Nonostante la presenza di star hollywoodiane e britanniche, il Filming Italy Sardegna Festival ha sfoggiato un notevole parterre di talenti italiani, e se la prima giornata della manifestazione diretta da Tiziana Rocca ha visto sfilare sul red carpet Ornella Muti, Claudia Gerini, Fausto Brizzi e Ilenia Pastorelli, i protagonisti del secondo giorno sono stati Marco Bocci e Pietro Sermonti, rispettivamente regista e interprete de La Caccia, favola nera su quattro fratelli traumatizzati da un padre terribile. Il film è molto diverso da A Tor Bella Monaca non piove mai, sempre di Bocci, e può contare anche sulle doti recitative di Paolo Pierobon, Filippo Nigro e di Laura Chiatti, che del regista è la moglie. Proprio di lei ci ha parlato Marco all'inizio di un'intervista a cui faceva da sfondo il mare cristallino della Sardegna. "Lavorare con Laura è stato estremamente interessante" - ha detto. "Non mi ha sorpreso perché sapevo che è un'attrice che quando decide di lavorare e di fare un film ci si immerge totalmente. Già mentre le stavo raccontando il film in fase di scrittura, mi accorgevo di quanto si stesse appassionando al progetto. Mi hanno sorpreso invece la sua dedizione e il suo coraggio. Molto spesso gli attori, soprattutto in film un po’ atipico come il mio, tendono a fare quello che gli riesce meglio. Laura, al contrario, si è messa completamente a disposizione della storia".
Anche se è passato soltanto un anno e mezzo da A Tor Bella Monaca non piove mai, sei cresciuto tanto. Ne sei consapevole? Cosa ti ha insegnato il tuo primo film? Sei una persona curiosa?
In me è sempre presente il desiderio di imparare ogni giorno nuove cose. Nel secondo film non mi sono affidato esclusivamente a ciò che ho imparato facendo A Tor Bella Monaca non piove mai, perché il mio percorso di apprendimento dura da diverso tempo. Girando tante serie e trascorrendo molto tempo sul set, ho avuto sempre un occhio interessato e predisposto alla regia: arrivavo, mi guardavo intorno, osservavo. Dal punto di vista tecnico, tante cose le ho imparate nel corso degli anni, prima ancora di cominciare a fare la regia. Per quanto riguarda La Caccia, ho cercato di mettere a fuoco dove volevo arrivare, che genere di film volevo fare, sapendo fin dall’inizio che era un genere con dei toni complicatissimi per il panorama italiano, però a volte si cominci a lavorare a un film perché vuoi esprimere emozioni e stati d'animo che stai vivendo, e quindi, automaticamente, il tono che assume ciò che stai facendo diventa quasi un bisogno liberatorio di espressione attraverso l'arte cinematografica.
Un regista controlla ogni aspetto di un film, dalle riprese al montaggio, dalla musica alla scenografia. Cos'è che ami di più fare, che ti gasa di più?
Mi gasa tantissimo lavorare sulle musiche, e quindi costruire le scene intorno alle musiche, mi piace davvero, perché non c'è una singola scena che giro per cui non abbia in mente un'idea musicale. Un altro aspetto che mi esalta tantissimo è il lavoro con gli attori, perché vedere un attore davanti a te, che ti sta raccontando il personaggio che gli hai affidato e che sta trasformando tutto da da verbo a carne, è una cosa che mi emoziona in maniera bestiale.
Sei qui a Forte Village con Pietro Sermonti, al quale hai fatto un grandissimo regalo: un personaggio drammatico. Pietro è famoso per le parti comiche, tu invece avrai visto in lui qualcosa di diverso…
Che Pietro sia un attore straordinario lo sappiamo tutti quanti, ma soprattutto è uno che ha dei tempi comici impressionanti, quindi alcuni penseranno che per lui sia stato difficile cambiare genere e tono. Io non posso dire se sia stato facile o complicato, però lo ha fatto in una maniera incredibilmente spontanea e naturale. Mentre lavoravamo, mi sono accorto che si stava fidando di me e stava prendendo la mia direzione, o meglio quella che avevo immaginato per lui, e quindi ho avvertito un forte senso di responsabilità nei suoi confronti, così ho cercato di impegnarmi al massimo, dal momento che ero circondato da attori di talento.
Il successo è una benedizione o una maledizione, in particolare in una serie tv?
È complicato, o più che altro è la sopravvivenza dei personaggi che è complicata, e la consapevolezza è anche un'arma a doppio taglio perché è inutile che fai una serie e nessuno poi si ricorda chi sei in quella serie, tanto più se ha successo. Ma il successo altre volte ti porta a dover combattere battaglie che non ti aspettavi. Se per esempio del tuo personaggio si ricordano, a quel punto devi lottare per non essere visto soltanto come quell'immagine, e quindi devi fare scelte lavorative molto diverse. Quindi in questo senso il successo contamina il tuo percorso.
Marco, sei un attore molto conosciuto, ma resti una persona umile, con i piedi per terra. Come fai? Hai un segreto?
Secondo me è una questione di indole, di carattere, una cosa che hai dentro. Adesso si corre un rischio molto grande che prima non esisteva. Oggi ci sono molti giovanissimi che fanno questo mestiere, anche in maniera casuale, anche perché ci sono tantissime opportunità. Ai tempi nostri, quando abbiamo cominciato, e parlo ancora di serie tv, c'erano canale 5 e Rai 1, e soprattutto non esistevano ruoli per sedicenni. Ora invece che succede? Che ci sono tantissime serie teen con giovanissimi che si tende spesso a prendere per strada, ragazzi talentuosi che nel giro di un istante hanno un successo incredibile. Nello stesso tempo, però, c'è un riciclo e un cambio di serie così veloce che tu in un istante ti senti Dio, e magari hai solo 17 anni, ma passano 6 mesi, c'è una nuova serie che sta andando alla grande e nessuno si ricorda più di te, e questo è molto pericoloso. Ho conosciuto dei ragazzi che hanno avuto questo destino e che stanno vivendo dei momenti terribili, e sto parlando di ragazzi che adesso hanno solo 20 anni.
Il fatto di osservare la realtà attraverso l'obiettivo della macchina da presa ha influenzato la tua percezione del mondo?
Io attraverso la macchina da presa cerco di vedere il mondo che voglio mettere in scena, e perciò sono io che cerco di costruire quel mondo lì, quindi per assurdo è una visione già diretta. Poi è chiaro che questo lavoro mi ha portato a vedere tante cose in più del mondo che magari mi colpiscono e che mi piacerebbe approfondire proprio attraverso le storie, e nello specifico attraverso un film. Diciamo allora che il mestiere di regista mi ha fatto allargare in qualche modo la visione del mondo.
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