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La categoria in gergo è detta “Talmente brutti da dover essere visti“. Sono quei film che, a volte volutamente come nel caso della controversa casa di produzione The Asylum, a volte sperando che si riesca a soprassedere sulla bassa qualità e sul basso budget in virtù di altre fantomatiche qualità, a volte in maniera totalmente inspiegabile, vengono prodotti e immessi nel circuito cinematografico nonostante la palese (ai più) carenza di mezzi, di stile, di tecnica, di semplice senso logico. Film che, se iniziamo malauguratamente a guardare per sbaglio, ci tengono incollati allo schermo con un continuo senso di incredulità, al suono di “Non posso credere che lo abbiano fatto davvero“. Ed è subito cult, tam tam sui social e condivisione.
BLACK SHEEP – PECORE ASSASSINE
Black Sheep è un film di Jonathan King del 2006, un horror che è forse una commedia ma che spiazza per essere girato assolutamente senza (quasi) alcun riferimento comico: l’ironia è data da come le situazioni horror vengono dipinte sullo schermo, ed affrontate in maniera sfacciatamente seria dagli interpreti dei personaggi.
La trama è quella tipica dello zombie-movie, in cui il classico virus zombie creato in laboratorio (per creare pecore geneticamente modificate) colpisce gli ovini trasformandoli in esseri affamati di carne umana. C’è di tutto all’interno: licantropia ovina, sesso zoofilo, scienziati pazzi, pecore autiste di camioncini, battaglie animaliste, agnelli mutanti assassini, flatulenze esplosive e così via.
Ponendosi come una sorta di parodia del genere (ma è difficile esserne sicuri…) il film ha ricevuto sostanzialmente critiche positive. In Italia la Mediafilm ha lanciato la pellicola quasi come una vera e propria comedy, con slogan come “Contare le pecore ti toglierà il sonno!“, “Cielo a pecorelle, sangue a catinelle!” o l’evocativo “Paura lana vergine“.
DENTI
Denti ricade nella categoria “Credevo di fare un superfilm superserio“. Sconcertante.
Vari siti di settore non riescono a ben identificare la pellicola di Mitchell Lichtenstein del 2007: alcuni lo vedono come un horror, altri come una commedia, altri ancora come un fantasy, o anche come un mix di tutti e tre i generi.
Il film narra le avventure di Dawn, una ragazza che al momento di perdere la verginità con un compagno un po’ troppo violento scoprirà (si, davvero) di avere dei denti all’interno della vagina. Da qui, in una spirale di nonsense sfrenato, la ragazza (all’inizio sconvolta) passerà casualmente di letto in letto tranciando dita e peni a più non posso. Indimenticabile la scena che ritrae la prima visita ginecologica della ragazza: una sorta di omaggio a Lo Squalo (assolutamente da vedere). Come se non bastasse la pellicola sembra quasi voler essere permeata di un senso di rivalsa verso l’annichilimento della femminilità e da una sorta di denuncia contro l’energia nucleare, sottointesa causa della mutazione genetica della ragazza: temi che forse volevano restituire al film una credibilità che la pessima trattazione degli stessi non gli riesce affatto a concedere.
MY NAME IS BRUCE
Bruce Campbell, famosissimo interprete di film horror-trash (solo ora forse potremmo iniziare a definirli come tali?) come La Casa o Army of Darkness ed oggi presente nei palinsesti nella serie sequel di questi Ash versus Evil Dead (che nel cast conta anche Lucy “Xena” Lawless) è protagonista di questo film ironico ed autoreferenziale che insiste proprio sui ruoli da lui interpretati, giocando (purtroppo in modo pessimo) con il filo che unisce la realtà alla finzione.
Alcuni ragazzini appassionati di B-Movie risvegliano casualmente in un cimitero un demone cinese, Quon-Di. Uno di loro chiederà aiuto all’attore Bruce Campbell (che quindi interpreta proprio sé stesso), suo idolo che inizialmente crederà di partecipare ad una finzione.
Una pellicola tutta cucita sui dissacranti ed eccessivi personaggi di Bruce Campbell, che al di fuori della filmografia dell’attore non ha alcuna ragion d’essere. Ma anche preso con i suoi presupposti, il film realizza poco più di una vanesia autocelebrazione; per tutti i fan di Campbell però My Name is Bruce rappresenta un pilastro insostituibile della storia cinematografica.
SHARKNADO
Il Re del trash cult. Il film che ha ridefinito il genere, dalla casa di produzione più coraggiosa del momento. Lo studio The Asylum (traduzione: il manicomio) è il padre di “perle” come Mega Shark versus Giant Octopus o Mega Piranha, in cui sono mostri giganti a fare da padroni sullo schermo, o della serie televisiva Z-Nation, che riproponendosi in parte come parodia di The Walking Dead è arrivata ad avere, soppesata dei suoi contenuti volutamente trash, un livello tecnicamente migliore della serie a cui si ispira.
Sharknado racconta le vicende di una cittadina sulla quale si è abbattuto un tornado, che per una tragica fatalità aveva alzato in cielo un branco di squali affamati. In un turbinio di vicende al limite dell’assurdo (o meglio, semplicemente assurde) un gruppo di sopravvissuti guidati da Ian Ziering (il biondo Steve di Beverly Hills 90210) riesce ad arrivare indenne alla fine della giornata.
Il film ha avuto due seguiti ed un quarto capitolo è in uscita a luglio.
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Oltre ai principali film qui citati, scavando solo leggermente più a fondo potremmo trovare altri esponenti di spicco del genere: da Yado, una poverissima trasposizione della Red Sonja (con Brigitte Nielsen)della Marvel Comics, al Chicken Park di Jerry Calà che fa il verso al Jurassic Park di Spielberg, ad Avengers Grimm ancora della The Asylum dove le principesse delle fiabe formano una squadra di giustizieri al femminile per fermare un nemico comune, per i fan del trash cult la macchina cinematografica è sempre in estrema attività.
Per fortuna. O purtroppo.
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