruolo degno di nota in Kiss, Kiss, Bang, Bang (2005), le emozioni ci riportano agli esordi con il fantasy Willow (1988) e il demenziale Top Secret (1984). In quest'ultimo film (suo debutto al cinema) interpreta Nick Rivers, una star del rock'n'roll in trasferta nella Germania dell'Est. Come accaduto parzialmente per The Doors, in Top Secret tutti i brani sono eseguiti da Val Kilmer. Vedere l'esibizione di Tutti Frutti qui sotto per credere.

La malattia

Nel 2016 Val Kilmer pubblica un post su facebook in cui nega di avere un cancro alla gola, smentendo quanto detto sul suo conto ad alcuni giornalisti da Michael Douglas, anche lui in cura per quella condizione patologica. Kilmer in quel periodo era da un po' di tempo fuori dai radar e manteneva intatto il suo diritto alla privacy. Nel 2017 dichiara ufficialmente di essere in via di guarigione da un cancro alla gola, di aver subito un'operazione alla trachea che gli ha comportato difficoltà con la respirazione e un abbassamento della voce. In quelle poche foto che sono circolate, alcune postate da lui stesso su Facebook, è apparso molto dimagrito rispetto agli anni 2009/2010 quando aveva qualche chilo più del solito.
Per quanto la sua figura pubblica lo induca ad esporsi, l'attore mantiene sempre un riserbo sui dettagli del suo stato di salute. Probabilmente ha subito un'altra operazione, perché da qualche mese è costretto ad usare un dispositivo esterno applicato sulla gola per agevolare il respiro ma non sappiamo se nel suo caso si tratta di una soluzione temporanea o permanente, motivo per cui indossa sempre un ascot legato al collo per nasconderlo. Recentemente è intervenuto a un summit all'ONU per parlare della sua fondazione ed è davvero doloroso vederlo così in difficoltà, con la voce spezzata e l'immensa fatica per riuscire a esprimersi.

Cosa fa adesso

Sono stati anni duri per Val Kilmer. La sua condizione non gli permette di tornare a recitare, almeno non in questo momento, e ci si domanda in quale modo la storia di Top Gun: Maverick possa aver gestito il personaggio di Iceman. Lo sapremo quando il film uscirà nell'estate 2020. Nel frattempo Kilmer si è dedicato alla pittura, forma d'arte che lo ha sostenuto durante gli anni di terapie e che lo ha convinto ad aprire una sua art gallery a Los Angeles.
Contemporaneamente in questo centro ha creato la TwainMania Foundation per incoraggiare i bambini di qualunque background a usare l'arte come strumento educativo attraverso gli insegnamenti e il lascito dello scrittore Mark Twain. L'invito ricevuto al Novus Summit dell'ONU di qualche mese fa (nella foto sopra) aveva proprio il fine di onorare l'attore per il suo lavoro umanitario e il coraggio di portarlo avanti nonostante il suo stato di salute.



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Tolo Tolo

Il quinto film di Checco Zalone, il primo di cui l'artista pugliese ha curato anche la regia

Regia di Checco Zalone. Con Checco Zalone, Souleymane Silla, Manda Touré, Nassor Said Berya, Alexis Michalik, Antonella Attili, Nicola Nocella, Maurizio Bousso, Gianni D'Addario, Barbara Bouchet, Nicola Di Bari, Francesco Cassano.
Genere Commedia - Italia, 2020. Durata 90 minuti circa.

Non compreso dalla madre patria, Checco trova accoglienza in Africa. Ma una guerra lo costringerà a far ritorno percorrendo la tortuosa rotta dei migranti. Lui, Tolo Tolo, granello di sale in un mondo di cacao.





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Come festeggiare il Capodanno assieme a Daniel Day-Lewis


Potete brindare con lui a mezzanotte, grazie a quello straordinario capolavoro che corrisponde al nome di Il filo nascosto. Se lo fate iniziare al momento giusto.

Vi piacerebbe festeggiare il Capodanno con un grandissimo attore, uno dei più grandi dei nostri tempi? Arrivare allo scoccare della mezzanotte assieme a Daniel Day-Lewis? Beh, potete farlo.
Potete farlo, grazie a quello straordinario capolavoro che corrisponde al nome di Il filo nascosto, il film diretto nel 2017 Paul Thomas Anderson nel quale Daniel Day-Lewis interpreta il ruolo del tormentato e geniale stilista Raynolds Woodcock.
E quando diciamo arrivare allo scoccare della mezzanotte dell'ultimo dell'anno assieme a lui, intendiamo proprio nello stesso momento.

Infatti, come ha suggerito un recente tweet della Annapurna Pictures, la società di Megan Ellison che ha prodotto il film di Anderson, se fate partire Il filo nascosto esattamente alle 22:14 e 47 secondi della notte di San Silvestro, la mezzanotte del Nuovo Anno arriverà contemporaneamente nelle vostre case e nel film con Day-Lewis, all'interno di quella scena meravigliosa e struggente nella quale Raynolds cerca ansiosamente la sua Alma nel mezzo della folla che partecipa a una grande festa di Capodanno dove la ragazza voleva andare, ed era andata, e che Raynolds aveva snobbato, per poi pentirsene.

Che poi decidiate di seguire il consiglio dell'Annapurna e di far sì che gli orologi vostri e di Daniel Day-Lewis siano sincronizzati, o che vogliate rivedere uno dei film più belli degli anni Duemila (e il più bello visto in Italia nel 2018) con calma, in un altro momento, per farvi comunque del bene, per noi alla fine è lo stesso.
Intanto vi ricordiamo che Il filo nascosto è disponibile su Infinity e su molte altre piattaforme di streaming.



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Gli anni più belli: il poster ufficiale del nuovo film di Gabrielle Muccino

Claudio Santamaria, Pierfrancesco Favino, Kim Rossi Stuart e Micaela Ramazzotti sono quattro amici raccontati dagli anni '80 ai giorni nostri.

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Barack Obama annuncia i suoi film e le sue serie tv del cuore del 2019


Nella lista dell'ex presidente degli stati uniti condivisa su Twitter ci sono The Irishman, Piccole Donne e diversi documentari.

Come aveva fatto lo scorso anno, Barack Obama stila la sua lista dei film che ha amato di più nel 2019, a cui aggiunge le sue tre serie televisive predilette. L'ex presidente degli Stati Uniti aveva annunciato pochissimo tempo fa l'intenzione di condividere le sue preferenze in fatto di letteratura, musica e, appunto, cinema, ed era partito, il 28 dicembre, con i libri. Curiosamente, il film prediletti di Obama sono 18: né 10 né 20, numeri che avrebbe preso in considerazione qualunque giornalista o critico, ma 18. Del resto, una figura di tale spicco e levatura può permettersi questo ed altro

Dando una rapida occhiata al listone, notiamo che Barack ha messo, in una classifica in cui non ci sono prima, seconda e terza posizione ma semplicemente un ordine alfabetico, un film prodotto dalla sua Higher Ground Productions: American Factory. Si tratta di un documentario sulla fabbrica cinese di vetri per automobili Fuyao nel quale vengono analizzati i problemi che colpiscono sempre più realtà lavorative. Lo segue Amazing Grace, film concerto realizzato durante la registrazione dal vivo dell’album di Aretha Franklin "Amazing Grace" nella Chiesa Battista New Bethel a Watts, South Los Angeles. Subito dopo arriva Apollo 11, il doc di Todd Douglas Miller che ricostruisce la missione sulla Luna, nel 1969, di Neil Armstrong e compagni e che si pregia di immagini girate 50 anni fa.

Dando un'occhiata al resto dell'elenco, è da notare che Barack Obama include sia titoli importanti e di successo come The Irishman, Storia di un matrimonio e il vincitore della Palma d'Oro a Cannes Parasite, che film più sbarazzini come La rivincita delle sfigate, esordio registico di Olivia Wilde. Nella lista ci sono anche il nuovissimo Piccole Donne, il drammatico Il Diritto di Opporsi (con Jamie Foxx), il film automobilistico Le Mans '66 - La Grande Sfida.

Passando alle serie tv, Obama sceglie la seconda stagione della britannica Fleabag, la miniserie con Toni Collette Unbelievable e la nuovissima Watchmen.

I film del 2019 che Barack Obama ha amato di più

  1. American Factory
  2. Amazing Grace
  3. Apollo 11
  4. I Figli del Fiume Giallo
  5. Atlantique
  6. Oro Verde - C'era una volta in Colombia
  7. La Rivincita delle Sfigate
  8. Diane
  9. The Farewell
  10. Le Mans '66 - La Grande Sfida
  11. The Irishman
  12. Il Diritto di Opporsi
  13. The Last Black Man in San Francisco
  14. Piccole Donne
  15. Storia di un matrimonio
  16. Parasite
  17. The Souvenir
  18. La donna dello scrittore

Le serie tv del 2019 che Barack Obama ha amato di più

  1. Fleabag seconda stagione
  2. Unbelievable
  3. Watchmen


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Figli: in anteprima esclusiva il poster del film con Valerio Mastandrea e Paola Cortellesi scritto da Mattia Torre

Uscirà nelle sale il 23 Gennaio 2020 distribuito da Vision.

Uscirà nelle sale il 23 Gennaio 2020, distribuito da Vision, Figli, che è il film scritto da Mattia Torre a partire da un suo celebre monologo che vede protagonisti Valerio Mastandrea e Paola Cortellesi, coppia solida e affiatata che vedono il rapporto e tutta la loro vita entrare in crisi quando nella loro quotidianità perfettamente studiata arriva un secondo figlio a sparigliare le carte.
Figli è stato scritto con caparbietà e determinazione da Torre quando già era malato; avrebbe voluto dirigerlo lui stesso, ma purtroppo è scomparso prima di poterlo fare. Dietro la macchina da presa il suo posto è stato preso da Giuseppe Bonito, già regista di Pulce non c'è e collaboratore e aiuto regista di Torre nella serie televisiva Boris e in Boris - Il film. Di Figli vi presentiamo ora in anteprima esclusiva il poster.

Figli: il poster del film con Valerio Mastrandrea e Paola Cortellesi in anteprima esclusiva

Figli: il trailer del film scritto da Mattia Torre

Figli, scritto da Mattia Torre, è prodotto da Lorenzo Mieli e Mario Gianani per Wildside - THE APARTMENT, parte di Fremantle, e Vision Distribution e uscirà nelle sale il 23 Gennaio 2020 distribuito da Vision.
Nel cast, accanto a Cortellesi e Mastandrea, Stefano Fresi, Valerio Aprea, Paolo Calabresi, Andrea Sartoretti, Massimo de Lorenzo, Gianfelice Imparato, Carlo de Ruggeri.



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Pinocchio di Matteo Garrone è primo al boxoffice italiano del weekend


Lo tallonano Jumanji The Next Level e Il primo Natale, Star Wars Episodio IX è soltanto quarto.

Come si era intuito, Pinocchio di Matteo Garrone con Roberto Benigni è riuscito ad arrivare primo al boxoffice italiano del weekend, portando a casa 5.335.000 e toccando quindi il totale di 9.954.000. La media per sala è di 7.000 euro per 754 copie: davvero ottima, e non si tratta solo di attribuirne il successo alle Feste. Il pubblico in queste festività si sta infatti dimostrando molto equilibrato nel distribuire le sue preferenze. Non è così immediato indicare un vincitore in questa fine del 2019... forse stanno vincendo tutti. Ed è un bel segnale.

Al secondo posto troviamo Jumanji - The Next Level: il sequel con Dwayne Johnson e Jack Black è uscito il 25, ma con pochissimi giorni a disposizione già si sta difendendo benissimo, con 4.946.000 euro nel weekend e 6.043.000 di totale. La sua media è la più alta della classifica: 8.426 euro per 587 copie distribuite. Nel mondo tuttavia il film di Jake Kasdan è al momento fermo a 472 milioni di dollari, parecchio lontano dal quasi-miliardo di Benvenuti nella giungla.
Stabili in terza posizione Ficarra & Picone col loro Il primo Natale: alla fine la scelta di uscire il 12 ha aiutato i due comici e autori a reggere il colpo della concorrenza, mentre il tema del film ha fatto il resto. Questo weekend segna 4.554.000 euro e il totale ammonta finora a 12.493.000: è il più alto incasso della loro carriera, battendo i 10.138.000 euro di L'ora legale.

Caduta sensibile per Star Wars: L'ascesa di Skywalker, dal primo al quarto posto, nel fine settimana ammontante a 3.301.000 euro, che confluiscono nel complessivo nostrano di 10.463.000. La sensazione è che, intercettati i fan del genere e della saga, l'Episodio IX di J. J. Abrams si stia sgonfiando rapidamente. Con 725 milioni di dollari rastrellati nel mondo da due settimane, sembra proprio che si rivelerà il capitolo (relativamente) più debole al botteghino di tutta la nuova trilogia.
Slitta dalla quarta alla quinta posizione La dea fortuna di Ferzan Ozpetek, con Jasmine Trinca, Edoardo Leo e Stefano Accorsi: la commedia sta conquistando in sordina gli spettatori, che gli hanno garantito nel weekend 2.448.000 euro e perciò un risultato complessivo di 4.627.000.

Il box office completo del weekend



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Piccole Donne è terzo al boxoffice USA e conquista Guillermo Del Toro


Il film di Greta Gerwig con Saoirse Ronan raggiunge un totale di 29 milioni di dollari e strega la critica.

All'indomani del weekend post natalizio Piccole Donne di Greta Gerwig è terzo al boxoffice USA con un incasso di 16 milioni e mezzo di dollari, che, aggiunti al guadagno dei primissimi giorni di programmazione, arrivano a un totale di 29 milioni. Uscito il 25 dicembre, il nuovo adattamento del celeberrimo romanzo di Louise May Alcott non può competere con il numero uno Star Wars: L'ascesa di Skywalker, che nel fine settimana si è aggiudicato 72 milioni di dollari, ma non è poi distante anni luce da Jumanji: The Next Level, che si è messo in tasca 35,3 milioni.

Al di là di un risultato in termini economici superiore alle aspettative della Sony, ciò che stupisce positivamente tanto la major quanto i divoratori di recensioni cinematografiche, è il plauso della critica nordamericana. Su Rottentomatoes Piccole Donne ha registrato il 95% di pareri positivi e su Metacritic il 91%, alla faccia di quanti lo giudicavano, senza averlo visto, un film quasi solamente per donne. In effetti, ad andare al cinema a godersi le avventure delle sorelle March è stato un pubblico prevalentemente femminile (circa il 70%), ma le parole di stima di un regista come Guillermo Del Toro fanno sperare che, nelle prossime settimane, anche gli uomini si recheranno in sala. Su Twitter il regista messicano ha scritto infatti, il 26 dicembre: "Squisitamente confezionato, popolato da personaggi che sembrano veri, attuali e fallibili, e con i quali mi sono fortemente identificato. Le immagini, la colonna sonora, il suono, la messa in scena sontuosa ma realistica. Intelligenza, amozione e buon gusto in totale armonia".

Questa nuova ondata di entusiasmo, che segue quella di coloro che avevano visto il film nel mese di ottobre (di cui avevamo scritto nell'articolo Piccole Donne: le prime reazioni al film di Greta Gerwig sono molto positive), fanno ben sperare per gli Oscar e dimostrano il favore di cui gode la regista, già notevolmente apprezzata per Ladybird.

Scritto dalla stessa Gerwig e interpretato da Saoirse Ronan, Emma Watson, Florence Pugh, Eliza Scanlen, Timothée Chalamet, Meryl Streep e Laura Dern, Piccole Donne invaderà le nostre sale il 9 gennaio.



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domenica 29 dicembre 2019

Tolo Tolo, “Checco Zalone mi ha fatto vedere le cose che non avevo mai visto!”


Le parole sono del piccolo Nassor Said Birya, uno dei diversi membri del cast straniero del nuovo film di e con Luca Medici.

Con l'imminente uscita il 1° gennaio di Tolo Tolo, suo esordio alla regia, Checco Zalone è stato protagonista di una conferenza stampa in compagnia del cast in gran parte straniero che lo ha accompagnato in un'avventura durata venti settimane di complessa lavorazione, tra l'Italia e l'Africa. Naturalmente non mancava l' “Immigrato” dell'ormai celebre video virale, il romano Maurizio Bousso, ma hanno avuto spazio - con l'aiuto di un interprete - gli attori africani.

Tolo Tolo, Checco Zalone e i suoi attori africani

Figura chiave del film è Manda Touré, interprete dell'Idjaba che fa girare la testa al nostro antieroe. Checco rivendica con decisione (e una volta tanto senza ironia) di non aver creato un personaggio sessista, e anzi di sentirsi offeso da questo tipo di accuse: “Non si vede una tetta, non si vede un culo. Non mi piace l'accusa di sessismo”. Manda è d'accordo sulla sincerità della sua Idjaba, e racconta il suo iniziale spaesamento sul set: “Lavoravo per gli Italiani insieme a dei Francesi, ma Checco dà sempre l'impressione di sapere dove va.” Un complimento da cui Luca Medici si protegge con un'ammissione delle sue difficoltà da neoregista, ma confermato e amplificato da Souleymane Sylla, che divide in molte scene lo schermo con lui, nei panni dell'amico Oumar, appassionato di neorealismo italiano, che sogna l'Italia. Altro che forzatura: Oumar è il ritratto di un africano che Paolo Virzì, cosceneggiatore, aveva realmente conosciuto.
Guai però a pensare che il mondo sia piccolo: almeno non lo è affatto per Nassor Said Birya, il bambino che Zalone ha trovato per puro caso, incuriosito dal suo atteggiamento, dopo che i provini in Italia gli avevano portato solo “pariolini” poco spontanei. Nassor, che nel film è Doudou, figlio di Idjaba, è il più spontaneo e riconoscente. Parlando di Luca Medici, ci dice, previa traduzione simultanea: “Mi ha fatto venire nel mondo, mi ha fatto vedere le cose che non avevo mai visto”. Checco lo abbraccia e ricambia l'affetto.

Tolo Tolo, Checco Zalone e i suoi attori europei e italiani

Non c'è solo Africa in Tolo Tolo: Medici insiste per coinvolgere nella conferenza tutto il vasto cast. Si scusa con Antonella Attili per averla invecchiata, avendola scelta per il ruolo di sua madre: “Mo' non troverà più nessun uomo!” Lacrime di coccodrillo, Antonella infatti ci dice di aver ricevuto una telefonata da lui: “Senti, ti ho visto piuttosto brutta, ti faccio fare mia madre”.
Barbara Bouchet, riccona nel resort africano all'inizio della storia, snocciola alcune difficoltà logistiche del set: sulle prime non era ancora arrivato il truccatore, poi mancava il guardaroba (Checco cerca di interromperla: “Meh, mo' tutti i cazzi nostri devi raccontare?”). “Ma erano difficoltà superate, superate!” Unico vero screzio con Barbara: la scelta di un toy boy per il suo personaggio. Lei aveva idee diverse da quelle di Luca...
E' il regista Alexis Michalik a portare sullo schermo il reporter francese Alexandre Lemaitre. Si accoda immediatamente allo sfottò della logistica produttiva: “Nessuno riusciva a capire quando avremmo finito”. Zalone parte in quarta: “All'inizio ci stavamo sul cazzo. Per forza. Francese, bravo e bello, pensare che me l'ha segnalato mia moglie, magari una botta ce la voleva dare. Comunque mi pare ha fatto un film da regista, un disastro al boxoffice.”
Chiude la carrellata Nichi Vendola in persona, ex-governatore della regione Puglia, in Tolo Tolo presente con una comparsata surreale. Cerca di sparire in sala, ma Zalone lo invita a una dichiarazione: lui lo copre di lodi per la poesia del film, ma siccome nella sua scena staziona davanti a un trullo, ci tiene a mettere i puntini sulle “i”. “Tutti diranno: il trullo di Nichi Vendola, e invece non è mica mio. Però ora reclamo il trullo”.



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Playmobil - The Movie

I Playmobil debuttano sul grande schermo

Regia di Lino Disalvo. Con Alessandro Aleotti, Cristina D'Avena, Anya Taylor-Joy, Jim Gaffigan, Gabriel Bateman, Adam Lambert, Daniel Radcliffe, Meghan Trainor.
Genere Animazione - Francia, Germania, USA, 2019. Durata 99 minuti circa.

Da ragazzina Marla passava le giornate a giocare col fratellino Charlie e sognava di girare il mondo. La scomparsa prematura dei genitori l'ha però trasformata anzitempo in una donna occupata in tutto tranne che a divertirsi. Charlie ne soffre e, una sera, uscito di casa senza avvisare, viene attirato dalla vista di un padiglione di giocattoli, dove una distesa di Playmobil sembra aspettare solo di essere animata da un giocatore pieno di fantasia. Quando Marla lo ritrova, non fa in tempo a portarlo via che entrambi vengono risucchiati dal mondo dei giochi e portati in un'altra dimensione, dove hanno le fattezze di due Playmobil e li attende al varco una grande avventura.





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sabato 28 dicembre 2019

Jumanji The Next Level, clip italiana in esclusiva: i ponti sospesi


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Joker: il link per scaricare lo script originale del film con Joaquin Phoenix


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Tolo Tolo, Checco Zalone regista secondo gli altri attori: "E' un grande direttore d'orchestra"


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venerdì 27 dicembre 2019

18 regali intervista video a Francesco Amato, regista del toccante melodramma


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Ryan Reynolds: "Stiamo lavorando a Deadpool 3 con il team della Marvel"


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Ritratto della giovane in fiamme

A girare un film ambientato nel ‘700 incentrato sul lento, inesorabile e ineludibile amore fra due donne, una delle quali, per giunta, è una pittrice, i rischi sono davvero incalcolabili: 1) ennesimo film con riferimenti all'iconografia pittorica settecentesca (con qualità da misurarsi in gradi di distanza da Barry Lyndon) e più in generale, anche dato l'argomento, eccesso di inquadrature che ambiscono appunto a essere tableaux vivants; 2) utilizzo della musica, preferibilmente dell'epoca ma non solo ad aumentare il rilievo dato all'ambientazione di questo period film; 3) appesantimento sociologico-gender: l'amore comunque proibito in un'epoca in cui alle donne ovviamente non era consentito un amore omosessuale ma in fondo, per lo meno in certi ambienti, nemmeno quello eterosessuale, vista l'alta densità di matrimoni combinati con scarsa o addirittura inesistente consultazione (coinvolgimento) della diretta interessata.

Complessivamente va dato atto a Céline Sciamma di essere riuscita a tener testa a queste tre tipologie di rischio, soprattutto in grazia di una regia molto personale, è la regia (e la scenografia e la fotografia) e non la sceneggiatura, a nostro avviso, il valore aggiunto del film, malgrado Sciamma sia stata premiata sia a Cannes che agli European Film Awards proprio per la sceneggiatura. Anzi una serie di piccoli tagli non avrebbero guastato. A cominciare forse dal prologo, o dato il tema: dalla cornice, ovvero il fatto che tutta la vicenda venga raccontata in forma di flashback, con la necessità, a quel punto, di aggiungere anche una voice over, soprattutto per l'epilogo. Lo scopo è evidente: aggiungere un ulteriore elemento di nostalgia per l'amore perduto, ma quella nostalgia era già abbondantemente contenuta nella storia, senza bisogno che la si raddoppiasse nella cornice.

L'intreccio, visto che il film è stato presentato a Cannes sette mesi fa, dovrebbe essere a tutti chiaro. Siamo nella parte più selvaggia della penisola bretone di Quiberon (dove qualche anno fa era ambientato il film su Romy Schneider), la contessa madre, interpretata con insolita grazia da Valeria Golino, convoca una pittrice talentuosa, Marianne (Noémie Merlant), per ritrarre la figlia, la secondogenita, originariamente destinata al convento, adesso che la primogenita non c'è più, avendo probabilmente deciso di scaraventarsi dalla scogliera piuttosto che andare in sposa a un ricco milanese a lei sconosciuto. Adesso tocca a Héloise (Adèle Haenel) quel matrimonio programmato a cui sarebbe stata destinata la sorella.

Ora, se una ragazza si chiama Héloise di solito c'è poco da stare allegri: qui niente Abelardo, niente Saint Preux. Anche se Rousseau è il nume tutelare di questo film, tutto giocato com'è sulla dialettica che intercorre fra il libero dispiegamento dell'amore e degli istinti naturali (la potenza devastante della natura bretone ne costituisce il correlativo oggettivo, ma lo stesso vale anche la paganità di certi riti contadini) e le coercitive convenzioni sociali.
Il ritratto rappresenta la riproposizione di una tradizione familiare che la madre stessa, esponente di un'aristocrazia che probabilmente non naviga in ottime acque, ha subito e che decide di perpetuare e perpetrare ai danni della figlia, ai danni delle figlie: promesse de bonheur, portfolio per lo sposo milanese. E Héloise fa l'unica cosa che le resta da fare per opporsi, si sottrae alle sedute di posa, costringendo la pittrice a fingersi dama di compagnia e a spiarne i tratti del volto, sostituendo l'immaginazione alla mimesi, con risultati alla fine alquanto scarsi, anche perché – diciamolo pure – Marianne non è esattamente Vermeer.
Fin quando non avviene il punto di svolta e la modella, in apparenza solo scrutata ma in realtà altrettanto scrutante, decide di concedersi al pennello della pittrice, ciò che ben presto innesca quella dinamica di seduzione di cui si diceva all'inizio.
Anche qui, forse, il film presenta qualche lunghezza di troppo. E anche la vicenda parallela della domestica costretta a finire fra le grinfie della mamma per liberarsi di una gravidanza non voluta o non sostenibile non aggiunge un elemento particolarmente convincente al plot, se non come ulteriore variante della manipolazione della psiche e, soprattutto, dei corpi cui sono sottoposte le donne.

Ma, fatte salve queste pecche, si apprezzano una notevole serie di cose: lo splendido uso della luce, sia di quella naturale che, soprattutto di quella artificiale; lo splendido uso del sonoro con scarsissima musica solamente diegetica, con l'eccezione della meravigliosa e lunga scena finale (Sciamma ha dichiarato che il film si è articolato tutto intorno a questa scena conclusiva), con una sontuosa prova attoriale di Adèle Haenel, quando Marianne per l'ultima volta rivede Héloise, a teatro, e prende corpo la tempesta dell'Estate di Vivaldi che la pittrice aveva solo canticchiato evocando nella modella una nostalgia per qualcosa di mai ascoltato; certi estenuanti ritardi nell'uso del controcampo. Nulla da dire Céline Sciamma, e non è certo solo questo film a dimostrarlo (Tomboy del 2011, Diamante nero del 2014, oltre a varie sceneggiature, fra le quali spicca La mia vita da zucchina), è una regista di talento.

(Portrait del la jeune fille en feu); Regia: Céline Sciamma; sceneggiatura: Céline Sciamma; fotografia: Claire Mathon; montaggio: Julien Lacheray; scenografia: Thomas Grézaud;interpreti: Adele Haenel (Héloise), Noémie Merlant (Marianne), Luàna Bajrami (Sophie) Valeria Golino (la contessa); produzione: Arte France Cinema; distribuzione: Lucky Red; origine: Francia 2019; durata: 119'



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Tolo Tolo: Checco Zalone presenta il suo film alla stampa e al pubblico italiani


La grande attesa sta per finire: il film sarà in oltre mille cinema italiani dal 1° gennaio 2020.

Checco Zalone, finalmente, è tornato.
Mancava dallo schermo da quattro anni, come ricorda il suo produttore Pietro Valsecchi, e sarà nuovamente nei cinema dal 1° gennaio 2020 in più di mille copie, pronte a levitare fino a oltre 1200.
Torna con un film, Tolo Tolo, che lo vede per la prima volta dietro la macchina da presa, senza il Gennaro Nunziante dei film precedenti né il Paolo Virzì con cui ha sviluppato soggetto e sceneggiatura di questo; e che racconta sì il solito arci-italiano del Terzo Millennio, ma lo mette alle prese col grande tema della politica dei nostri anni: quella dell'immigrazione.
Perché, fuggito dall'Italia per evadere - letteralmente - dalle tasse, Checco dovrà farvi ritorno da migrante, con tanto di attraversata del deserto, detenzione in Libia e traversata in barcone, assieme a tre nuovi amici africani: Omar, che ha la la fissa del cinema e della cultura italiane, e Idjaba, ragazza misteriosa di cui Checco s'innamora perdutamente, e il bambino che si chiama Dudù "come il cane di Berlusconi".
Inevitabile che il suo incontro con la stampa, avvenuto oggi a Roma, girasse quasi esclusivamente attorno a questi due poli: la regia e la politica.

Tolo Tolo: il trailer ufficiale

Tolo Tolo: Checco Zalone e la regia

"Se da neo regista mi sono mai sentito smarrito? Diciamo che ci sono stati giorni in cui mi sono sentito trovato," dice Zalone, al secolo Luca Medici. "Ero sempre smarrito, in preda all'ansia e allo stress: stare a capo della macchina che serve a fare un film è difficilissimo."
Con Nunziante, spiega, "siamo ancora amici, e nel nostro lavoro assieme mi ha sempre dato grande libertà, anche riguardo questioni tecniche." Mentre di Virzì dice che "il soggetto che aveva in mente e che abbiamo sviluppato quando abbiamo iniziato a frequentarci e scrivere l'ho fatto diventare sempre più mio, mano mano gliel'ho rubato. Ci sono stati momenti in cui il peso della responsabilità mi hanno fatto pensare sarebbe stato meglio ci fossero loro, a dirigere, ma poi quando le cose funzionavano ero contento di aver scelto di fare io il regista."
Zalone è pronto poi ad ammettere che i suoi modelli siano quelli della grande commedia all'italiana: "I Risi, i Sordi, con le dovute proporzioni ovvio." Ma se gli si chiede un modello non da comico ma da regista mette le mani avanti: "Per parlare di modelli in quel senso è ancora presto."
L'essere regista di Zalone, in Tolo Tolo, è stato anche un andare per tentativi. È lui stesso a fare un esempio, facendo riferimento a una scena in cui, mentre si reca in un villaggio assieme all'amico Omar, l'arrivo di guerriglieri armati trasforma quel luogo in un campo di battaglia, ma Checco sembra non accorgersi di nulla e continuare a pensare ai suoi problemi con le ex moglie e le tasse rimaste in Italia: "Avevamo provato a farla con me che mi spaventavo, ma mi sono accorto che non funzionava: e allora l'ho girata così, in modo grottesco, raccontandomi come uno che è capace solo di guardare ai suoi piccoli problemi contingenti. Ma senza diti puntati o moralismi: l'egoismo è qualcosa di congenito all'uomo, ce l'abbiamo dentro tutti."

Tolo Tolo: Checco Zalone e l'intolleranza

Per quanto - giustamente - restio a spiegare il suo film e le sue gag ("sono in imbarazzo, mi sembra di banalizzare tutto, se lo faccio"), Zalone indica un'altra cosa che, secondo lui e il suo film, abbiamo dentro tutti ed emerge "con lo stess e con il caldo, come la candida": l'intolleranza, che poi nel film è più esplicitamente il fascismo, con Checco che in qualche occasione sembra posseduto dallo spirito e dalla voce di Mussolini. "Inserire Mussolini mi pareva divertente," dice.
Ma se gli si chiede qualcosa di diretto circa i contenuti di Tolo Tolo e delle possibili reazioni della politica, Zalone si schermisce, ma non certo per ingnavia. "Che cazzo ne so io di cosa dirà Salvini del film," risponde a chi glielo chiede, per poi aggiungere: "Lui è l'espressione della gente, sarà la gente casomai che si sentirà chiamata in causa. Salvini nel film non c'è proprio, e io non faccio mica i film contro qualcuno. Qualcuno penserà l'abbia fatto? Boh."
Anche se, parlando del personaggio interpretato nel film da Gianni D'Addario, quello di un compaesano di Zalone che nell'arco del film passa gradualmente da disoccupato a Presidente della Commissione Europea, Checco si lascia scappare che "fa la carriera di Di Maio, veste come Conte e parla come Salvini: è un mostro dei nostri tempi. Non è una metafora, è proprio quello che succede davvero."
Ma quali sono i politici che Zalone vorrebbe vedessero il suo film? "Mattarella lo consideriamo un politico? Lui, comunque. E il Papa."

Tolo Tolo: Checco Zalone, le polemiche e il pubblico

Zalone racconta che le polemiche nate dopo la diffusione del video di "Immigrato" "ce le aspettavamo, ma non fino a questo punto. All'inizio mi sono divertito, dopo un paio di giorni mi hanno un po' stancato, e non le ho seguite più. Certo sono state un bel battage pubblicitario."
Non lo preoccupano nemmeno le reazioni a una scena del film nella quale il naufragio di un barcone carico di immigrati di tramuta nell'occasione di fare un numero musicale quasi alla Ester Williams: "È una scena che nasce dalla canzone che avevo scritto, e che recita 'Da qualche parte nel planisfero c'è sempre uno stronzo un po' più nero'. I ragazzi che l'hanno girata si sono divertiti, e commossi. Non è una presa per il culo cinica e inutile. e non è una ruffianata."
Su una cosa però Checco Zalone vuole puntualizzare e rispondere: certe sceme accuse di sessismo: "A Manda Touré, che interpreta Idjaba, ho fatto fare un personaggio che penso sia interessante, e nel film non ho mai fatto vedere un culo, una tetta, una doccia. Altro che sessismo."
Pressione, casomai, Zalone l'ha sentita ("tantissima") per eguagliare i successi del precedente Quo Vado?: "Inutile fare gli ipocriti, siamo qui per fare i soldi." Ma non si dà pena a chiedersi se il suo pubblico capirà o meno il senso di Tolo Tolo: "A questo rispondo citando De Gregori: la gente sa benissimo dove andare: quelli che hanno letto un milione di libri e quelli che non sanno nemmeno parlare."
È una citazione da "La storia siamo noi". La scelta non appare casuale. Anche perché, a naso, con Tolo Tolo Zalone sta per fare, un'altra volta, la storia della commedia italiana.

Immigrato: il video della canzone di Checco Zalone



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Per la Befana, Regala The Space Cinema


La qualità e la varietà di film già in sala e in arrivo nei primi giorni del 2020 sapranno accontentare tutti, ma proprio tutti.

Natale è passato, ma la festa della Befana è dietro l'angolo e l'occasione è ancora quella giusta per regalare cinema!
The Space Cinema offre l'opportunità di farlo nel modo più semplice e veloce (grande pregio, soprattutto per i regali dell'ultimo minuto da mettere nella calza della Befana, di grandi e piccoli), proponendo due soluzioni disponibili nei cinema The Space.
La Christmas Card (in tre versioni di prezzo, disponibile solo fino al 6 gennaio) oppure la classica The Space Card (in due versioni di prezzo). Entrambe includono anche una consumazione. La semplicità e la velocità non è solo dalla parte di chi fa il regalo ma anche di quella di chi lo riceve: essendo tessere che valgono online, si possono scegliere i posti via app o sul sito thespacecinema.it ed evitare le file, inevitabili in questi giorni di grande affluenza nelle sale.

L'inizio del 2020 si prepara, infatti, a regalarci ancora grande cinema. Dopo i film usciti durante le feste di Natale, dal nuovo Star Wars a Pinocchio, da Il Primo Natale a La Dea Fortuna, da Last Christmas a Jumanji The Next Level, nei primi giorni dell'anno nuovo arrivano sul grande schermo titoli di richiamo, per tutti i gusti: dall'attesissimo Tolo Tolo, il film di Checco Zalone in sala dal 1 gennaio ma che potrete vedere in anteprima nei The Space Cinema nella notte tra il 31 dicembre e il 1 gennaio, al commovente 18 regali, tratto da una storia vera, dal primo film con i Playmobil alla nuova versione del classico Piccole Donne (in sala dal 9 gennaio).
Insomma, anche in questi ultimi giorni di Festa l'occasione è giusta per regalare cinema a parenti e amici: un regalo che non contiene tanti, tanti quanti i film proposti in sala, e soprattutto un regalo per tutta la famiglia, visto che si possono usare anche più ingressi contemporaneamente anche per lo stesso film.

Per maggiori informazioni, vi rimandiamo alle pagine ufficiali di Christmas Card e The Space Card.



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