sabato 24 giugno 2023

Matteo Garrone si racconta: "Ho iniziato girando corti con gli scarti di Nirvana di Salvatores"

C’è anche Matteo Garrone al Filming Italy Sardegna Festival 2023 e la sua permanenza a Forte Village è dovuta a una masterclass per studenti di cinema. Quando lo incontriamo, in un giardino che affaccia sul mare, sappiamo che sarà impossibile farlo parlare del nuovo film, quell'Io Capitano di cui è da poco stato diffuso il trailer e che racconta il viaggio di due giovani da Dakar all’Europa in mezzo a insidie di ogni genere. L'unica cosa che il regista ci svela è di essere soddisfatto del proprio lavoro e di aver utilizzato il tesoretto che mette da parte quando gira un film per rifare alcune scene. Memore della distinzione che faceva Federico Fellini non tra film belli e brutti ma tra film vivi o morti, Matteo ci ha detto di aver fatto un film vivo e che, a tempo debito, sarà lieto di raccontarci di tutto e di più sulla scelta del tema degli sbarchi e della fuga dalla guerra o dalla povertà di tante persone.

Lo intervistiamo insieme a un piccolo gruppo di colleghi e, su suggerimento di Tiziana Rocca, che dirige in festival, ci parla della sua idea di dare alle sale le stelle come si fa con gli hotel,e di stabilire il costo del biglietto in base alla categoria di appartenenza. Mentre ci spiega che troppe volte si è ritrovato a vedere un film in una sala minuscola, pensiamo alla nostra delusione non tanto di fronte a uno schermo microscopico, quanto davanti a un film che ci aspettavamo bello ma che invece si rivela brutto. Verbalizziamo il nostro pensiero e il regista commenta: "È difficile fare un film, molto. Anche in buona fede a volte si fanno errori. Anche a me è capitato. Per esempio all'inizio Dogman aveva un altro protagonista, un attore molto bravo che però non andava bene per il ruolo.  Avevo anche trovato una location - un parcheggio di Casal Palocco - che poi ho capito essere completamente sbagliata. All’epoca avevo fatto dieci film, che non sono pochi, ecco perché penso che per un regista l'errore sia sempre in agguato. Per fortuna ogni tanto te ne accorgi in tempo e riesci a cambiare rotta, ma quanti grandi cineasti hanno fatto tanti capolavori e poi all’improvviso o piano piano hanno perso l’ispirazione, oppure a un certo punto non hanno più trovato la forza espressiva di quando erano giovani? In ogni modo, io penso che qualsiasi regista che sia riuscito a fare anche solo un bel film andrebbe giustificato per tutti gli errori che vengono dopo.

Matteo Garrone non ha ancora deciso cosa dirà ai ragazzi durante la sua lezione di cinema. Di certo non è uno che si mette in cattedra, come emerge dalle sue parole in proposito: "Come sapete sono un autodidatta, quindi non è che ho una grande preparazione teorica. Il mio lavoro è più un'esperienza vissuta sul campo, e quindi, di solito, quando mi capita di incontrare dei ragazzi, cerco innanzitutto di capire a cosa sono interessati e quali sono i loro obiettivi. A volte mi capita di andare al Centro Sperimentale e, per prima cosa, cerco di capire se la platea che avrò di fronte studia scenografa, sceneggiatura, montaggio. Provo insomma di mettermi al servizio degli studenti. Non credo di essere capace di dare il consiglio che cambia la vita, piuttosto tento di instaurare un dialogo. Banalmente dico ai giovani di non omologarsi, di trovare un proprio linguaggio, una propria strada. Oggi, effettivamente, da un punto di vista tecnico si possono fare dei film con un budget più ridotto. Io ho iniziato che c’era ancora la pellicola e giravo i miei corti con gli scarti di Nirvana di Gabriele Salvatores, quindi avevo la pellicola, avevo la macchina da presa, per il montaggio c’era l’Avid che costava 1 milione a settimana. Oggi con Final cut monti molto facilmente, e poi ci sono telecamere non troppo costose che sono straordinarie. Insomma, se hai un'idea, la realizzi con poco, quindi i giovani non hanno alibi.

Se Matteo Garrone avesse finito prima Io Capitano e fosse stato preso in concorso al Festival di Cannes, si sarebbe trovato un'altra volta ad essre in gara insieme a Paolo Sorrentino e a Nanni Moretti. Nel film di quest’ultimo, Il Sol dell'Avvenire, il protagonista Giovanni cerca di spiegare a un giovane regista sbruffone che l’uso grafico della violenza è sbagliata. Garrone è d’accordo con il collega: "Penso che la violenza non debba essere mai un fine ma un mezzo per raccontare una storia. Se è necessario, si può raccontare la violenza per far capire ancora di più i conflitti che vive un personaggio. A volte si abusa della violenza per compiacere un certo tipo di pubblico. Quando ho fatto Dogman, sapevo che era un film che trattava una tematica legata alla violenza, che veniva da un fatto di cronaca piuttosto famoso. Ebbene, ho lavorato per 14 anni a quella storia senza mai riuscire a trovare fino in fondo una chiave per sentire mio quel film, perché c'era qualcosa che mi impediva di partecipare emotivamente fino in fondo. Siccome quando faccio un film devo amare i miei personaggi, non riuscivo a sentire vicino un personaggio che tortura per giorni un altro. Poi ho avuto l’idea di raccontare un uomo che si ritrova dentro a un meccanismo di violenza che non gli appartiene, quindi un erbivoro che finisce in un mondo di carnivori e che prima cerca una vendetta quasi infantile, perché desidera che l’altro gli chieda scusa, e poi, non riuscendo a uscire dal meccanismo di violenza, si adegua".

Matteo Garrone, prima di dedicarsi al cinema, è stato un pittore. Anche David Lynch dipinge e una volta ha detto che il punto di partenza dei suoi film è un’immagine, una visione. Anche il regista di Gomorra segue un percorso simile: “Sicuramente, oltre a un legame forte con un personaggio, per me è fondamentale il rapporto con una storia che mi suggerisce delle immagini, in altre parole una realtà che posso interpretare e che penso di poter raccontare in una maniera che mi spiazzi, mi sorprenda. A quel punto cerco di trovare un’idea, anche figurativa, che mi permetta di entrare in un mondo e di avere la sensazione di poter narrare quel mondo con uno sguardo personale e inedito. A volte ci riesco e a volte no, però per me è fondamentale l’immagine. Quando ho fatto Il racconto dei racconti, ad esempio, ho compiuto un viaggio attraverso un’iconografia. Uno dei miei punti di riferimento erano I capricci di Goya, che per me avevano qualcosa di quel grottesco che sentivo in Basile. Per ogni film, piano piano costruisco un riferimento anche figurativo e visivo su cui poi poter lavorare".

Matteo Garrone ci racconta poi che gli è capitato diverse volte di rigirare alcune scene di film anche dopo aver lavorato al montaggio. Per questo deve poter contare su quel tesoretto a cui abbiamo accennato prima. Gli è accaduto ad esempio con la prima scena di Gomorra, che non era quella che tutti ricordiamo e che ha un impatto visivo fortissimo: "Ricordo che rimasi colpito dalla forza della realtà di Gomorra, che era una meta-realtà, cioè sconfinava quasi nella fantascienza, nella fiaba, poi ho girato quell’inizio che conoscete e che è nato dopo aver finito la sceneggiatura. In sceneggiatura la scena iniziale doveva mostrare dei compagni di clan che improvvisamente cominciano a spararsi fra loro. Volevo far capire allo spettatore che era in atto una scissione, ma poi stando lì e preparando il film, mi sono accorto che i criminali, un po’ come accade con  i calciatori di oggi che sono dei modelli, ci tenevano ad essere belli. Un boss, prima di spararsi con un altro boss, magari andava a farsi la manicure o la lampada, quindi ho colto questa cosa e ho deciso di ambientare la prima scena dentro a un solarium.

L’ultima domanda dei giornalisti riguarda l’evoluzione di Matteo come regista. Lui sorride e ammette: "Io penso che sto facendo un percorso. Dove sto andando non lo so e neanche lo voglio sapere: è un viaggio, e cerco di fare del mio meglio per raccontare delle storie che siano vive sullo schermo.



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