domenica 27 gennaio 2019

Il mio capolavoro

“Mi chiamo Arturo Silva, sono un gallerista e sono un assassino”. Declama così la voce fuori campo di uno dei due protagonisti del film Il mio capolavoro, intrigante pellicola dell'argentino Gastón Duprat, già regista de Il cittadino illustre (2016). L'affermazione - chiave di lettura di tutta la storia - risuona come un'eco nell'orecchio dello spettatore, tarlo pungente che tinge di un colore nuovo ogni scena. I cento minuti dell'opera seguono l'evolversi dell'amicizia improbabile tra il mecenate Silva e Renzo Nervi, anziano pittore in netto declino, preda di megalomania ossessiva e presuntuosa, alcolista, sciupa femmine, disordinato animalista. Tripartito classicamente in primo, secondo e terzo atto il racconto segue tre fasi differenti tra loro, ognuna delle quali scarta in direzione imprevista: attraverso una sceneggiatura intrigante, dialoghi brillanti, spostamenti di piani lo spettatore si confonde, immaginando soluzioni che poi, inevitabilmente, non accadranno. Gatto e la volpe allo sbaraglio, i due protagonisti litigano, si abbracciano, si perdonano, si sostengono, si deridono, si mandano a quel paese, poi ritornano amici. Memorabile la scena al ristorante in cui Nervi slurpa a quattro palmenti aragosta, vini pregiati, grappa prelibata di cui chiede il bis. Al momento del conto dichiara al cameriere che non ha la minima intenzione di pagare perché quel lauto pasto gli pare il minimo dovuto in cambio dell'elevato contributo da lui portato alla scena culturale argentina degli ultimi quarant'anni: il padrone del ristorante acconsente alla richiesta per quieto vivere degli altri clienti. Commedia grottesca, velato attacco al mondo dell'arte, gioco a due che cita sotterraneamente le grandi coppie americane alla Walter Matthau e Jack Lemmon nei buddy movies, il film diverte e trascina nella sua andatura di alti e bassi, di momenti di suspence, drammatici, talvolta spinti verso una comicità più ridanciana. Interpretato in maniera superba da Guillermo Francella (Silva) e Luis Brandoni (Nervi), il plot gioca con gli elementi tipici della truffa introducendo come variazioni jolly il racconto della città di Buenos Aires - amata dal gallerista che la osserva con spirito mimetico, invece vissuta in maniera asfittica dall'artista che la rifugge assieme alla falsità di chi la abita - il luogo comune della vecchiaia come tomba della creatività, la distinzione tra il vero e il falso (d'artista), lo stereotipo del maestro e dell'allievo, il tempo che stringe e l'ineluttabilità del caso. L'ultima riproduzione delle suggestive montagne della provincia di Jujuy distesa sotto gli occhi dei due amici al termine dell'avventura corrisponde alla tela di grandi dimensioni che nei pittorici titoli di testa era esposta in un museo nazionale, osservata in silenzio reverenziale da una folla entusiasta di spettatori: il cerchio che si chiude.

(Mi Obra Maestra); Regia: Gastón Duprat; sceneggiatura: Andrés Duprat; fotografia: Rodrigo Pulpeiro; montaggio: Anabella Lattanzio; musica: Alejandro Kauderer, Emilio Kauderer; interpreti: Guillermo Francella, Luis Brandoni, Raúl Arévalo, Andrea Frigerio, María Soldi; produzione: Victoria Aizenstat, Mariano Cohn, Javier Méndez, Jaume Roures, Fernando Sokolowicz; distribuzione: Movies Inspired; origine: Argentina, Spagna, 2018; durata: 100'



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