Un genere sempre più in primo piano nell'attenzione generale, anche grazie alla proliferazione di piattaforme che li presentano volentieri, è quella del documentario. Basti pensare, parlando di quarti di nobiltà, come le due ultime edizioni di grandi festival internazionali come Venezia e Berlino siano state vinte proprio da documentari. Uno dei quali è proprio presente, e tra i favoriti, fra le nomination agli Oscar 2023, per il miglior documentario.
Stiamo parlando di Tutta la bellezza e il dolore, che sembra la front runner di qualche incollatura, come confermano pronostici e scommettitori. Del resto, la regista Laura Poitras è una veterana degli Oscar, avendo già vinto la statuetta nel 2014 con Citizenfour, sulla figura di Edward Snowden, accusato di spionaggio per aver reso pubbliche delle malversazioni commesse dalla NSA americana.
Sono titoli che coprono argomenti di interesse politico e sociale, in qualche caso si inseriscono nel dibattito molto attuale, come dei bambini durante la guerra in Ucraina, o nel passato più o meno recente. In due casi, poi, ci si affida al racconta in cui la natura, il suo rapporto con l'uomo e la sua ossessione per lo sviluppo, è al centro della narrazione. Va detto, però, che ai DGA, i Director's Guild Award a vincere è stata Sara Dosa per Fire of Love, mentre Navalny ha portato a casa i premi britannici, i BAFTA, oltre ai PGA, i riconoscimenti dei produttori. Insomma, la gara è ancora molto aperta.
I 5 candidati agli Oscar 2023 per il miglior documentario
- Tutta la bellezza e il dolore di Laura Poitras
- All that Breathes di Shaunak Sen
- Fire of Love di Sara Dosa
- Navalny di Daniel Roher
- A House made of Splinters di Simon Lereng Wilmont
Tutta la bellezza e il dolore: candidato all'Oscar 2023 come miglior documentario
Ogni lavoro di Laura Poitras incontra da anni l'attenzione dei grandi festival internazionali, e non di rado si inserisce nella stagione dei premi con buono slancio. Dopo aver raccontato figure discusse come Edward Snowden e Julian Assange in passato, si concentra sulla vita personale e la prodigiosa carriera della celebre fotografa Nan Goldin, artista ed attivista sempre in primo piano nelle rivendicazioni sociali, fra le protagoniste della vita culturale piena di energia e di anti conformismo dell'East Village.
Documenta la nascita del post-punk, oltre al movimento culturale gay di Stonewall, fra fine anni '70 e anni '80. Queste dinamiche personali in Tutta la bellezza e il dolore si intrecciano con il dramma personale della Goldin, il suicidio molto giovane della sorella maggiore, e la recente lotta contro l'epidemia di oppioidi negli Stati Uniti provocata da una famiglia, i Sackler, proprietari dell'azienda farmaceutica Purdue Pharma, e responsabile di decine di migliaia di morti per overdose. Un lavoro originale, sicuramente più compiuto rispetto agli altri della Poitras dal punto di vista cinematografico, capace di commuovere per la vicenda privata e di indignare per lo scandalo evitabile.
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All That Breathes: candidato all'Oscar 2023 come miglior documentario
Due fratelli di New Delhi impegnati a curare uccelli feriti in un quartiere della città indiana. Un punto di partenza, un microcosmo per affrontare sogni e aspirazioni personali e le contraddizioni di una nazione continente sul punto di esplodere, ma con il rischio di implodere. Un documentario molto bello di Shaunak Sen che è stato presentato al Sundance Film Festival a gennaio '22, dove ha vinto il Grand Jury Prize, con uno spazio come proiezione speciale anche a Cannes. Gli uccelli di cui si prendono cura Saud e Nadeem - musulmani - sono dei nibbi bruni, che per la loro religione permettono a chi se ne prende cura e gli dà da mangiare di vedere svaniti i propri problemi.
Il problema è che nella Delhi di oggi l'emergenza per loro non è tanto, o solo, il cibo ma soprattutto l'inquinamento che li strema al punto tale da provocarne la caduta in grande quantità. I due fratelli hanno attrezzato una vera e propria clinica in cui si sono presi cura, in vent'anni, di oltre 20 mila uccelli. All That Breathes, come suggerisce il titolo, mette in luce con immagini di grande bellezza come il nostro pianeta sia costituito da un ecosistema interconnesso, di cui noi umani facciamo parte, e dovremmo farlo in maniera attiva, non siamo delle divinità a cui tutto ciò che accade in natura non deve interessare. Siamo parte del tutto, e Sen lo racconta senza retorica e con grande poesia e seduzione filosofica.
Fire of Love: candidato all'Oscar 2023 come miglior documentario
Il documentario è un contenitore che regala al suo interno tanti ulteriori generi diversi. Come dimenticare quando mette al centro della narrazione la natura, il nostro bistrattato pianeta, con immagini che lasciano sbalorditi e relativizzano le nostre piccole fisime quotidiane, che scompaiono di fronte alla maestosa grandezza di fenomeni come i vulcani, al centro di Fire of Love di Sara Dosa, prodotto da National Geographic Documentary Films. Premiato al Sundance, racconta la vita e la carriera dei vulcanologi francesi Katia e Maurice Kraft. Due coraggiosi scienziati morti durante l'eruzione del Monte Unzen nel 1991 e presentati attraverso immagini d'archivio di rara bellezza.
Una perla che potrebbe vincere se non saranno l'impegno sociale o l'attualità politica a prevalere fra i gusti dei membri dell'Academy. Una storia d'amore, così Dosa ha definito la vicenda di Katia e Maurice, un vero triangolo alla francese, ispirato a una frase di lui, "Katia e i vulcani sono la mia love story". Hanno vissuto in maniera coerente con questa interpretazione e personalità, e il film lo mostra con grande chiarezza ed eleganza.
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Navalny: candidato all'Oscar 2023 come miglior documentario
Attenzione, potrebbe essere il terzo incomodo - come conferma la vittoria ai BAFTA e ai PGA - e per molti è anzi il vero favorito, anche più di Tutta la bellezza e il dolore e Fire of Love. Potrebbe conquistare per come ritrae il regume putiniano, un nemico ormai acerrimo e in prima pagina dell'occidente tutto. Navalny è ormai da anni il più noto dissidente russo, un oppositore che Daniel Roher racconta in un altro documentario presentato nella "solita" cornice del Sundance, dove ha vinto il premio del pubblico nella sua sezione. Si racconta l'avvelenamento di Navalny e la successiva indagine. Cominciò tutto nell'agosto 2020, quando l'oppositore fu avvelenato con un gas nervino, sentendosi male durante un volo verso Mosca, finendo in ospedale in condizioni ritenute subito gravi, in coma, dopo un atterraggio di emergenza.
Due giorni dopo fu trasportato in una clinica di Berlino, quando iniziò uno scandalo a livello mondiale, con accuse di Navalny nei confronti di Putin, a cui il Cremlino ha sempre risposto negando con decisione. Al centro del racconto c'è uno dei rari giornalisti investigativi ancora attivi in Russia, Christo Grozev, insieme a Maria Pevchikh, incaricata dalla fondazione anti corruzione creata dall'attivista e politico. Molta cura viene messa nel proporre dettagli inequivocabili che indicano il coinvolgimento di Putin. "La storia di un uomo solo e della sua lotta contro un regime autoritario", così lo definisce il regista.
A House made of Splinters: candidato all'Oscar 2023 come miglior documentario
Sembrerebbe il titolo con minori possibilità di vittoria, ma non ci sentiamo di escluderlo totalmente dalla lotta all'Oscar per il documentario. A House made of Splinters, infatti, evoca tematiche e una vicenda che potrebbe colpire il cuore dei giurati. Il film - indovinate un po', presentato al Sundance, dove ha vinto come miglior regista nella sezione documentari - racconta la storia di alcuni bambini che vivono in uno speciale orfanotrofio nell'est dell'Ucraina. Ha richiesto due anni di riprese in Donbas, è una coproduzione fra Svezia, Finlandia, Danimarca e Ucraina, diretta dal danese Simon Lereng Wilmont.
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