martedì 19 giugno 2018

Un mercoledì da leoni: cavalcare le onde della vita - Il capolavoro di John Milius compie quarant'anni

Il poster era quello classico. Quello incorniciato d'arancione, con l'immagine in bianco e nero di un'onda gigantesca, e la silhouette di tre figure che l'osservano dalla spiaggia, una lunga tavola da surf al fianco di una di esse, quella in piedi, mentre le altre due erano accovacciate a terra. Sotto la foto, il titolo, in giallo: Un mercoledì da leoni.
Stava lì, sul cavalletto pubblicitario sistemato nella piazza del paese, poco distante dalle scale della chiesa che tutti, la sera, usavano come panchina. E lo ritrovavo ogni estate, estate dopo estate, almeno una volta a estate: il giorno di ferragosto, sempre, ma ogni tanto anche in luglio.
Le prime volte, ero ancora in quell'età della vita dove le frasi prendono forma letterale nella tua mente, e non capivo come mai, su quel poster, non ci fossero i felini di cui parlavano i grandi. Poco dopo, capivo che era una storia di mare, di una cosa chiamata surf, ma soprattutto - così mi dicevano - che era "un film da grandi". Dopo ancora, quando oramai sapevo anche cosa fosse il surf, ed ero grande abbastanza, erano i tempi a essere cambiati, e non c'era più la proiezione annuale, ferragostana, di Un mercoledì da leoni.
Forse è stato un bene che le cose siano andate così, e in fondo le cose vanno sempre - beh, quasi sempre - come devono andare. Fatto sta che io Un mercoledì da leoni, in quel cinema estivo di paese così scalcagnato, non l'ho mai visto; anzi, non l'ho proprio mai visto al cinema, a pensarci bene.
Ma l'ho visto e rivisto, più e più volte, in VHS prima e in DVD poi.

Una volta mi è capitato di scrivere che se c'è un film che mi fa piangere ogni volta che lo vedo è Stand By Me: il che è vero, verissimo, ma lo è altrettanto che avrei potuto scrivere anche un altro titolo, assieme a quello del film di Rob Reiner, e questo titolo è proprio Un mercoledì da leoni.
Che poi, a pensarci bene, ma nemmeno troppo, è una cosa piuttosto naturale: sia il film di Reiner che quello di John Milius parlano dell'amicizia. Dell'amicizia, e del tempo che passa, di stagioni che passano, di fasi della vita che, una volta andate, non torneranno più: proprio come le merendine di quand'ero bambino, i pomeriggi di maggio, la mamma, il brodo di pollo quand'ero malato, gli ultimi giorni di scuola prima delle vacanze di un'altro dei film del mio cuore, Palombella Rossa.
E non dimentichiamo che il racconto di Stephen King alla base di Stand By Me era parte di una raccolta intitolata "Stagioni diverse". Tutto torna, perché le cose vanno sempre come devono andare. O quasi.

Quattro sono le stagioni raccontate da Un mercoledì da leoni.
Quattro stagioni per quattro mareggiate, per quattro capitoli di un film che racconta di quattro diverse fasi della vita dei suoi protagonisti: la grande mareggiata da sud dell'estate del 1962, che è la stagione della gioventù e della spensieratezza di Matt, Jack e Leroy, quando i tre amici erano "i re di un regno particolare"; la grande mareggiata da ovest dell'autunno del 1965, che è il momento della perdita dell'innocenza, quel momento che "spesso ci trovava soli", quello in cui realizzi che "i passaggi di età sono difficili per tutti", e mica solo per te; la grande mareggiata da nord dell'inverno 1968, quello dove oramai "il cambiamento era nelle persone", perché c'è stato il Vietnam, e mica solo quello, e dove ti rendi conto completamente che quello che eri è passato, è il passato, e che quel passato non tornerà più, non com'era prima; e infine quella della gigantesca mareggiata della primavera 1974 (che poi, guarda un po', è quando sono nato io), quando finalmente col fatto che "il passato non torna" ci puoi fare i conti e accettarlo con serenità, perché alla fine mica sei da buttare via, anche se le cose e la vita sono cambiati, e perché lo sai che - in un modo o nell'altro - hai "fatto epoca," e il passaggio di consegne con chi è ancora nell'estate della sua esistenza lo puoi accettare serenamente.

Questo a voler guardare il quadro generale, certo.
Ma se entri nei dettagli, i dettagli delle singole scene, dei gesti, delle battute, il quadro mica cambia, e sono anzi i dettagli - tutti curatissimi da Milius sia nella scrittura che nella forma del film, tutti così sentiti, personali e quindi universali, tutti così perfettamente in equilibrio tra l'epica esistenziale e il minimalismo sentimentale, tra individualismo e consapevolezza dell'irrinunciabilità dell'amicizia, così magicamente in grado di surfare l'onda di un cinema pressoché perfetti - a sorprendere, emozionare e commuovere.
Che poi, se il film di Milius è forse IL film degli appassionati di surf, in assoluto, lo è ovviamente per le splendide scene in acqua, ma anche perché il surf, la sua filosofia, parla a modo suo anche di queste cose di qui: della vita, del suo scorrere, dell'amicizia, del cavalcare le onde che arrivano, come puoi e come sai, ma cavalcarle. In qualsiasi stagione della vita tu ti trovi.
E la forza di Un mercoledì da leoni sta anche in questo: nel fatto che lo guardi a venti, a trenta, a quarant'anni, e ancora oltre, e dentro ci trovi sempre le stesse cose, che conosci bene, eppure sempre qualcosa di nuovo, e di attuale.
Perché le stagioni non finiscono di passare, la vita si trasforma sempre, le onde continuano ad arrivare. E tu sei sempre lì, in piedi sulla tavola da surf delle tue possibilità e delle tue consapevolezze, che le cavalchi come puoi e come sai, cercando di non cadere, e poi di aspettare la prossima, e ricominciare tutto daccapo.



from ComingSoon.it - Le notizie sui film e le star https://ift.tt/2likpkY

via Cinema Studi - Lo studio del cinema è sul web

Nessun commento:

Posta un commento