La protagonista di The Strings è una ragazza di nome Catherine. È una musicista indie che si è appena lasciata alle spalle una band e forse pure un fidanzato, e che nel mezzo di un gelido inverno si trasferisce in un luogo isolato, nella casa di una zia nel bel mezzo del nulla di qualche zona costiera canadese, per comporre un disco solista.
Catherine è tormentata, un po' da quel passato che cerca di dimenticare, un po' da un futuro incerto, un po' da strani rumori e strane visioni dopo aver visitato, con un'amica fotografa che forse è anche un flirt, una fattoria nelle vicinanze che fu teatro di fatti di sangue un po' inquietanti.
A un certo punto Catherine - che è interpretata da Teagan Johnston, nella vita vera una musicista vera, e si sente - rilascia un'intervista telefonica. Nel corso di quell'intervista, della quale sentiamo solo le sue risposte e non le domande, dice una cosa che mi ha colpito molto: "magari questa nuova musica che sto componendo non è migliore di quella di prima", dice, "ma non importa, perché è quella giusta per questo momento".
La frase mi ha colpito perché quella tra il valore assoluto di qualcosa e la sua pertinenza al contesto, tra una cosa bella e una cosa giusta, è una differenza che faremmo bene tutti a tenere presente più spesso di quanto non facciamo solitamente. E poi perché mi pare perfettamente coerente col film che la contiene: perché The Strings non è un film che fa sempre la cosa migliore, e più bella, ma fa comunque sempre la cosa giusta nel momento giusto.
La prima mezz'ora di The Strings è priva di qualsiasi forma di eventi soprannaturali o orrorifici, ma è fondamentale per stabilire premesse importanti, per raccontare e delineare un personaggio e la sua situazione psicologica, per creare un'atmosfera fatta di freddo, solitudine, incertezze, vuoti fisici e vuoti emotivi.
Con poche parole e poche scene, Ryan Glover - che del film è regista e anche sceneggiatore, con Krista Dzialoszynski - ci spalma addosso lo stato d'animo inquieto di Catherine, fatto di mancanze certe e speranze vaghe, accompagnandoci al suo cospetto mentre mette su il suo piccolo studio di registrazione nel buio e gelido salotto della casa, mentre attacca alla parete un quadro un po' angosciante, mentre parla su Skype con un'amica cui non dice la verità, mentre suona e mentre guarda al computer video sulla fisica quantistica e i suoi misteri.
Poi, dopo quella visita fatidica alla fattoria di sangue, ecco che lentamente ma in maniera che percepiamo inesorabile, e che si investe psicologicamente dall'inizio, Catherine inizia a essere testimone di strani fenomeni nel cuore della notte, che avranno effetti destabilizzanti su di lei e su di noi, e che sono destinati ovviamente ad aumentare, se non di frequenza, di intensità.
Glover riesce a fare tantissimo col pochissimo che ha scelto di avere a disposizione, e con una studiatissima economia dei movimenti di macchina, che sono pochi e lenti ma precisi. Sempre giusti nel momento in cui arrivano, e nel modo in cui si svolgono. Non ci sono jump scares, in The Strings, ma la rivelazione spesso ovvia, e per questo insostenibile, di qualcosa di immanente, di atteso, di inevitabile. Quadri che tremano, sedie che si muovono, porte che si aprono. Figure oscure che ci osservano. Tutto spaventoso, ma forse non più di quello stato di vaga depressione e profonda incertezza vissuto nel suo intimo da Catherine.
Allora non è facile né in fondo utile andare a vedere se The Strings sia l'aggiornamento all'oggi del gotico con fantasmi, se invece sia da leggere unicamente come un horror psicologico nel quale la vita intima e interiore di una protagonista si riversa sullo schermo in forma aliena, o se ancora ci sia da fare una lettura quantistica, fatta di universi paralleli e dimensioni sovrapposte. Glover, volutamente, non scioglie alcun nodo, non offre spiegazioni né risposte.
Quello che importa è che The Strings rielabori il linguaggio dell'horror con piena fiducia nelle sue potenzialità, se ne freghi delle fighetterie contemporanee e diventi in film horror giusto per questi temi oscuri e incerti che stiamo vivendo. Magari non "bello" come altri (anche se è tutto da vedere) ma sicuramente più giusto e più opportuno.
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