domenica 19 dicembre 2021

West Side Story prima di Steven Spielberg: il capolavoro di Robert Wise e Jerome Robbins

Quella di West Side Story è una storia che parte da molto lontano, e noi vogliamo raccontarvela dall'inizio, prima di immergerci nella recensione vera e propria di un capolavoro del musical e del cinema tout court. Nel 1947 un amico aspirante attore del coreografo Jerome Robbins, che si preparava a interpretare Romeo, gli chiese come si sarebbe potuto adattare l'opera di Shakespeare in epoca moderna. Da quella scintilla nacque l'idea originale: due anni dopo Robbins la propose al musicista Leonard Bernstein e al librettista Arthur Laurents e insieme provarono a svilupparla. Nella versione del 1949 Maria è una ragazza ebrea e Tony un ragazzo cattolico di origine italiana del Greenwich Village. A separarli è l'intolleranza religiosa. In questo abbozzo il musical si intitola East Side Story, ma non decolla. Solo nel 1955 questi tre grandi artisti ci riprovano con maggior successo, in un periodo in cui Manhattan ha visto l'afflusso di un grande numero di immigrati portoricani nel West Side: entra nel progetto anche Stephen Sondheim, che scriverà le parole delle canzoni. Nell'agosto del 1957 West Side Story debutta a Washington e le critiche sono entusiaste. A settembre iniziano le trionfali repliche a Broadway ed esce il disco con le canzoni originali, quello che il piccolo Spielberg ascolterà a 10 anni e imparerà a memoria. Nel 1958 arrivano due premi Tony e l'anno successivo il musical va in tournée nazionale. George Chakiris, lo straordinario ballerino che nel film interpreta Bernardo, il capo della gang portoricana e fratello di Maria, nell'allestimento teatrale londinese ricopre il ruolo di Riff, il leader dei Jets.

Infine, il 18 ottobre 1961, dopo sei mesi di riprese, sette di montaggio e mixage sonoro, il film West Side Story, girato in Panavision 70 mm. e co-diretto da Robert Wise e Jerome Robbins che ne è anche il coreografo (licenziato quando il film è al 60% della lavorazione, a causa del suo estremo perfezionismo che allunga i costi di produzione, viene richiamato da Wise al montaggio), esce al Rivoli Theatre di New York e resta in programmazione per 77 settimane ovvero un mese e mezzo. L'anno successivo vince 10 Oscar, esce in Argentina e in molti paesi europei, tra cui la Francia dove viene proiettato per 259 settimane di seguito (21 mesi più o meno), anche se al box office americano si piazza secondo dopo La carica dei 101. In Italia West Side Story esce il 23 febbraio 1962 ed è al decimo posto dei film più visti dell'anno. Nel 1964 esce anche in Unione Sovietica e la critica comunista è altrettanto entusiasta di quella americana ed europea. Un critico scrive: “Non criticheremo questo film per le cose che non ci sono. Stringeremo la mano ai suoi creatori per quello che hanno fatto. E hanno fatto tanto. Hanno espresso un tema importante in una forma artistica originale”.

Rivisto oggi, West Side Story non perde niente della sua efficacia e della sua bellezza ed è ancora travolgente, commovente e appassionante. È anche un film che tecnicamente osa e sperimenta moltissimo, a cominciare dai titoli di testa di Saul Bass sull'Ouverture musicale, coi colori accesi a tutto schermo che cambiano e da cui emerge la silhouette di Manhattan, alle riprese in elicottero che mostrano una New York mai vista, fino ad arrivare a quell'incrocio tra due strade coi condomini con le scale antincendio già minacciato dalla demolizione, conteso dai Jets e dagli Sharks. Qualche altro esempio a caso: le immagini sfocate, il suono e le grida del ballo scatenato in palestra (il numero si chiama proprio "Dance at the Gym") che si spengono quando Tony e Maria si vedono e restano soli tra la folla, ignari di tutto quel che li circonda, Maria che volteggia in silhouette coi colori dell'arcobaleno, il riflesso del rosso dei vetri sulla porta della sua camera da letto che investe la ragazza dopo la tragedia, nel drammatico confronto con Anita (“A Boy Like That”), colto dalla splendida fotografia di Daniel Fapp.

West Side Story reinventa il musical per l'era moderna, immette in una cornice destinata tradizionalmente al puro intrattenimento il realismo dell'odio e del razzismo, la lotta tra poveri che insaguina le strade americane degli anni Cinquanta, denuncia la fine del sogno americano e spezza quello d'amore dei protagonisti, finisce senza vincitori, nel sangue e nel dolore ma su una nota di speranza. Natalie Wood (doppiata nel canto da Marnie Nixon, e lei che aveva inciso tutte le canzoni ci restò molto male) è una Maria solare, bellissima, di grande forza sia nella gioia che nel dolore e la sua storia col Tony di Richard Beymer risulta credibile anche se sul set i due nemmeno si parlavano. Ma al di là della storia e delle ottime interpretazioni (anche il magnifico Russ Tamblyn e la stratosferica Rita Moreno vennero doppiati in alcune canzoni, non perché non sapessero cantare ma per la pignoleria del produttore Saul Chaplin che esigeva la perfezione), West Side Story è un film che trasuda energia da ogni singolo fotogramma: a sprigionarla sono le innovative coreografie, le canzoni e i vari stili di danza che mettono a dura prova i giovani ed entusiasti interpreti, alcuni dei quali provenienti direttamente dall'allestimento teatrale dove avevano ricoperto altri ruoli, come Tony Mordente (Action al cinema, A-rab a teatro).

Da una passeggiata dei Jets nel quartiere sotto la guida di Riff, la danza nasce spontanea con un movimento, un gesto, uno schioccare di dita: un salto, un volteggio, una battuta e il gruppo si ricompone per poi scomporsi e dividersi nelle corse, nelle fughe, nelle schermaglie coi rivali Sharks, in un continuo rovesciamento di fronti e di ritmo. Girato nelle bollenti strade di una torrida estate newyorkese, e in gran parte nelle straordinarie scenografie ricostruite nei teatri di posa da Boris Leven, West Side Story è una gioia per gli occhi, le orecchie e il cuore. Certo, nel 1961 era impensabile per una grossa produzione americana essere rispettosi della componente etnica del cast: ma prima ancora di dare la colpa al cinema per quello che oggi viene chiamato “white washing”, bisognerebbe forse chiedersi quanti fossero all'epoca i ballerini e gli attori di origine ispanica che potevano arrivare al top di quest'arte. Anche in questo West Side Story rispecchia la realtà e racconta un preciso momento della storia sociale americana, ma ha un messaggio universale valido ancora oggi.

E tra tutti i numeri meravigliosi che lo compongono, vi invitiamo a prestare particolare attenzione a “Cool” (re-immaginato da Spielberg per un duetto Tony-Riff), che è un trionfo di ritmi sincopati, suoni onomatopeici e strozzati, mosse quasi epilettiche in un garage dai soffitti bassi, con cui i Jets si ammoniscono a mantenere la calma dopo la tragedia: un numero che è una sintesi insuperabile di angoscia, violenza, dolore, rabbia e paura. Tutto quello che West Side Story continua a raccontarci con la stessa urgenza da sessant'anni e più, coi potenti mezzi della narrazione cinematografica e musicale al suo meglio.



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