mercoledì 8 marzo 2023

Disco Boy, un film di guerra come non abbiamo mai visto". Parla il regista Giacomo Abbruzzese

Nel corso del nostro incontro Giacomo Abbruzzese definisce il suo Disco Boy in molti modi. Modi diversi, ma allo stesso tempo, in qualche modo, simili.
“Un film di guerra come penso non abbiamo mai visto”, dice. “Un film sulla fratellanza”, dice anche. “Il mio film politico sulla Francia”, dice ancora, aggiungendo che tra i suoi prossimi progetti ce ne sarebbe uno “politico sull’Italia, ma chissà se me lo faranno fare”.
Presentato in concorso al Festival di Berlino, dove ha vinto un Orso d’argento per la fotografia di Hélène Louvart (DoP, tra gli altri, di Alice Rohrwacher), Disco Boy parla di tutto questo e di altro ancora. Di immigrazione, per esempio, con un protagonista, Aleksei (Franz Rogowski), che dalla Bielorussia passando per la Polonia arriva in Francia e si arruola nella Legione Straniera inseguendo il sogno della cittadinanza; di lotte post-coloniali, con un altro personaggio, il nigeriano Jomo (Morr Ndiaye), che combatte con le armi le aziende del petrolio francesi che avvelenano il Delta del Niger. “L’immigrazione dall’Est Europa è stata molto poco raccontata”, spiega Abbruzzese, “mi interessava avere una prospettiva più insolita. Allo stesso modo il protagonista africano è invece uno stanziale, e questo va contro gli stereotipi. Lui è quasi un Don Chisciotte, la sua è una lotta impari, e la sorella Udoka che sa tutto è perduto e sogna di andare in Europa”. Sarà lei, infatti, il trait d’union tra Aleksei e Jomo, facendo sì che, in qualche modo metafisico, il primo prenda il posto del secondo nella sua danza, che è una danza esistenziale.
C’è molta musica, in Disco Boy, e c’è una vera chiesa trasformata in un club dove si suona musica techno: “Non una techno qualsiasi”, specifica il regista, “ma quella di Vitalic, una musica che ha con elementi abissali, lirici e melanconici che portano verso la trance e l’ascensione. Tutto il film è costruito come un’ascensione”. Per Abbruzzese, i club sono oggi “l’ultimo avamposto del sacro, per una certa generazione. Entrando in trance con un certo tipo musica hai un rapporto con l’assoluto. E l’uomo ha bisogno di porsi certe questioni, che prima poi ti pigliano, che sia attraverso lo yoga, la meditazione, la religione o un club”.

La metafisica, e la guerra, intrecciate. “Mi interessava fare un film di guerra dove l'altro esiste pienamente”, dice Abbruzzese. “La scommessa narrativa e filosofica, etica del film era quella di far entrare nel mondo di Aleksei in maniera non semplice, perché non volevo un’empatia da sue soldi. Anche nella storia di Jomo hai il tempo per entarre nel suo mondo, conoscerlo, farlo esistere. E queste due storie si incontrano e si scontrano nella giungla. Volevo un rapporto maturo coi personaggi, che non sono né buoni né cattivi, ma esseri umani irriducibili che sognano una vita migliore e sono costretti a prendere le armi”.
A tenere uniti i mondi di Disco Boy, a fare da connessione a tutto, l’acqua: “L’acqua porta la memoria, c’è una grande importanza iconica dell’acqua nella storia dell’arte, e qui per me era centrale. L’acqua scompone la materia, il film nella sua terza parte diventa liquido, si svuota per arrivare a uno squarcio di utopia possibile”, commenta Abbruzzese.
Non è stato un film produttivamente facile, Disco Boy. “Il film ha una storia di dieci anni, dieci anni di ricerche, scrittura, riscrittura, reperimento dei finanziamenti. Abbiamo girato con tre milioni e mezzo in 32 giorni, e tutti dicevano che era impossibile, che ci sarebbe servito un milione in più, e dieci giorni in più di riprese. È stato un massacro. Ho perso 7 chili durante la lavorazione. Ogni giorno è stata una corsa per salvare il film, non mi sono divertito mai. Alla fine il film somiglia a quello che volevo fare, ma per ottenere questo risultato mi sono impegnato in una lotta che non auguro a nessuno, e che spero di non dover ripetere. Altrimenti torno al doc e ai corti”, dice il regista.
Altrimenti sarà il film politico sull’Italia, o forse un progetto più personale (“ugualmente politico ma in modo diverso”) ambientato a Taranto negli anni Sessanta. “Sarà difficile ottenere i finanziamenti in Italia, ma magari l’Orso d’argento aiuterà”, auspica Abbruzzese.
Auspica, anche, il supporto di Lucky Red, che distribuisce Disco Boy, dal 9 marzo, nei cinema italiani.



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