mercoledì 27 giugno 2018

La Cina salva i flop: come Hollywood se la cava per il rotto della cuffia


Nonostante un limite imposto di massimo 34 lungometraggi stranieri distribuiti in un anno, la Cina si sta rivelando uno dei mercati più lucrativi per il cinema di Hollywood. Ciò non vale soltanto per i trionfi di blockbuster internazionali come un Avengers Infinity War, ma anche per l'inaspettato salvataggio di titoli che, senza il sostegno delle cifre cinesi, precipiterebbero nel flop. Prima di proseguire nell'analisi, specifichiamo ancora una volta cosa intendiamo col termine "flop": non ha nulla a che vedere con la qualità dell'opera, ma definisce un film che al botteghino non recupera quanto è costato. Per convenzione, si considera un film in pari quando porta a casa almeno il doppio del suo budget (gran parte del costo del biglietto sfuma verso gli esercenti e la distribuzione).

Warcraft - L'inizio di Duncan Jones, adattamento dell'omonimo videogioco Blizzard, è l'esempio perfetto per inquadrare le speranze delle major di Hollywood che possono incorrere in passi falsi. Costato 160 milioni di dollari, ne avrebbe incassati in tutto il mondo 220, Cina esclusa: sarebbe stato un disastro. A sorpresa, il mercato cinese lo ha benedetto con ben 213 milioni aggiuntivi, portando il totale a 433. Non sappiamo quanto fosse stato speso in marketing (non sempre conteggiato nei calcoli del budget e spesso oneroso), però così Warcraft, pur non rivelandosi un trionfo, si è mantenuto a galla.
xXx - Il ritorno di Xander Cage, terzo lungometraggio della saga e secondo con Vin Diesel, era in una situazione borderline: costato 85 milioni di dollari, ne avrebbe raccolti nel mondo 182. La Cina ha gettato nel mucchio altri ben accolti 164 milioni, portandolo al totale di 346 e legittimando - per il piacere di chi non sopporta la tamarraggine estrema - un ulteriore sequel!



Recente e illustrissimo caso è stato Ready Player One di Steven Spielberg: azzardato caso di blockbuster ad alto budget senza un marchio potente alle spalle, stava per fallire la sua scommessa con 175 milioni di dollari di budget e 354 d'incassi, in bilico precario sul flop, non conoscendone i costi di marketing. La Cina lo ha però abbracciato entusiasticamente con 212 milioni, portando il totale a 566, una cifra che ha reso tutti più sereni.
Discorso analogo possiamo farlo per l'ultimo Tomb Raider con Alicia Vikander (costo 94 milioni di dollari, totale incassi 272 di cui 78 cinesi) e per Transformers: L'ultimo cavaliere (costo 217, totale 605 di cui 228 cinesi!).
Altre volte è capitato che i film faticassero così tanto da non riuscire a giovarsi significativamente nemmeno dell'ottima accoglienza a Pechino e dintorni. Terminator: Genisys (costo 155, totale 240 di cui 113 cinesi) e Pacific Rim - La rivolta (costo 150, totale 288 di cui 100 cinesi) sono rimasti dei flop nonostante l'apprezzamento in Oriente. Non c'era proprio speranza, evidentemente.

Ci sono comunque situazioni in cui gli spettatori in Cina possono anche rimanere relativamente freddi di fronte a sicuri successi altrove. Questo può avvenire quando il prodotto fa forte affidamento sulla riconoscibilità di un marchio o di una saga di parecchi anni addietro, quando il mercato cinese era chiuso ai film stranieri.
Star Wars è l'incubo cinese della Disney. Il buon piazzamento di Il risveglio della Forza, con 124 milioni di dollari in Cina, faceva ben sperare per creare un bacino d'utenza nuovo, che trent'anni prima non aveva potuto vedere la trilogia storica. I Cinesi hanno dato una chance alla serie, ma hanno perso slancio, riservando 70 milioni a Rogue One e miserimmi 42 a Gli ultimi Jedi. Inutile aggiungere che non avrebbero mai potuto salvare Solo, finora liquidato con 16 imbarazzanti milioni.
Le cose sono andate peggio per Blade Runner 2049, forse il più corposo fallimento di queste speranze: costato 150 milioni, ne ha rastrellati nel mondo 259 di cui appena 11 sono cinesi. Sì, avete letto bene: 11. Praticamente è stato ignorato.



Le reazioni al cinema animato Disney / Pixar confermano questa teoria. Cars 3 e Alla ricerca di Dory, successi ovunque ma sequel di film amatissimi in Occidente partiti un decennio prima, non sono andati oltre rispettivamente i 20 e i 38 milioni d'incassi. Viceversa prodotti recenti e originali come Coco e Zootropolis hanno trionfato con ben 189 e 235 milioni! Questo articolo non azzarda poi interpretazioni antropologiche e sociali che vanno al di là delle nostre competenze, ma è evidente che una storia dedicata al culto degli antenati e una fiaba con animali antropomorfi devono essere state accettate in modo molto naturale e spontaneo. Lo sa bene per esempio la DreamWorks Animation, che ha costruito la saga di Kung Fu Panda per sfondare nel mercato cinese, arrivando a realizzare una versione apposita con sincronizzazione labiale in mandarino per Kung Fu Panda 3 (costo 145, incasso 521, di cui 154 in Cina).

L'entusiasmo parallelo degli investimenti cinesi diretti nel cinema hollywoodiano, esploso tra il 2015 e il 2016, pare essersi invece piuttosto raffreddato nell'ultimo anno. Dopo l'acquisto di quote sensibili della Imagine Entertainment e della Lionsgate, e un controllo della Legendary Entertainment come azionisti di maggioranza, i magnati cinesi stanno progressivamente reindirizzando i propri capitali verso l'audiovisivo patrio. Secondo alcuni osservatori, la frenata sarebbe avvenuta quando un primo esperimento di importante produzione in sinergia, The Great Wall di Zhang Yimou con Matt Damon, non ha fatto gli altissimi numeri sperati nè in Cina nè nel resto del mondo. Le azioni della Legendary Entertainment sono state rimesse in vendita.
Il trionfo della produzione locale Wolf Warrior 2 (854 milioni di dollari solo in Cina, appena ridicole briciole altrove) segnala al contrario che dare per certa la globalizzazione dei gusti di quel pubblico sarebbe ingenuo. Al di là delle facili speranze, Hollywood comunque non può permettersi di ignorare la Cina, che invece al contrario pare mantenere una sua buona autosufficienza cinematografica.



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