Chi era Pier Vittorio Tondelli?
Ce lo racconta, tra gli altri, Roberto "Freak" Antoni, che è uno dei tanti amici e conoscenti di Tondelli intervistati in questo documentario di Stefano Pistolini, e che con Tondelli (e i CCCP, ci torneremo: tanto sempre da e in quelle nebbie padane comprese tra Parma, Bologna e Ferrara che è nato sempre tutto) è stato una delle massime espressioni di quella cultura figlia della cesura del 1977 e protagonista degli anni Ottanta: decennio indimenticato, celebrato, spesso ingiustamente vituperato.
Tondelli, dice (diceva, morto anche lui anzitempo) Antoni, era un uomo che "diceva quello che pensava, e la cosa interessante è che pensava parecchio, e con lucidità. Perché tanti dicono quello che pensano ma, ahimè, pensano poco e male".
Il documentario di Pistolini, la lui realizzato con la collaborazione di Mario Fortunato, Piero Maccarinelli e Simonetta Sciandivasci, si intitola Ciao Libertini! Gli anni Ottanta secondo Pier Vittorio Tondelli perché di Tondelli non vuole raccontare solo le opere (dall'esordio folgorante e controverso di "Altri libertini" fino all'ultimo "Un weekend postmoderno. Cronache dagli anni ottanta"), né solo la vita troppo breve, o il carattere aperto e generoso.
Perché Tondelli non è stato solo uno scrittore, ma un indagatore curioso e insaziabile di tutto quel che in quegli anni, i suoi anni, era cultura, vita, società. E non c'è alcuna contraddizione, tutt'altro, dai racconti in cui ci immerge nella vita delle persone che erano ai margini per un motivo o un altro (tossici, balordi, omosessuali, perdigiorno, frequentatori del Postoristoro della stazione di Reggio Emilia, non quella nuova di Calatrava) e la sua indagine approfondita e appassionata di mondi apparentemente agli antipodi come quelli, per dirne una, della moda. O del teatro. O delle discoteche della riviera romagnola.
Se è vero che gli anni Ottanta sono fondamentali per capire l'oggi, per capire gli anni Ottanta è necessario Pier Vittorio Tondelli, intellettuale che piegava alla sua visione e alla sua scrittura antropologia e sociologia, critica culturale e profondo umanesimo.
Giovanni Lindo Ferretti, e qui tornano in ballo i CCCP, parla della sua generazione, che poi è quella di Tondelli, come della "generazione più libera che c’è mai stata".
Libera dai dogmi, dalle ideologie, dagli schieramenti. Libera di immergersi nella propria individualità per conoscere gli altri, e il mondo, affrancandosi da un collettivismo che metteva i paraocchi, e divideva in squadre. Libera di partire, come facevano lui e Zamboni, da Reggio per Berlino in autostop, di sapere, come sapeva Tondelli, che "Carpi è periferia di Berlino".
Libera di vivere quel che non si era "mai vissuto prima e non si sarebbe mai più vissuto dopo".
Ferretti dice che quella libertà lì non c'è più stata, dopo, e penso abbia ragione. Come probabilmente non c'è stato più nessuno capace di leggere il suo presente come l'ha letto, vissuto, e poi riscritto, Pier Vittorio Tondelli. Perché non solo il mondo, ma anche gli scrittori, e gli intellettuali, nel frattempo sono cambiati. Non è questione di meglio o peggio. È questione di differenza.
E viene da chiedersi, allora, come avrebbe raccontato l'oggi che viviamo, Pier Vittorio Tondelli. Quest'oggi così decadente ma così cupo, così artificiale, lui che già trenta e più anni fa scriveva di "superamento definitivo del postmoderno" e di ingresso in "un nuovo ellenismo in cui – mentre replicanti galattici bussano minacciosi alle porte del pianeta – la fauna risponderà in sublime souplesse: 'Arriva la fine del mondo e ho tutto da mettermi'".
I replicanti, galattici o meno, le porte del pianeta le han già varcate e noi, di fronte all'ipotetica (?) fine del mondo, non sappiamo più se piangere o godere.
Non sappiamo più fare bene né l'una né l'altra cosa, o cos'altro fare. E di certo non sappiamo cosa metterci.
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