giovedì 30 settembre 2021

I migliori film in streaming ambientati alle Hawaii

Dal classico Da qui all'eternità al film d'animazione di culto Lilo & Stitch: eccovi cinque titoli in streaming la cui ambientazione solo le famose isole del Pacifico.

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Liam Neeson è L'uomo dei ghiacci: il trailer italiano ufficiale del thriller d'azione in arrivo al cinema

Messi da parte i panni dello spietato vendicatore tanto spesso indossati negli ultimi anni, Liam Neeson non ha comunque rinunciato al cinema thriller e d'azione, tanto che dal 25 novembre lo vedremo nei cinema italiani protagonista di L’uomo dei ghiacci - The Ice Road, nuovo film diretto dal regista di The Punisher (nonché sceneggiatore del Jumanji originale, di Die Hard: duri a morire e Armageddon) Jonathan Hensleigh.
Nel film Neeson è affiancato da Laurence Fishburne, e interpreta il ruolo di un autista di camion esperto di guida sul ghiaccio alle prese con una missione apparentemente impossibile: portare in salvo dei minatori rimasti intrappolati mentre le acque dell'estremo nord del Canada si vanno scongelando, una violenta tempesta si abbatte sulla zona e una minaccia insospettabile che a a che fare con il freddo e il ghiaccio incombe su di lui e i suoi collaboratori.
L’uomo dei ghiacci - The Ice Road sarà nei cinema italiani con BIM Distribuzione, e questo è il suo trailer italiano ufficiale.





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Con No Time to Die, The Space Cinema rilancia il cinema in lingua originale

L'arrivo nelle sale della nuova missione di James Bond inaugura il ciclo di uscite settimanali che The Space Cinema propone ai fan del cinema in versione originale. Dopo Dune, lo scorso 16 settembre, No Time To Die in lingua originale arriva da oggi, giovedì 30 settembre, nei multisala di Torino (Beinasco), Milano (Odeon), Firenze (Novoli), Genova (Porto Antico), Limena, Bologna, Trieste, Vimercate, Silea, Parma Centro, Napoli e Roma (Parco de Medici).

Per chi vuole godersi sul grande schermo le uscite più attese della stagione con la recitazione originale dei protagonisti basta visitare la sezione dedicata alla rassegna Hear My Voice, al link: thespacecinema.it/iniziative/hear-my-voice. La visione sarà sottotitolata in italiano.
Anche in questo caso, il circuito raccomanda la prenotazione online per assicurarsi il posto in sala ed evitare assembramenti negli spazi comuni. È possibile prenotare il proprio posto e assistere alla proiezione in VO di No Time To Die al link: thespacecinema.it/film/vo-no-time-to-die.

 



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Titane, la nascita di una nuova umanità attraverso l’amore: incontro con Julia Ducournau

Non ha certo perso la passione con cui ci raccontò alcuni anni fa la sua opera prima, Raw. Julia Ducournau ha un’idea molto precisa e personale della narrazione cinematografica, con cui vuole regalare agli spettatori un’esperienza anche disturbante, ma non certo banalmente passiva. L’emotività è sempre in gioco, anche in Titane, la sua opera seconda, in sala dal 1 ottobre distribuita da I Wonder Pictures, che ha diviso radicalmente al Festival di Cannes, dove ha trionfato con la Palma d’oro.

Alexia (Agathe Rousselle) adora le automobili, sin da quando, bambina, un incidente le ha donato una placca di titanio nella testa. Facendola rinascere, gonfia di rabbia e amore represso che la trasformeranno in un essere ibrido e nuovo. Perché la metamorfosi si completi, dovrà scoprire la forza potente che muove le cose del mondo: l’essere umano. Per farlo il suo destino si incrocerà con quello di un vigile del fuoco in lutto, interpretato da Vincent Lindon.

Amante dell’Italia, fin dalle estati trascorse da bambina lungo le spiagge pugliesi, abbiamo incontrato Julia Ducournau a Roma, in occasione dell’apertura del nuovo Cinema Troisi, e così ci ha raccontato il viaggio emotivo e artistico che l’ha portata all’ideazione di Titane.

“Quando ho incominciato a pensare a quello che sarebbe poi stato Titane, ero impegnata nella post produzione di Raw. Un momento in cui amo pensare ad altre storie, con nuove idee, per rinfrescarmi la mente dopo essere stata tanto tempo su un film. Raw raccontava in prima persona l’emancipazione di una giovane donna attraverso la scoperta della sua mostruosità. Mi sono detta che nel film c’era una relazione della protagonista con il personaggio di Adrien, un amore assoluto che ho molto amato scrivere, con la loro maniera di scegliersi, come fossero una nuova famiglia. Con amore e desiderio, al di là della loro sessualità e del loro genere, perché Adrien era omosessuale. Una storia che faceva pensare alla possibilità di un amore assoluto. Mi sono detta che era incredibile come non avessi messo questa relazione al centro del film e ho capito che l’ho fatto perché per me era molto difficile parlare d’amore. Ho l’impressione che per me sia qualcosa sempre in divenire, non uno stato acquisito. Allora mi sono sfidata a raccontare l’amore, di tipo incondizionato, caratterizzato dall’accettazione incondizionata di sé e dell’altro, al di là di ogni determinismo. Per me questo è il cuore del mio film, penso davvero sia la storia della nascita dell’amore fra due persone che non erano destinate ad amarsi in alcuna maniera.”

Titane è una storia d’amore, ma anche di un amore protettivo. Tutti i personaggi lo intendono come prendersi cura e proteggere la persona amata. Succede a Vincent Lindon verso la protagonista e alla sua ex moglie verso di lui.

È interessante, non ho mai pensato alla questione in termini di protezione, anche se ha assolutamente ragione. L’ex moglie è protettiva nei confronti di Vincent perché può sembrare una persona forte, ma in realtà è fragile e infantile. Lo sa bene essendo stata tanto tempo con lui, avendo subito insieme la perdita di un figlio. Fra la protagonista e Vincent è centrale più il riconoscimento della solitudine reciproca. Vedono l’uno nell’altra delle ferite profonde. Quello che vogliono proteggere più di ogni altra cosa è la loro umanità, il sentirsi umani insieme. Alla fine vogliono proteggere il loro amore. All’inizio Vincent vuole metterla alla prova, poi finiscono per custodire l’unica cosa che hanno nella vita: il loro amore.

Cosa rappresenta per lei la fusione fra due elementi come la carne e il metallo, cruciale in Titane, oltre che nel cinema di autori come Cronenberg o Tsukamoto?

All’inizio era qualcosa che mi disturbava, perché era al centro di un incubo ricorrente che mi ha angosciata per anni, in cui partorivo parti di motore. Davvero un incubo terrificante, non certo non sogno. Ogni volta che mi svegliavo pensavo quanto fosse forte e disturbante come immagine, anche se non riuscivo a precisare il motivo. Pensandoci per molto tempo ci ho visto la collisione fra atti puri dell’esistenza, come la vita e il parto, e il metallo che rappresenta la morte. Una collisione che mi ha angosciato. Ovviamente è poi stata alla base della sceneggiatura di Titane, con la sua potenza. Ma scrivendolo, e soprattutto girandolo, ho deciso che volevo intrecciare il metallo, rappresentato non come la morte, ma come elemento vitale, e la protagonista, fatta di carne, vitale, ma che è totalmente morta dentro. L’immagine iniziale del film, in cui ci muoviamo nel motore fino al fondo della macchina per arrivare alla ruota in movimento, rappresenta un viaggio all’interno del corpo della protagonista. Il motore per me è l’intestino, il lungo tubo sotto la macchina è la colonna vertebrale e la ruota che gira il cervello. A un certo punto vediamo fuoriuscire dell’olio per renderla organica, non morta, pulsante. D’altra parte lei invece è morta dentro, anche la placca di metallo che ha in testa dimostra come le manchino dei pezzi. Le manca una parte della sua umanità, all’inizio. Il film è il suo viaggio di trasformazione in qualcosa di diverso. Alla fine il metallo si trasforma in qualcosa di vitale, mentre all’inizio era morto. Una delle tante ragioni per cui ritengo che Titane sia un film ottimistico.

Quali emozioni vorrebbe che gli spettatori di Titane provassero?

Da quando faccio dei film, la cosa che mi interessa di più è lavorare sul corpo dei personaggi. In questo modo lavoro anche su quello degli spettatori, sulle loro sensazioni. Voglio vedere se è possibile trovare altri modi per identificarsi in un personaggio. In Titane il corpo ha un ruolo particolarmente importante, l’unica cosa che ti lega per i primi 30 minuti al personaggio principale. All’inizio non è possibile identificarsi in lei, non ha emozioni, è fredda, una psicopatica che uccide, una pulsione di morte ambulante. Ma non volevo renderla astratta, altrimenti tutti sarebbero usciti dopo pochi minuti. Non potendo identificarci con lei ho cercato di far sentire quello che prova lei, fisicamente. Anche per questo all’inizio mostro così tanta violenza in maniera così dettagliata e organica. Sempre dal suo punto di vista. Se lo spettatore la sente, finisce per aver paura per il suo corpo, per quello che può fare o che gli può succedere. Anche se non ama il personaggio e non lo approva moralmente. Questa è la maniera, per me, di mettere lo spettarore nei panni di una persona che inizialmente non ama, restando con lei e che, dopo la trasformazione umana, più che quella fisica, possa emozionare ancora di più. Tutto questo risponde a una domanda che mi pongo fin dalla fase di scrittura della sceneggiatura: perché seguire e come entrare in un personaggio che non si può amare nella prima mezz’ora? Le reazioni che in questo modo genero me le aspetto, sono volute e padroneggiate. 

Cosa pensa abbia convinto la giuria ad assegnarle la Palma d’oro?

Per quanto riguarda Cannes, le reazioni contrastanti fanno parte della mia maniera di pensare un film, che vivo più come un’esperienza che come una storia classica raccontata in tre atti. Ho abbandonato molto presto l’idea degli atti. Volevo costruire un’esperienza che portasse verso un’assenza totale di umanità, fino alla nascita di una nuova umanità attraverso l’amore. Un processo trasformativo davvero enorme. Il mio è un percorso che è iniziato dal primo cortometraggio che ho realizzato. Per questo do lo stesso nome a tutti i miei personaggi.



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George Clooney e Brad Pitt di nuovo insieme in un thriller diretto da Jon Watts

Non c'è da stupirsi che attorno a un progetto che vede coinvolti in veste di attori George Clooney e Brad Pitt, con la regia di Jon Watts, che ha firmato con successo la nuova trilogia di Spider-Man (una carriera fulminea la sua, dopo i non esaltanti inizi di Clown e Cop Car), si scatenasse l'ennesima guerra di offerte, a Hollywood. Stavolta a spuntarla sono stati gli Apple Studios.

Si tratta di un thriller ancora senza titolo della cui trama si sa ben poco, per non dir nulla, se non che Clooney e Pitt - che sono molto amici e hanno precedentemente lavorato insieme nei film della serie iniziata con Ocean's Eleven e Burn After Reading, saranno due "risolutori" incaricati dello stesso lavoro. La parola è "fixer", ovvero qualcuno che fa qualcosa di illegale per conto della malavita, non necessariamente un killer.



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No Time To Die, il nuovo film di James Bond, è al Cinema: ecco dove vederlo

Arriva oggi in tantissimi cinema d'Italia No Time To Die, il nuovo attesissimo film dell'agente 007, con Daniel Craig per l'ultima volta nei panni di James Bond. Il 25esimo film di una delle saghe più longeve e di maggior successo della storia del cinema è diretto da Cary Fukunaga e vede nel suo cast, oltre al protagonista Daniel Craig, Ralph Fiennes, Rami Malek, Léa Seydoux, Naomie Harris, Ben Whishaw, Rory Kinnear, Jeffrey Wright, Dali Benssalah, Ana de Armas, Billy Magnussen, David Dencik e Lashana Lynch. La durata di No Time to Die è di ben 163 minuti, ovvero 2h 43minuti, e ne fa il più lungo dei film della saga di James Bond.

No Time To Die: trama e trailer ufficiale in italiano del film

No Time To Die, film diretto da Cary Fukunaga, racconta di come l'agente 007 James Bond (Daniel Craig), ormai ritirato dal servizio dopo la cattura di Franz Oberhauser, viva un'esistenza tranquilla in Giamaica, lontano dalle avventure e dai pericoli che hanno contornato la sua carriera da spia. Questa sua serenità e pace dei sensi, però, dura davvero poco, perché viene disturbata improvvisamente dalla comparsa di Felix Leither (Jeffrey Wright), un vecchio amico di James che lavorava insieme a lui per la CIA. L'uomo si è messo in contatto con Bond per un motivo ben preciso, ovvero chiedergli aiuto per una missione: liberare uno scienziato rapito, Waldo Obruchev (David Dencik).
Bond accetta e viene affiancato da Nomi (Lashana Lynch), una nuova agente. Ma l'impresa si rivela più delicata e rischiosa del previsto, la ricerca dei sequestratori, infatti, porterà lo 007 sulle tracce di un super criminale, Lyutsifer Safin (Rami Malek), affiliato alla Spectre e in possesso di una nuova tecnologia che potrebbe mettere a serio rischio il pianeta.

No Time to Die: in quali Cinema vederlo?

No Time To Die: la nostra recensione del nuovo film di James Bond

Venticinquesimo film della saga di 007, ultimo dell'era Craig, No Time to Die è inevitabilmente un film che fa i conti col presente, col tempo che passa, con la morte, col ruolo (inattuale) di Bond nel mondo di oggi e con la sua eredità. Lo fa spuntando tutte le caselle indispensabili all'identità di un film di 007 (dalle auto ai martini, dagli smoking ai gadget, passando per i personaggi simbolo della serie) ma anche riservando una serie di sorprese spiazzanti: da un tono sospeso tra la massima cupezza e una leggerezza più camp che ironica, a un finale epocale, sorprendente, commovente, capace di lasciare anche negli occhi, e nel cuore, un'immagine bondiana totalmente inedita. Fukunaga non è più di un discreto mestierante, e Phoebe Waller-Bridge non ha forse inciso fino in fondo sul copione, ma poco importa di fronte a un film che porta una saga e un personaggio a conseguenze estreme che entreranno nella storia. (Federico Gironi - Comingsoon.it)

Leggi anche No Time to Die, la recensione: Daniel Craig lascia con uno schianto, ma anche con insospettata tenerezza



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Romics 2021 alla partenza, Mila il corto di Cinzia Angelini discusso in un workshop

S'intitola Mila il cortometraggio animato di Cinzia Angelini, al centro di un workshop nel corso della 27ma edizione del Romics, in partenza oggi alla Fiera di Roma e in chiusura domenica 3 ottobre. Il workshop/panel di cui parliamo s'intitola "Corti che vincono tutto: Mila!" e si svolgerà venerdì 1° ottobre dalle 16.45 alle 17.30 presso il Pad. 8 Romics Experience, moderato da Max Giovagnoli, responsabile Romics Cinema, e da Sabrina Perucca, direttore artistico della manifestazione.
L'incontro sarà l'occasione per approfondire la realizzazione di questo particolare cartoon, un "art department diffuso" creato con la collaborazione di 350 artisti provenienti da 35 diversi paesi, un collage di sensibilità ed esperienze per tessere la vicenda della piccola Mila, la cui serena esistenza è stravolta dai bombardamenti sulla città di Trento nel terribile 1943, durante la II Guerra Mondiale. Il workshop prevede interventi online della regista Cinzia Angelini, del montatore Antonello Risati e del compositore Flavio Gargano.
Sul sito ufficiale del cartoon si legge che Mila è stato realizzato all'insegna "dell'inclusione e della diversità, elementi chiave nell'assemblaggio di un team multilingua e multiculturale. Siamo fieri di rappresentare una varietà di paesi, e in particolare di avere il 30% del team composto da donne in posizioni di leadership".



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Wonka: Olivia Colman, Sally Hawkins e Rowan Atkinson eccezionali spalle per Timothée Chalamet

Le riprese di Wonka, prequel di La fabbrica di cioccolato, a sua volta remake de Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato, entrambi adattamenti del celebre romanzo di Roald Dahl, sono già in corso a Londra. Il regista è Paul King, autore del grande successo di Paddington.

Come è stato già ampiamente discusso, Willy Wonka giovane sarà Timothée Chalamet, ma oggi sappiamo che ad affiancarlo ci sarà un tris di attori di un certo livello: il premio Oscar Olivia Colman, l'esilarante Rowan Atkinson e Sally Hawkins, che tutti ricorderanno come protagonista di La forma dell'acqua di Guillermo del Toro e che ha già lavorato con King nel secondo Paddington.

Fa scalpore soprattutto il nome di Olivia Colman nel progetto, ma sembra che l'attrice abbia deciso di dedicarsi anche a ruoli più leggeri: la vedremo infatti anche in Secret Invasion della Marvel. Wonka, che a questo punto incuriosisce sempre più, arriverà nei cinema nel marzo 2023.



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Il Gladiatore 2: Ridley Scott alle prese con la sceneggiatura

A 83 anni Ridley Scott è uno dei registi della "vecchia guardia" più attivi: dal 2017 ha realizzato ben 4 film, oltre a produrre regie di altri e serie tv, e dopo House of Gucci (che uscirà il 16 dicembre al cinema) e The Last Duel (che lo precederà il 14 ottobre), è già in procinto di realizzare Kitbag, il suo film su Napoleone, prima del sequel de Il Gladiatore, di cui da molto tempo si parla. E proprio dello stato di questo progetto Scott ha parlato con Empire, raccontando che è molto più concreto di quanto pensassimo:

"Lo stiamo già scrivendo ora, così non appena ho finito con Napoleone, Il Gladiatore sarà pronto a partire". Il seguito del film del 2000 che lanciò il talento del giovane Joaquin Phoenix in campo internazionale, è stato inizialmente annunciato nel novembre 2018 e seguirà il nipote dell'imperatore Commodo di Phoenix, Lucius, e della Lucilla di Connie Nielsen, salvati dal Maximus di Russell Crowe nel primo film.

Nel film che precederà il secondo Gladiatore, Kitbag (parola che indica lo zaino militare), Napoleone sarà interpretato proprio da Joaquin Phoenix, assieme a Jodie Comer.



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Bond una volta, Bond per sempre: l'82enne George Lazenby va al cinema a vedere No Time to Die

Se siete irriducibili fan della saga cinematografica di James Bond, sapete che c'è un titolo dei 25 film sull'agente 007 che è sempre stato definito uno dei migliori in assoluto. Per qualche distratto spettatore il film in questione esce un po' dai radar per il fatto di essere stato interpretato dall'unico attore che ha vestito lo smoking di James Bond una volta sola, l'australiano George Lazenby. Sappiamo che tutti (o quasi) vogliono riconoscere in Sean Connery l'unica inimitabile incarnazione del personaggio, che Daniel Craig abbia fatto un eccellente lavoro negli ultimi quindici anni arrivando a congedarsi con No Time to Die (da oggi 30 settembre al cinema) e che Roger Moore sia l'altra icona cinematografica ad averlo interpretato con una certa gigioneria in sette film. Ma il lavoro che fece George Lazenby nel 1969 con Al servizio segreto di Sua Maestà è ritenuto estremamente meritevole di lodi e il film stesso giudicato uno dei migliori (se non il migliore, dicono in tanti).

Lazenby, che oggi ha 82 anni e vive a Los Angeles, ha postato sul suo profilo Instagram una foto che lo ritrae accanto a un cartonato di No Time to Die. L'attore ha sempre apprezzato e supportato quanto fatto da Daniel Craig con James Bond. "Siccome non era fattibile per me andare a Londra per l'anteprima mondiale, mi sono organizzato per vedere il film qui a Los Angeles" ha scritto l'attore aggiungendo "scelte musicali interessanti, devo dire". Lazenby ha visto il film all'anteprima organizzata presso la sala dell'American Legion Post 43 di Hollywood, un catena di cinema gestiti da un'associazione per veterani di guerra. Qui sotto il post di Lazenby, più in basso la sequenza di apertura di Al servizio segreto di Sua Maestà e più in basso ancora il trailer di No Time to Die.



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No Time To Die, "James Bond va rispettato e reinventato"; parla Hans Zimmer, autore della colonna sonora

No Time to Die, venticinquesimo film di James Bond 007 e ultimo interpretato da Daniel Craig, è appena arrivato in sala: all'anteprima mondiale presso la Royal Albert Hall c'era anche il compositore Hans Zimmer, premio Oscar per Il re leone, tre volte nomination per i film di Christopher Nolan (Inception, Interstellar, Dunkirk). Sul red carpet Zimmer, che non aveva mai composto per la saga craigiana prima d'ora, ha fatto eco a quello che lo stesso Daniel Craig ha dichiarato, in merito al rispetto della tradizione, nel tentativo di proporre qualcosa di nuovo e farla evolvere. Ecco le sue parole precise:

È uno straordinario lavoro di narrazione, di creazione del mito. Insomma, Bond non è... è sempre stato un mito, ma mantenerlo tale, mantenerne l'integrità, impegnandosi su questo, reinventandolo costantemente... Non è mica facile. Fidatevi di me, lo so!

Sarà un bell'impegno, per chiunque raccoglierà il testimone da Daniel Craig, essere all'altezza del suo Bond più crudo, umano e nei limiti realistico. Le musiche di No Time to Die sono a cura di Zimmer, ma la theme song - elemento importante di ogni film di 007 - è il brano omonimo cantato da Billie Eilish, scritto da lei stessa con suo fratello Finneas O'Connell. Leggi anche No Time To Die, Daniel Craig: "Abbiamo capovolto James Bond in tutti questi anni"



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House of Gucci, il poster ufficiale con Lady Gaga, Adam Driver e il cast

In attesa del 16 dicembre 2021, giorno previsto per l'uscita di House of Gucci di Ridley Scott, il lungometraggio si mostra ancora con un poster ufficiale: l'occhio è guidato naturalmente verso il centro, dove regge l'immagine Lady Gaga nei panni di Patrizia Reggiani, attorniata dal notevole cast composto da Adam Driver (Maurizio Gucci), Jared Leto (Paolo Gucci), Al Pacino (Aldo Gucci) e Jeremy Irons (Rodolfo Gucci).
Il film, oltre a raccontare in parte la storia della famiglia Gucci, si concentra com'è intuibile sull'omicidio di Maurizio ad opera di un killer pagato da Patrizia, a quanto sembra gelosa del marito che l'aveva lasciata per una donna più giovane: cronaca nera nel jetset che nel 1995 fece molto discutere. Dopo aver scontato 26 anni di carcere, dove tentò il suicidio, Patrizia è tornata in libertà nel 2017 per buona condotta.
House of Gucci è basato sul libro omonimo di Sara Gay Forden, adattato da Roberto Bentivegna e Becky Johnston, già autrice dei copioni di Il principe delle maree, Sette anni in Tibet e Il mondo di Arthur Newman. Leggi anche La recensione del film di animazione Zanna Bianca



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Quo vadis, Aida? in esclusiva una clip del film presentato in concorso a Venezia, da oggi al cinema

Una guerra che sembra lontana, ma le ferite sono ancora vive. Siamo in Bosnia, in una città diventata tristemente nota nella storia recente per ragioni terribili: Srebrenica. Quo vadis, Aida? è il nuovo film diretto da Jasmila Zbanic, già Orso d'oro alla Berlinale 2006 con la sua opera prima, Il segreto di Esma. in uscita dal 30 settembre nelle sale, distribuito da Academy Two, ricostruisce i tragici eventi avvenuti nel 1995 nella città balcanica, durante la Guerra in Bosnia. 

Vi presentiamo in esclusiva una scena del film, che ben ci trasmette la frenesia drammatica di quelle ore, in cui Aida, interprete dell'ONU a Srebrenica, si trova a dover gestire informazioni cruciali sull'arrivo dell'esercito serbo in città. Fra le migliaia di persone che cercano di rifugiarsi nella missione internazionale in città c'è anche la sua famiglia. Quo vadis, Aida? è stato presentato in concorso a Venezia 77 e nominato ai Golden Globe per il miglior film in lingua straniera.

Una clip video in esclusiva di Quo vadis, Aida?



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No Time to Die: le reazioni internazionali ci dicono che è valsa la pena di attendere

Il giorno dopo l'anteprima mondiale di No Time to Die, venticinquesimo titolo della serie di James Bond e addio di Daniel Craig al personaggio, sono apparse le reazioni della stampa internazionale, che ha finalmente visto il film, la cui uscita è stata a lungo ritardata dalla pandemia. Il pubblico italiano si prepara a invadere i cinema il 30 settembre, e le aspettative sono rosee, come possiamo vedere da una selezione di testate americane e inglesi.

Proprio in riferimento al ritardo a cui è stato costretto il film diretto da Cary Fukunaga il newyorkese The Times ha titolato: "È valsa la pena di attendere?" La risposta è più che positiva, 5 stelle su 5 e il seguente sintetico giudizio (prima della recensione dettagliata)

No Time to Die è più che bello. È magnifico. Con No Time to Die il Bond di James Craig ha finalmente tenuto fede alla sua promessa iniziale: un commovente ritratto di un eroe antiquato che affronta la sua stessa obsolescenza.

5 stelle anche per il britannico The Guardian, che in una parte della sua entusiastica recensione scrive:

L'ultimo film di Craig nel ruolo della diva dell'Intelligence britannica è epico e mirabolante, con la sceneggiatura di Neal Purvis, Robert Wade e Phoebe Waller-Bridge che regala pathos, azione, drama, commedia camp, strazio, orrore macabro e azione esageratamente sciocca e di altri tempi in un film che ricorda il mondo del Dottor No sulla sua isola.

Indiewire non mette stellette ma definisce No Time to Die: "Il film di 007 più emotivo di sempre". Il recensore, David Ehrlich, scrive che è un melodramma mascherato da moderno blockbuster action e che gli è piaciuto (solo) come tale, spiegando:

È l'equivalente per lo spy movie moderno de L'ultimo Jedi, l'universo dice a James Bond che non ha altra scelta che lasciar morire il passato - di ucciderlo se necessario - e lo sfida a premere il grilletto. L'attore non batte ciglio. Invece zoppica, sogghigna e si fa largo sparando attraverso cinque film ineguali colmi di emozioni represse per farci piangere. Il risultato forse è il film di Bond meno eccitante del 21esimo secolo, ma innegabilmente anche il più commovente.

Deadline Hollywood raccomanda di vederlo al cinema e loda No Time to Die e soprattutto Daniel Craig, che  "porta a termine il suo compito, ancora una volta, in un film che si dimostra un finale perfettamente adatto per l'attore che dà al ruolo emozione, potenza e stile".

Torniamo in Inghilterra con The Telegraph, che assegna al film cinque stelle e lo definisce "stravagante, soddisfacente e commovente".

Dulcis in fundo, i due organi ufficiali dell'entertainment: Il critico di Variety titola: "Il Bond di Daniel Craig ottiene il commiato che merita nel film migliore della serie dai tempi di Casino Royale". E continua entusiasta (e con un linguaggio un po' barocco):

È un film fantastico: un thriller di James Bond aggiornato e al limite, con una soddisfacente sfumatura neoclassica. È un film di Bond sfacciatamente convenzionale, che è stato fatto con estrema raffinatezza e con il giusto pizzico di anima, oltre che con una quota di elegante sorpresa sufficiente a tenerci sulle spine.

The Hollywood Reporter è più tiepido nel giudizio e sottolinea anche alcuni difetti di No Time to Die, come l'eccessiva lunghezza e alcuni buchi di sceneggiatura, ma nell'insieme, dice, l'appassionato avrà molto di cui godere, dalla performance di Daniel Craig alle spettacolari scene d'azione. Il recensore si sofferma sulla trama e sottolinea una scena deliziosa tra Bond e Q, dovuta a suo parere all'arguta penna di Phoebe Waller-Bridge.

No Time to Die arriva nei  cinema italiani il 30 settembre e anche voi potrete dire la vostra in proposito.



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mercoledì 29 settembre 2021

Buon compleanno Monica! I migliori film in streaming interpretati dalla Bellucci

Vogliamo celebrare oggi i 57 anni di Monica Bellucci, una delle attrici italiane più conosciute a livello internazionale. Affermatasi come top-model negli anni ‘80, la Bellucci nel decennio successivo ha intrapreso la carriera di attrice lavorando con alcuni tra gli autori nostrani e internazionali più affermati. Quante interpreti italiane possono infatti vantare collaborazioni eccellenti quali Francis Ford Coppola, Giuseppe Tornatore, le sorelle Wachowski, Terry Gilliam e altri ancora? Apprezzata probabilmente più all’estero che in patria, Monica Bellucci in questi anni ha diviso la propria carriera tra Hollywood e la Francia, terra di adozione artistica e professionale. Ecco dunque i cinque film in streaming scelti per rendere omaggio a Monica Bellucci, attrice e diva come nessun’altra. Buona lettura.

Cinque film in streaming interpretati da Monica Bellucci

  • Dracula di Bram Stoker
  • Under Suspicion
  • Malèna 
  • Matrix Reloaded
  • I fratelli Grimm e l’incantevole strega

Dracula di Bram Stoker (1992)

Chiamata da Francis Ford Coppola a interpretare una delle tre concubine del vampiro Gary Oldman, la Bellucci ottiene un battesimo internazionale senza precedenti. Il Dracula di Bram Stoker (ma è molto di più del cineasta che del romanziere…) diventa un film visionario e sfrontato, un compendio di effetti speciali meccanici e di trucco senza precedenti. Magnifica visione di cinema totale, vincitrice di tre premi Oscar tecnici. Nel cast anche Keanu Reeves, Winona Ryder, Cary Elwes e Sir Anthony Hopkins nel ruolo di Van Helsing. Uno dei film che hanno segnato la Hollywood degli anni ‘90. Spettacolare  e personale. Disponibile su Rakuten TV, CHILI, Google Play, Apple Itunes, Netflix, NOW.

Under Suspicion (1999)

Anche se Under Suspicion non è uno dei gialli più memorabili della storia del cinema, per la Bellucci arriva la possibilità di recitare con due dei più grandi attori della storia del cinema contemporaneo. Gene Hackman e Morgan Freeman da soli tengono in piedi un thriller di routine che Stephen Hopkins confeziona con professionalità. La differenza la fanno ovviamente due attori di talento cristallino, che si divertono a interpretare ruoli consumati e affascinanti. Prodotto di genere che si lascia guardare e si fa ammirare per il talento che contiene. Disponibile su NOW.

Malèna (2000)

Per raccontare la sua Sicilia, il suo fascino e le sue contraddizioni storico-sociali il premio Oscar Giuseppe Tornatore chiama come protagonista la Bellucci, che lo ripaga con la miglior prova d’attrice della sua carriera. Fascino, incredibile presenza scenica, sensualità e un tocco drammatico mai visto prima. Se Malèna è senza dubbio uno dei migliori lungometraggi dell’autore il merito è anche dell'interprete principale. Nomination all’Oscar per la fotografia e per le musiche dell’eterno Ennio Morricone. Uno dei migliori film della filmografia della Bellucci. Disponibile su CHILI, Infinity +.

Matrix Reloaded (2003)

Anche se in un ruolo secondario, altra partecipazione d’eccezione a uno dei film di culto di quel decennio. Dopo il successo del primo episodio con Matrix Reloaded le sorelle Wachowski lasciano esplodere la loro immaginazione sci-fi portando lo spettacolo a un altro livello. L'ultima sequenza del film è da leggenda, storia del cinema contemporaneo per spettacolo e meraviglia della visione. Film dagli incassi stratosferici e dal successo mondiale. Perfetto Keanu Reeves come protagonista. A nostro avviso sotto alcuni punti di vista è anche meglio del primo...Disponibile su Rakuten TV, CHILI, Google Play, Infinity +, Apple Itunes, TIMVision.

I fratelli Grimm e l’incantevole strega  (2005)

E chiudiamo la carrellata sulla carriera di Monica Bellucci con un altro grande autore di culto, ovvero Terry Gilliam. I fratelli Grimm e l’incantevole strega è forse un prodotto più “indottrinato” rispetto ai suoi capolavori liberi e stravaganti - pensiamo a Brazil come a La leggenda del re pescatore - ma rimane senza dubbio un film affascinante e fantasioso. E poi l’attrice deve comunque vedersela con Heath Ledger e Matt Damon, altri due premi Oscar e pesi massimi di Hollywood. E se la cava come sempre col suo fascino irresistibile. Divertente, spigliato e a tratti parossistico. Insomma, Terry Gilliam...Disponibile su CHILI, Google Play, NOW.



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The Queen Helen Mirren a Bari: “Uomini, non ci date per scontate”. E arriva Zalone

A rendere omaggio alla regina del cinema britannico, che è stata Elisabetta II in The Queen di Stephen Frears, è arrivato al Bari International Film Festival addirittura Checco Zalone, che con Helen Mirren ha ballato al ritmo della buffa canzone "La Vacinada". L’attrice ha ricevuto, presso il Teatro Petruzzelli e in mezzo agli applausi, il Federico Fellini Platinum Award for Cinematic Excellence. Lo stesso premio è andato al marito Taylor Hackford, che con la sua signora possiede una masseria non lontano da Tricase. Appena è comparso l’impareggiabile Checco sul palco, il tacco della scarpa rossa dell’attrice si è incastrato nel pavimento, e Luca Medici ha prontamente soccorso l’amica dicendo: "Dodicimila Euro di tacco" e "Io sono contentissimo di averti dato la possibilità di lavorare con me". Poi Checco ha condiviso con il pubblico la sua personalissima motivazione del riconoscimento, che è l'amore della Mirren per la Puglia, perché è facile per George Clooney amare la sua villa sul lago di Como, e per Leonardo DiCaprio il suo attico a Verona, ma scegliere Tiggiano come propria residenza estiva è un atto di grandissimo affetto per la terra che ospita il Bif&st. L’indomani Helen Mirren ha tenuto una masterclass insieme a Paolo Virzì, e i due hanno ricordato i tempi felici della loro collaborazione (per Ella & John - The Leisure Seeker) e hanno parlato di fughe sul set, cinema inglese e di girl power.

La masterclass di Helen Mirren e Paolo Virzì al Bari International Film Festival 2021

A moderare la masterclass Mirren/Virzì è stato il regista e giornalista David Grieco, che ha espresso tutta la sua ammirazione per una donna che è sempre stata ribelle, anrticonformista, determinata e intelligente. Virzì era ed è d’accordo con il collega e così è cominciata una chiacchierata che ha toccato diversi argomenti:

Parole di lode

P.V. - Anche io ho una grandissima ammirazione per l'artista e la persona. Helen Mirren è la testimonial dell'intelligenza, del coraggio e della libertà. E’ stato meraviglioso aver avuto il privilegio di stare gomito a gomito con lei in un camper e vederla gestire ogni momento e ogni cosa con intelligenza, grazia e un talento fenomenale, perfino quando si trattava della luce di Luca Bigazzi, che è crudele perché mostra la fragilità dei corpi, cosa di cui a lei non importava, perché non si preoccupava di essere carina. Ci siamo fatti una promessa con Helen. Ci siamo detti: raccontiamo un po’ di segreti su come abbiamo lavorato insieme, facciamo coming out, diciamo la verità sul nostro viaggio.

Girare in ordine cronologico

H.M. - La prima cosa interessante è che tu, Paolo, abbia deciso di girare Ella & John in sequenza cronologica. Di solito, in un film, si comincia dall'ultima scena e magari si prosegue con la prima. Non avevo mai lavorato così. Il viaggio e il film sono andati di pari passo.

Donald Trump

H.M. - Era l'estate del 2016 e l'America stava bruciando. Abbiamo cominciato dalla scena nella casa di Ella & John, eravamo ad Atlanta. Alla fine siamo arrivati a Key West e durante il viaggio ci siamo fermati in diverse aree di campeggio, e là ho scoperto un mondo che non conoscevo. Eravamo in un periodo particolare per la politica americana. Donald Trump si era candidato alla presidenza degli Stati Uniti, quindi attraversavamo una fase di cambiamento, e Paolo, da italiano, era nelle retrovie, osservava con curiosità e fascinazione quello che stava accadendo, e così abbiamo deciso di inserire qualcosa di quel periodo nel film.

P.V. - Ho aggiunto una scena nella parte finale. Dappertutto c'erano segni di questa violentissima campagna elettorale che divideva l'America e anche la nostra crew: i capi reparto erano a favore di Trump, mentre quasi tutti gli altri no. La nostra troupe veniva dalla Georgia e molti dei suoi componenti avevano armi nel portabagagli, cosa che ho scoperto essere frequente negli Stati Uniti.

Un italiano a Hollywood

P.V. - La parte italiana del film, composta innanzitutto da me e Luca Bigazzi, è rimasta sconvolta dalle regole dell’organizzazione del lavoro in America. In Italia siamo abituati al cosiddetto cinema da guerriglia: corriamo a cercare la luce, non stiamo mai fermi, sfruttiamo tutte le occasioni. Avevamo due aiuto-registi: la mia, Betta, e un tipo delle unions americane che aveva fatto Grease. Secondo le regole organizzative del lavoro negli States, una volta girata una scena, tutti i reparti devono controllare gli attori, ma noi stavamo in un camper senza aria condizionata, era luglio e in Florida e Georgia l'umidità era tremenda. Avremmo dovuto aspettare il controllo del trucco e del parrucco. Ci sembrava una pazzia, per cui ogni tanto spegnevamo le radio con cui eravamo collegati con l'aiuto regista americano e scappavamo, Donald guidava, io aiutavo Helen a sistemare la parrucca, fuggivamo e giravamo come dei matti mentre alla radio l'aiuto regista USA gracchiava: "What the fuck are you doing?".

Il cinema inglese

H.M. - Il cinema britannico ha uno svantaggio di fondo: la lingua inglese. Gli americani parlano in inglese e quindi ho sempre visto una certa schizofrenia. Il cinema britannico ha sempre avuto un occhio rivolto al mercato USA e questo non gli è stato utile, perché nel momento in cui si fa un film pensando al guadagno, si perde quella volontà di realizzare qualcosa di vero, autentico, di fedele alla cultura e alla storia del mondo da cui si proviene. Io per fortuna ho lavorato con registi che sono riusciti a prendere le distanze, come Peter Greenaway e Lindsay Anderson, però per lungo tempo ho avuto difficoltà a lavorare per il cinema inglese. Credo che i film più belli siano quelli locali, che mantengono la specificità del contesto del pubblico che li va a vedere. Naturalmente ci sono diversi tipi di cinema, adesso sono in un film di supereroi, Shazam 2!, che è bellissimo, perché si vede l'artigianalità e l'attenzione ai dettagli è ineccepibile.

Una storia americana o italiana?

H.M. - La ragione per cui ho accettato di fare il film è che avevo visto gli altri lavori di Paolo. Avevo amato la sua sensibilità, umanità e il suo umorismo mai brutale e aggressivo, ma gentile e che riflette sulla condizione umana. Paolo, ti sei avvicinato al cinema americano con una storia che avrebbe potuto benissimo essere italiana.

P. V. - Certo, e il viaggio potevamo farlo da Torino a Tiggiano. Ella & John è un'opportunità che mi è stata offerta, non una mia iniziativa. Volevo evitare di cedere alla tentazione facilona di andare a girare negli Stati Uniti, così ho cercato di proteggermi dicendo: "Ok, lo faccio solo se Ella la interpreta Helen, mentre Donald è John. Purtroppo per me, o per fortuna, hanno accettato, pensavo che fosse impossibile, ma a quel punto non potevo sottrarmi, e ho fatto bene, perché il film è stato uno spettacolo per me, ho imparato tanto in termini di lavoro con gli attori, soprattutto a gestire due scuole diverse, opposte, in termine di approccio al personaggio. Donald, che è un'icona della New Hollywood, è figlio del metodo Strasberg. Io non ho incontrato Donald Sutherland ma John Spencer. Donald era già il personaggio fin dal nostro primo incontro ed è rimasto in parte per tutto il tempo delle riprese, anche fuori dal set. Credetemi, era difficile avere a che fare con un personaggio che sta perdendo la testa. Helen, invece, lavorava in maniera opposta. Come sapete, doveva interpretare una signora che nasconde la sua infelicità causata dalla consapevolezza di avere una malattia terminale, e tuttavia la sua maniera di avvicinarsi al personaggio era leggerissima. Parlavamo del suo torcicollo, di cucina pugliese, di come fanno bene il pane e prosciutto in Italia, poi si cominciava a girare e lei faceva cose commoventissime. Quindi davamo lo stop, e lei mi diceva cose tipo: "Ah, ti devo far assaggiare il succo di melograno che facciamo noi". Non so se questo sia il metodo british di un'attrice che viene dal teatro o semplicemente il metodo Mirren.

H.M. - Ci sono anche degli attori britannici, come Gary Oldman, che lavorano un po’ più come Donald Sutherland: devono immergersi nel personaggio e non devono uscirne. Il loro metodo è legittimo, ma io lo trovo faticosissimo, io tra una scena e l'altra voglio condurre una vita normale, restare l'essere umano che sono. Non credo che la mia maniera faccia perdere qualità alla performance. Kate Winslet è esattamente come me, poi è chiaro che, quando comincia la scena, devi essere concentrata e pensare solo al lavoro, ma fra un ciak e l'altro mi distrarrebbe continuare con l’immedesimazione, perché tu sei il tuo personaggio e devi recitare per la macchina da presa, non per il camper del trucco.

La serie tv Prime Suspect

H.M. - E’ stata la prima volta in cui una donna è stata protagonista di una serie tv poliziesca, prima di allora c'erano state solo un paio di serie americane. Prime Suspect è stata rivoluzionaria per l'epoca, l'ho fatta per diversi anni e nel frattempo ho recitato in altre cose. E’ stata una meravigliosa opportunità perché mi ha permesso di imparare qualcosa sulla recitazione al cinema, ed è stata quindi vantaggiosa per la mia carriera, anzi posso affermare con tranquillità che è stata la più grande lezione professionale che ho avuto. All'inizio il set cinematografico mi intimidiva, non avevo idea di chi fossero tutte quelle persone, poi ho imparato che è importante l'operatore che spinge il dolly, che quando lo guardi ti può aiutare nel tuo lavoro. Ho capito inoltre quanto sia fondamentale l'assistente operatore, a cui dico spesso: "Io posso anche essere bravissima, ma se tu sbagli il fuoco, la scena è rovinata". La bellezza del cinema, comunque, è che si tratta di un lavoro collettivo. Anche chi prepara il cibo è fondamentale. Il cinema è un esercito di collaboratori, Sembra di stare in un circo itinerante, e io sono contenta di aver fatto parte del circo di Paolo Virzì insieme a Donald.

Le donne e il cinema

P.V. -  Il cinema italiano è poco inclusivo, è molto maschile, l'unica sceneggiatrice di una volta era Suso Cecchi d'Amico, e c'erano due registe, Liliana Cavani e Lina Wertmüller​, che andavano sul set con i pantaloni. Le cose stanno un po’ cambiando. Da Francesca Archibugi in poi le registe hanno cominciato a presentarsi al lavoro in gonna, e per fortuna si stanno moltiplicando le registe di grande valore, le direttrici della fotografia. Tutto questo mi fa pensare che un movimento si sia messo in marcia, e mi fa ben sperare. Ciò che succede in USA mi stupisce perché a volte oltrepassa la linea della ragionevolezza, in particolare per i temi della morale e della sessualità.

H.M. - E’ straordinario essere testimone di questa rivoluzione. Per la gran parte della mia carriera, sono arrivata sul set e il 99% delle persone che vedevo erano uomini. La cosa interessante era che i maschii non sembravano rendersene conto, per loro era la normalità, c’erano al massimo 2 o 3 donne. Lo dicevo agli uomini e loro sembravano non capire. Il problema è che ti abitui a questa cosa, cominci a gestirla, ma non è stato facile né piacevole. Dicevo ad alcuni uomini: "Immagina se ogni giorno della tua vita tu arrivassi sul tuo luogo di lavoro e fossi uno dei pochissimi uomini. Come ti sentiresti?". Qualcuno per fortuna ha cominciato a rifletterci sopra e io stessa sono stata testimone del cambiamento. 10 anni fa ho lavorato con il primo direttore della fotografia donna. E’ una trasformazione molto recente e tutti stanno imparando le nuove regole del gioco. E’ fondamentale stabilire nuove regole. Però non si può fare nulla senza opportunità, è importante che vengano date opportunità, perché senza di esse non c'è lo spazio per agire, ed è questo che dovremmo fare: ampliare il mondo delle opportunità. Vale per qualsiasi cosa: per questioni di razza, di genere. Gli ultimi 5 anni sono stati in questo senso elettrizzanti. Pensavo che ormai i giochi fossero fatti e le porte si fossero chiuse, e invece la vita è così: trova sempre dei nuovi modi per sorprenderti. Certo, queste nuove regole vanno rinegoziate, e non è facile.

Il consiglio di Helen Mirren agli uomini

Non date nulla per scontato.



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Cry Macho - Ritorno a casa: il trailer italiano e il poster ufficiale del nuovo film di e con Clint Eastwood

Vi presentiamo oggi il trailer e il poster italiani ufficiali di Cry Macho - Ritorno a casa, il nuovo film diretto e interpretato dal Premio Oscar Clint Eastwood.
Nel film Eastwood, anche produttore della pellicola, interpreta il ruolo di Mike Milo, ex stella del rodeo e ora allevatore di cavalli in declino, che nel 1979 accettò l'incarico di un ex boss di riportare a casa il figlio dal Messico. Costretto a percorrere strade secondarie nel loro viaggio verso il Texas, l'improbabile coppia affronta un viaggio inaspettatamente arduo, durante il quale l'allevatore di cavalli, ormai stanco di tutto, trova dei legami imprevisti oltre che il suo senso di riscatto.

Il film, ispirato al romanzo "Cry Macho" di N. Richard Nash, anche co-sceneggiatore della pellicola, vede nel suo cast anche Eduardo Minett nel ruolo del ragazzo, Rafo, al suo debutto cinematografico, Natalia Traven in quello di Marta, Dwight Yoakam che interpreta l'ex impiegato di Mike, Howard Polk. Tra gli interpreti del film anche Fernanda Urrejola nel ruolo di Leta e Horacio Garcia-Rojas in quello di Aurelio.

Cry Macho sarà distribuito in tutto il mondo dalla Warner Bros. Pictures. L'uscita nei cinema italiani è prevista per il 2 dicembre 2021.



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A Chiara e il suo universo calabrese: intervista a Jonas Carpignano

L’universo di Gioia Tauro e dintorni è il mondo in cui vive e racconta le sue storie, da ben dieci anni, Jonas Carpignano. A Chiara, presentato alla Quinzaine di Cannes, conclude una trilogia aperta nel 2015 da Mediterranea e proseguita due anni dopo con A Ciambra. Dopo i migranti e i rom, questa volta racconta la criminalità organizzata, all'interno della vita quotidiana di Gioia Tauro. Al centro c’è la famiglia Guerrasio, riunita per celebrare i 18 anni della figlia maggiore di Claudio e Carmela.

È un'occasione felice e la famiglia sembra molto unita, nonostante una sana rivalità tra la festeggiata e sua sorella Chiara di 15 anni sulla pista da ballo. Il giorno seguente, quando il padre parte improvvisamente, Chiara inizia a indagare sui motivi che hanno spinto Claudio a lasciare Gioia Tauro. Più si avvicinerà alla verità, più sarà costretta a riflettere su che tipo di futuro vuole per sé stessa.

Con A Chiara racconta una storia più tradizionale, rispetto agli altri due suoi film.

Per me il punto di partenza è sempre il personaggio. Voglio che il mondo raccontato rispecchi come loro vivono veramente. Il caos di A Ciambra rappresenta Pio e quella realtà. Il mondo della criminalità è molto più strutturato, per questo il racconto si adegua. In questo modo il film e i personaggi sembrano nati nella realtà che racconto.

Il lavoro con gli attori, anche, è diverso. Non interpretano loro stessi, pur muovendosi nel loro ambiente. 

Ci sono due modi per rispondere a questa domande. Per quanto riguarda la conoscenza della sceneggiatura, era molto simile agli altri film. Pio in A Ciambra non conosceva il testo perché è analfabeta, quindi gli spiegavo le scene giorno per giorno. Swamy Rotolo non sapeva tutto quello che succedeva, perché volevo vivesse la storia del film come Chiara, per mantenere la sorpresa. Abbiamo girato in ordine cronologico, lei sapeva solo la mattina quello che sarebbe successo il giorno stesso. Per me era molto importante lavorare in questo modo. Per quanto riguarda le dinamiche fra di loro, sono molto simili ai miei altri film. Riusciamo a creare intimità sul set perché loro si conoscono. Non c’è un rapporto tradizione fra regista e attore, ma ci conosciamo molto bene. Cerchiamo di superare la struttura cinematografica tradizionale, i ritmi abituali sul set. Siamo amici che si ritrovano per fare delle cose insieme. Da questo punto di vista è simile a quello accaduto in passato.

Lei ha vissuto dieci anni a Gioia Tauro, per raccontare quella realtà nei suoi primi film. È l’inizio ora, con A Chiara, di un distacco, per cercare un altro modo di raccontare?

Ovviamente non posso vivere in un posto per dieci anni ogni volta, prima di fare un film. Altrimenti lavorerei troppo poco. Devo dire, però, che in questi anni sono riuscito a trovare la mia bussola. So come mi voglio orientare in questo mondo del cinema. Non so ancora dove voglio andare, ma penso di poterci arrivare. Magari andrò a girare in Sicilia, o sempre in Calabria o da un’altra parte, ma so che questo modo di lavorare mi piace e più riesco a portare questo metodo nella prossima realtà più contento sarò.

Nel film c’è un grande lavoro sui luoghi, sul territorio.

È nato in scrittura. Volevo rafforzare il mondo interiore di Chiara con quesi luoghi. È vero che si racconta un mondo un po’ nascosto, ma anche quegli aspetti della famiglia sono a lei sconosciuti. Il punto di partenza era il mondo della criminalità, ma anche il suo interiore e i segreti nella sua casa.

Cosa è cambiato in questi anni in quella terra. Come la vede ora rispetto all’inizio?

Il posto sicuramente è cambiato, ma anche io. I primi anni la vedevo più come un laboratorio, mentre nel frattempo è diventata casa per me. Il rapporto con il paese è totalmente diverso ora. Non so se rispecchia quello che è successo nel mondo esterno o più come io vedo quei luoghi. La Calabria, e Gioia Tauro nello specifico, appartiene sempre di più al mondo globalizzato. Non è più un posto arcaico, con le sue regole, tagliato fuori dalle infrastrutture e dalla cultura globale. Soprattutto i ragazzi, vivono il mondo di oggi con tutte le sue contraddizioni.

Lei racconta uno stato che interviene nella quotidianità di famiglie che vivono nella criminalità, talvolta non conoscendole fino in fondo e mancando di empatia umana.

Capisco la logica della legge. È difficile costruire una norma che possa funzionare per ogni situazione e persona diversa. Il film cerca soprattutto di dare spazio al punto di vista che vorrebbe valutare per bene ogni caso, prima di fare un’azione importante come cambiare la vita di una persona. Dire semplicemente che appartiene a un’ambiente criminale, senza guardare nel dettaglio la realtà in cui vive, è il limite di una legge del genere.

Dimostra poi una grande speranza nei confronti dei giovani. Nei suoi film sono sempre quelli con maggiore apertura al cambiamento. Chiara viene tolta alla sua famiglia e adottata in un paese lontano dalla Calabria. Secondo lei dove finirà, una volta diventata adulta?

I ragazzi che ho conosciuto, che sono stati coinvolti in una situazione del genere, rimangono molto legati alla “nuova” famiglia in cui sono cresciuti, ma spesso tornano a Gioia Tauro a trovare i parenti. Riescono a vivere fra questi due mondi con una bussola morale che sono riusciti a sviluppare vivendo proprio questa esperienza. La vedo come una persona capace di decidere come e quanto vuole vivere fra questi due mondi.

Molte persone emigrate dal sud durante la pandemia sono tornate. Pensa che sarà un fenomeno capace di dare nuova vitalità a quelle zone?

Me lo auguro. Da parte dei giovani c’è sempre la voglia di vedere cosa c’è al di fuori di Gioia Tauro. È importante. Anche io mi sono formato fuori e poi sono rientrato. Non posso negare l’importanza di fare un viaggio, lasciando la propria terra per un po’ di tempo. Però anche tornare ha un valore notevole. Nella mia esperienza, non ho mai pensato di non vivere in Italia da grande. Per me era cruciale formarmi negli Stati Uniti, perché i miei hanno fatto il possibile per permettermelo. Dovevo sfruttare quell’opportunità, mantenendo chiara l’importanza di rientrare. Spero sia così anche per loro. Avere un’esperienza fuori non vuol dire abbandonare la propria terra.



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Slumber Party Massacre: il sanguinoso trailer del remake dell'horror splatter del 1982

Saranno i tempi cupi in cui stiamo vivendo e la voglia di esorcizzarli, ma l'horror, sia in termini quantitativi che qualitativi, sta conoscendo una vera e propria rinascita, anche se le distribuzioni italiane, salvo rarissime eccezioni, restano sorde al suo appeal. Non sappiamo se Slumber Party Massacre, un film originale SYFY di cui vi mostriamo il breve trailer, e che sarà trasmesso sul canale via cavo USA il 16 ottobre, appartenga alla categoria dei bei film di genere o meno, ma si tratta del remake di un celebre film del 1982, uno slasher di Amy Jones da noi rimasto inedito al cinema, ma di culto in America.

Anche stavolta, come nella versione del 1982, regista è una donna, la canadese Danishka Esterhazy, che ci dimostra una volta di più che non sono solo gli uomini ad amare lo splatter. Se al cinema non vi piacciono sangue, violenza e ironia, state lontani. E che il massacro abbia inizio! Dopo tutto, Halloween si avvicina...



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No Time to Die, la recensione: Daniel Craig lascia con uno schianto, ma anche con insospettata tenerezza

L'Aston Martin DB5 simbolo della saga bondiana, anche raffigurata nel portachiavi regalato ai presenti all'anteprima stampa di No Time to Die, percorre le tortuose strade che condurranno James e Madeleine a Matera.
"Vai più veloce", dice lei, mollemente adagiata sul sedile del passeggero.
"Non c'è bisogno di andare veloci," risponde lui, innamoratissimo, "abbiamo tutto il tempo del mondo." We have all the time in the world: e subito ti chiedi quando, più che se, in quest'ultimo Bond dell'era Daniel Craig risuoneranno le note della canzone omonima e la voce di Louis Armstrong.
Tu lo sai benissimo che non è vero, e che qualcosa arriverà immancabile a interrompere l'idillio della coppia, e non sarò certo io a rivelare che cosa e quando, né quello che accade dopo né a quale epocale conclusione verranno condotte le vicende, nel corso di due ore e quarantatré minuti di film, non tutti necessari e non tutti giustificati.
Fatto sta che il tempo è un concetto centrale in questo No Time to Die, evidenziato anche nella (bruttina) sequenza dei titoli di testa che è accompagnata dalla (buona) canzone di Billie Eilish.

Il tempo che scorre implacabile: perché ogni Bond movie che si rispetti è anche un corsa contro il tempo per fermare questo o quel piano criminale, ma anche perché il tempo di Craig si è esaurito, e perché il mondo non è più quello dello 007 di Connery (non è nemmeno più quello del Bond di Brosnan, figuriamoci), e far incastrare l'icona Bond in questi tempi qui, tempi oramai purtroppo quasi impraticabili per uno old fashioned come lui, è una cosa complicata. Molto complicata.
Tempo che scorre, poi, significa anche fare i conti con la finitezza della cose, e della vita, e quindi con la morte: quella morte che viene evocata nel titolo (nel tentativo di esorcizzarla, forse); nella trama (verrà la morte e avrà i tuoi occhi, scriveva qualcuno); nella scelta della frase che rievoca il brano di Armstrong composto per Al servizio segreto di Sua Maestà, il film dove 007 si sposa e che finisce però con la morte della moglie, il primo e unico interpretato da Lazenby.
Tutto No Time to Die, film che segna una fine, la fine di un'era, è permeato dalla morte.
Da questo punto di vista, No Time to Die è attentissimo, fin troppo, a chiudere tutti i cerchi, un po' come era già stato fatto in Skyfall: non a caso si parte con James a Matera, spinto da Madeleine a visitare la tomba di Vesper, finita lì chissà per quale motivo, facendo salire la nostalgia per Eva Green, ma anche riportando simbolicamente Craig all'inizio della sua avventura bondiana, per spingerlo verso la sua conclusione.

Cary Fukunaga (un discreto mestierante ma non un fulmine di guerra, che utilizza i controluce per sopperire alla mancanza di idee) e i suoi (che poi sarebbero Neil Purvis e Robert Wade, sceneggiatori, supportati poi da Phoebe Waller-Bridge, forse non incisiva fino in fondo come si sarebbe sperato) stanno bene attenti a spuntare tutto ciò che è sulla checklist di ogni film di 007: l'Aston Martin, lo smoking, il Martini, i gadget, il supervillain, M, Q e Moneypenny (il fumo non è più in lista da tempo, e spiace segnalare che anche il sesso latita, relegato a parentesi iniziale e fuoricampo: poco eros, molto thanatos). Ci sono poi le scene d'azione che ti aspetti da un Bond-movie nato nel post-Bourne, e che sono nel complesso apprezzabili: meglio quelle iniziali di quelle finali.
E però non mancano le sorprese, che anzi abbondano, e sono soprattutto relative a un tono che lascia spiazzati e sconcertati, in maniera anche piacevole, sebbene decisamente irrituale: perché No Time to Die è il film di Bond più drammatico e cupo, certamente, ma è anche quello più fuori di testa negli snodi assurdi del racconto e capace di una leggerezza che non è solo la solita ironia ma è spesso camp se non volutamente sciocca, se mi si passa il termine. Da questo punto di vista è esemplare la sequenza cubana del film, e in particolare il personaggio di Paloma, interpretata da una sprecatissima Ana de Armas.

Italia, Giamaica, Cuba, Inghilterra, Norvegia. Come sempre (altra casella spuntata) Bond fa il giro del mondo.
Fino a una sperduta isoletta tra Russia e Giappone dove regna un moderno Dr. No, l'über-villain poco carismatico di Rami Malek, il cui piano è vago e confuso, nel contesto di una trama dove i passaggi logici non vengono tenuti molto da conto, ma dove al centro di tutto, in maniera costante, coerente e volutamente ossessiva, sta il ruolo di Bond nel mondo moderno (le chiacchierate con M sui tempi che sono cambiati), e il ragionamento su quel che ha lasciato, e lascerà dopo il suo addio, il Bond di Craig. Al mondo, e alla serie.
È una questione di sguardo, di vedere le cose in modo diverso, con occhi nuovi: e non a caso gli occhi, nel film, contano tantissimo, per i cattivi come per i buoni. Pavese prima non era citato a caso.
Quel che è certo, è che dopo questo No Time to Die, dopo questo finale imprevisto, sconvolgente, perfino commovente, che ha fatto e farà la storia di questa saga, nessuno guarderà più a James Bond con gli stessi occhi. Un Bond, quest'ultimo di Daniel Craig, sofferente e furioso, dolente e battutaro, capace di alternare - anzi: tenere assieme - armi letali e teneri pupazzi, soliti martini e insospettabili languori.
A chi verrà dopo, donna o meno, c'è da fare gli auguri, perché l'eredità che si caricherà sulle spalle sarà pesante, il nome (o cognome) ingombrante. Craig e compagnia lo sanno, e sembra quasi di vedere un sorriso sarcastico sulle loro labbra: "Avete voluto cambiare? Ribaltare Bond? Ora sono affari vostri".

Mi rendo conto che queste righe (scritte da me con carattere grigio chiaro su fondo nero, perché così mi pareva appropriato) possano lasciare interdetti e risultare un po' enigmatiche. Ma non sono io che ho elevato la rivelazione di dettagli di trama a peccato mortale, e non ho deciso io l'hashtag che, prima del film, campeggiava sullo schermo: #NOTIMEFORSPOILERS.



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Romics 2021, 47 Metri: Great White e tutti gli squali del Cinema in un panel

47 Metri: Great White è nei cinema italiani dal 30 settembre e non c'è modo migliore per celebrare questo terzo capitolo della saga horror thriller, incentrata sul mito cinematografico dello squalo spietato, che un panel al Romics, la cui 27ma edizione è in programma alla Fiera di Roma dal 30 settembre al 3 ottobre, celebrando il ventennale della manifestazione. L'incontro intitolato "Tutti gli squali del Cinema in… 47 Metri: Great White" si svolgerà domenica 3 ottobre dalle ore 17.20 alle ore 18.00 presso il Padiglione 7 Romics City.
Parleranno di 47 Metri: Great White, moderati da Max Giovagnoli responsabile cinema Romics, l'autore degli effetti visivi di 47 Metri e 47 Metri: Uncaged, Pierre d'Oncieu, il maestro dei VFX Paolo Zeccara, Federico Bagnoli Rossi (consigliere d'amministrazione di Cinecitt) e il nostro Antonio Bracco di Comingsoon. Quali sono i segreti di questo racconto "sotto il pelo dell'acqua"? Il panel è in collaborazione con Adler Entertainment e Associazione italiana VFX.



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No Time To Die, Daniel Craig: "Abbiamo capovolto James Bond in tutti questi anni"

Daniel Craig sta per chiamare il sipario del suo James Bond 007 con No Time To Die, in uscita proprio domani 30 settembre nelle nostre sale: si prevede la frantumazione dei record d'incassi post-pandemia, e il cinema ne ha parecchio bisogno. Dopo oltre un anno di rinvii dell'uscita, Craig si è finalmente rilassato e ha guardato indietro, ai suoi 15 anni nei panni dell'agente segreto ideato da Ian Fleming, in un'intervista con Total Film e GamesRadar+. Oltre a sottolineare come abbia chiuso col personaggio e che il suo futuro non dipenda più da lui, si è lasciato andare a qualche considerazione interessante.

Quando mi diedero questa parte, mi fu data una possibilità, un'opportunità incredibile di farci qualcosa di diverso, e per questo sarò sempre loro grato. Volevo non dico aggiornarlo in modo marchiano, ma almeno renderlo il più possibile attuale. In particolare, facciamo film di Bond e i film di Bond hanno diverse regole e luoghi comuni. Volevo ribaltarli uno per uno. Credo che ci siamo riusciti negli anni. E con questo siamo andati anche oltre...

Per capire a cosa si riferisca Daniel Craig bisognerà andare a vedere No Time To Die, dove un Bond ritirato è costretto a tornare in azione per vedersela con un nuovo villain interpretato da Rami Malek, mentre è una donna (Lashana Lynch) a ereditare la "qualifica" di 007. Craig ha interpretato Bond per la prima volta in Casino Royale (2006), al quale sono seguiti Quantum of Solace (2008), Skyfall (2012) e Spectre (2015). Al momento Daniel Craig ha abbracciato un altro personaggio seriale, il detective Benoit Blanc di Knives Out, i cui due sequel sono in lavorazione presso Netflix. Leggi anche James Bond in velluto rosa: Daniel Craig alla première mondiale di No Time to Die [foto e video]



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James Bond in velluto rosa: Daniel Craig alla première mondiale di No Time to Die [foto e video]

Finalmente No Time to Die è stato proiettato su uno schermo cinematografico. È accaduto ieri sera in molte città del mondo con una serie di anteprime (anche soltanto per giornalisti e critici) che si sono svolte più o meno in contemporanea, tra cui a Roma e a Milano. A Londra c'è stata invece la vera première mondiale del film, tenutasi nella prestigiosa Royal Albert Hall, con un allestimento maestoso all'esterno dell'edificio e con tanto di colonna sonora, l'inconfondibile tema di 007 suonato dal vivo dalla Royal Marines Band. Daniel Craig si è presentato con uno smoking spezzato: neri papillon, pantaloni e scarpe e sopra una giacca in velluto rosa antico, una scelta precisa del suo stilyst affinché l'attore potesse lasciare una traccia indelebile nella serata del suo addio al personaggio di James Bond.

Scorrendo le foto qui sotto verso il basso (messe a disposizione da Universal Pictures con il copyright di Getty Images), potete ammirare i look di chi era presente, dal cast del film agli ospiti illustri. Riconoscerete le attrici Léa Seydoux, Naomi Harris, Ana De Armas e Lashana Lynch, gli attori Rami Malek, Ben Wishaw e Jeffrey Wright, il regista Cary Joji Fukunaga, la sceneggiatrice Phoebe Waller-Bridge, il compositore Hans Zimmer e altri ospiti "casuali" come i reali William, Kate, Carlo e Camilla, Jason Momoa, Jonathan Majors, Billie Heilish e Geri Halliwell.

No Time to Die: le foto dell'anteprima mondiale a Londra

Dopo 18 mesi di rinvii, No Time to Die esce infine nelle sale cinematografiche domani 30 settembre 2021.

 



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Thor The Dark World, il regista sogna il suo "Taylor Cut"

Thor: The Dark World (2013), il secondo assolo del Thor di Chris Hemsworth, parte della Fase 2 del Marvel Cinematic Universe, è uno dei lavori relativamente meno apprezzati dei Marvel Studios ed ebbe un iter produttivo difficile: avrebbe dovuto dirigerlo Patty Jenkins, che passò la palla per divergenze creative, trovando poi se stessa nella concorrenza di Wonder Woman alla Warner Bros / DC. La regia fu quindi affidata ad Alan Taylor, che non ha mai fatto mistero di come il risultato non rispecchiasse le sue intenzioni originali. Discutendone con Inverse, Taylor ha confessato di sognare per il suo film un destino simile a quello del Justice League di Zack Snyder, rinato nel Zack Snyder's Justice League con la famosa "Snyder Cut" voluta dai fan. Ecco le precise parole di Taylor sulla questione.

Mi ero dedicato a fare un certo film, poi al montaggio furono prese decisioni per modificarlo un sacco. Rimpiango il fatto che il film uscito fosse parecchio diverso. Sono molto affezionato ad alcune delle cose che furono tagliate. C'era un senso di meraviglia che per me era bellissimo. [...]
Facevo il tifo per Zack Snyder quando cercava di rimetter mano al suo Justice League: "Ce la farà? Fantastico!" Credo che ogni regista abbia fatto il tifo. A me piacerebbe, lo farei. Ve l'immaginate? Mi darebbero i milioni di dollari che hanno dato a lui per tornare a lavorarci? Come no, non credo che mi arriverà quella telefonata!

Thor: The Dark World, perché non sarà mai rimontato dal regista Alan Taylor

Anche se creativamente Taylor può sentirsi nella condizione in cui si trovò Snyder, per il resto il caso di Thor: The Dark World è differente: incassò comunque 645 milioni di dollari (su un costo di circa 170, la metà di Justice League) e i film Marvel hanno sempre mostrato una maggiore coesione narrativa nell'ambito del Marvel Cinematic Universe. La Warner Bros ha concesso a Snyder di rivedere Justice League anche perché il DC Extended Universe, specialmente in tempi recenti con gli esperimenti di Joker o del prossimo The Batman, sembra meno scolpito nel marmo e quasi intermittente. La major non aveva niente da perdere per tentare di ridare valore a un progetto che si rivelò deludente al boxoffice. Kevin Feige ai Marvel Studios pensa invece a lungo termine e nell'ottica della performance generale di tutte le produzioni. Siamo d'accordo con Taylor: un "Taylor Cut" di The Dark World non accadrà mai.
Il quarto Thor: Love and Thunder, diretto da Taika Waititi, arriverà nelle nostre sale nel maggio 2022. Leggi anche Patty Jenkins racconta perché alla fine non ha girato Thor: Dark World Thor 4, Love and Thunder: Natalie Portman parla del suo ritorno nel franchise



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Zoolander ha 20 anni, svelato il finale originale del film con Ben Stiller

Distribuito negli Usa due settimane dopo l'11 settembre, il primo Zoolander di e con Ben Stiller è considerato uno dei capisaldi del cinema demenziale americano: da noi arrivò in sordina come uscita estiva nel 2002, guadagnandosi poi in tutto il mondo il suo status di cult col passare degli anni, tanto da generare anche un dimenticabile sequel nel 2016. Zoolander compie quindi 20 anni, e Ben Stiller ha rivelato a Esquire qual era il finale originale che aveva in mente per il suo supermodello "bello in modo assurdo".

Doveva sparare il suo sguardo "Blue Steel" o il "Magnum" a un treno per fermarlo, ma non funzionava. Il treno lo falciava e in pratica lo uccideva. Ma poi andava in paradiso.

Un finale così, comunque mai girato, avrebbe tagliato le gambe a un possibile sequel, e a posteriori secondo la critica e diversi fan forse sarebbe stato meglio. Certamente sarebbe stato all'altezza della demenzialità di Zoolander, che seguiva le gesta appunto di Derek Zoolander, modello idiota manipolato dal losco stilista Mugatu (Will Ferrell, scatenato). Fortunatamente Derek era aiutato nello scampare a una cospirazione internazionale dall'ex-rivale Hansel (Owen Wilson) e dalla giornalista Mathilda (Christine Taylor, allora moglie di Stiller). Rimaste nella leggenda dell'idiozia scene indimenticabili come la morte dei colleghi di Derek per un "tragico" incidente sulle note di Wake Me Up Before You Go-Go, e l'indignato sfogo del protagonista di fronte a un modellino di un edificio.



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martedì 28 settembre 2021

Cinque film in streaming ad elevato tasso alcolico...

Da sempre il cinema americano (ma non solo) ha portato sul grande schermo il dramma umano di personaggi corrotti internamente da un istinto autodistruttivo. Molto spesso il mezzo per annichilire la propria coscienza e i dolori che essa sopporta si è palesato sotto forma di bottiglia. Accettato a livello sociale in maniera diversa rispetto ad altre dipendenze - in particolar modo appunto negli Stati Uniti -  l’alcolismo è stato raccontato al cinema attraverso film che ne hanno esposto a modo loro aspetti differenti ma ugualmente drammatici. Oltre a quattro produzioni a stelle e strisce tra le più acclamate abbiamo però voluto inserire un quinto titolo che rappresenta una variazione sul tema originale, provocatoria nella sua ambiguità ma assolutamente degna di attenzione. Ecco dunque cinque film in streaming che raccontano la malattia - la tendenza odierna è quella di catalogarla come tale, e a ragion veduta aggiungiamo noi - dell’alcolismo. Buona lettura.

Cinque film in streaming che parlano di alcolismo

  • Via da Las Vegas
  • Flight
  • A Star Is Born
  • Tornare a vincere
  • Un altro giro

Via da Las Vegas (1995)

Non potevamo che partire dal film che ha regalato l’Oscar a Nicolas Cage per una performance dolorosa e libera da ogni schema. Ambientato tra le luci sfavillanti ma anche algide, stranianti della città americana del vizio per eccellenza, Via da Las Vegas possiede una progressione drammatica di grande spessore emotivo, che accompagna il protagonista verso il suo destino. Candidature agli Academy Award anche per la regia di Mike Figgis, per lo script e la migliore attrice protagonista Elizabeth Shue, anche lei capace di una prova maiuscola. Un film”maledetto” e straziante. Disponibile su Rakuten TV, CHILI, Google Play, Apple Itunes.

Flight (2012)

Film che inizia con uno dei più sconvolgenti e (cinematograficamente parlando) spettacolari incidenti aerei mai visti, per svilupparsi poi come un dramma su un pilota che non riesce a staccarsi dalla bottiglia. Robert Zemeckis organizza Flight con estro e senso del dramma, Denzel Washington interpreta al meglio un personaggio carismatico quanto ambiguo, complesso. Nel cast di supporto svetta uno straordinario John Goodman, anche se Kelly Reilly, James Badge Dale e Melissa Leo in una sola sequenza non gli sono da meno. Film denso, stratificato nei livelli di lettura, pieno di momenti di forte pathos. Nomination all’Oscar per il miglior attore e per la sceneggiatura. Disponibile su Rakuten TV, CHILI, Google Play, Infinity +, Apple Itunes.

A Star Is Born (2018)

Per l’esordio dietro la macchina da presa Bradley Cooper sceglie di riportare sul grande schermo uno dei melodrammi più classici, riadattandolo in chiave contemporanea. A Star Is Born si regge indubbiamente sulla grande alchimia tra l’attore/regista e la coprotagonista Lady Gaga. Momenti di grande musica per un dramma molto solido nell’impalcatura narrativa, ben diretto e ottimamente interpretato da un cast che vede prezioso anche Sam Elliott. Tante nomination all’Oscar, unico premio alla canzone Shallow: il momento in cui viene cantata dai due sul palco è una delle scene più emozionanti dei nostri tempi. Disponibile su Rakuten TV, CHILI, Google Play, Infinity +, Apple Itunes, TIMVision.

Tornare a vincere (2020)

Solido dramma sportivo dello stesso autore che ci aveva regalato Warrior. Un Ben Affleck deciso a mettersi in gioco affronta coraggiosamente il ruolo di un uomo che dopo la tragedia ritrova la voglia di vivere grazie a un gruppo di liceali e la loro squadra di basket. Tornare a vincere mantiene quel che promette, intrattiene e commuove senza facili adescamenti verso il pubblico. Un prodotto sincero e ben costruito intorno a un protagonista la cui vicenda personale si intravede dietro il personaggio. E forse proprio per questo commuove ancor di più. Disponibile su Rakuten TV, CHILI, Google Play, Apple Itunes, TIMVision, NOW.

Un altro giro (2020)

Fin dai tempi del poderoso Festen Thomas Vinterberg ci ha abituato a un tipo di cinema che mette in discussione le istituzioni sociali, scardinandone certezze e validità psicologica/emotiva. Un altro giro tenta la strada impervia di raccontare la voglia di libertà dagli schemi imposti di un gruppo di uomini decisi di confrontarsi con un modo di bere controllato e preciso. Un esperimento destinato a far discutere, a scuotere coscienze e pensiero comune. Il regista e un grande Mads Mikkelsen mettono in piedi scena dopo scena un ritratto di protagonista complesso, con cui si prova empatia anche nelle scelte meno condivisibili. Arriva l'Oscar per il miglior film internazionale e la nomination per regia e sceneggiatura. Disponibile su Rakuten TV, CHILI, Apple Itunes, TIMVision.



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