Un po’ come nel Severance di Christopher Smith, anche in questo Il Convegno c’è un gruppo di colleghi - tutti dipendenti di un comune svedese che sta per inaugurare un grande centro commerciale che dovrebbe cambiare la vita dei residenti, ma che per il momento ha privato molti contadini delle loro terre - che fa una sorta di gita aziendale e che finisce nel mirino di un serial killer che inizia a farli fuori uno dopo l’altro.
E come in quel film inglese, anche in questo - diretto da Patrik Eklund e basato su un romanzo di Mats Strandberg - l’horror va a braccetto con lo humor. Nerissimo.
Basterebbe vedere qual è la maschera del killer di turno - una testa sproporzionata e cartoonesca che ritrae la mascotte del paese dove si svolge l’azione - per capire che qui la paura (o supposta tale) va sempre assieme alla risata. Che a volte viene anche prima.
La struttura del film è molto tradizionale: dapprima le cose procedono lentamente, dando modo allo spettatore di conoscere i vari personaggi, le relazioni che intessono gli uni con gli altri, i conflitti interni nati attorno alla decisione di promuovere la costruzione del centro commerciale, a discapito dell’ambiente e della tradizionale economia rurale del posto.
Solo dopo, stabiliti questi piani, inizia la mattanza. Che riesce in qualche uccisione creativa, e che soprattutto porta all’estremo caratteri e tensioni dei personaggi, legando in maniera esplicita e sfacciata quello che avviene con un sottotesto che, se non di denuncia, è chiaramente molto critico nei confronti delle derive più estreme del capitalismo, dell’avidità e dell’ambizione di certi personaggi.
Nonostante Eklund non si tiri indietro quando c’è da mostrare il sadismo e la violenza del killer, e - con le dovute proporzioni - non lesini nemmeno troppo sul gore - Il convegno si apprezza di più se visto come una commedia satirica, dato che il canonico rituale delle uccisioni procede in maniera programmatica e meccanica, riservando ben poche sorprese e spaventi pressoché inesistenti.
Più gradevoli sono le sfumature che emergono relative ai vari personaggi, tutti in qualche modo espressione caricaturale, non raffinatissima, di un certo qual tipo socio-antropologico della Svezia e dei paesi scandinavi in generale.
Il problema è anche in questo caso le sorprese sono poche, e che tutto sommato anche la protagonista del film, interpretata da Katia Winter, in tutta la sua insicura nevrosi (è appena tornata tra i colleghi dopo essere stata vittima di un esaurimento nervoso da superlavoro) non è particolarmente simpatica, né capace di farci provare un qualche legame empatico, senza mai nemmeno trasformarsi in un’eroina al negativo.
Lo stesso, in generale, vale per tutti i personaggi di questo film: fatto salvo quello che è dichiaratamente antipaticissimo, cattivissimo, rapacissimo (che non è il killer), non è che anche gli altri personaggi, nel complesso, brillino per qualità umane. Allo stesso tempo, il killer non pare colpire con un ordine preciso, alternando i più chiaramente “colpevoli” con altri decisamente più “innocenti”.
E in fondo, il punto di Il convegno è forse proprio questo: che oggi, nel complesso, e nel complesso della società capitalista, killer o non killer, non si salva davvero nessuno.
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