Un cinema personale, che si muove fra la natura, con un’attenzione antropologica al territorio e al suo rapporto con i volti di oggi e con la storia che l’ha attraversato. Re Granchio conferma il talento energetico di Alessio de Righi e Matteo Zoppis, che arrivano in sala dal 2 dicembre per Luce Cinecittà dopo una presentazione applaudita alla Quinzaine des realisateurs dello scorso Festival di Cannes.
Una storia che prende avvio nell’Italia rurale dei giorni nostri. Alcuni anziani cacciatori ricordano la storia di Luciano, un ubriacone che nella fine dell’800 viveva in un borgo della Tuscia, nel viterbese. Il suo stile di vita, la caparbietà con cui si ribellava al signorotto locale, un mezzo tiranno, lo hanno marchiato come pària della sua comunità. Nel tentativo, spericolato e a suo modo eroico, di proteggere dal tiranno la donna che ama, Luciano compie un atto definitivo che lo costringe all’esilio dall’altra parte del mondo, nell’estremo sud del continente americano della Terra del Fuoco. Occasione per cercare fortuna, sotto forma di un tesoro leggendario, ma soprattutto per inseguire la redenzione da parte di un uomo dai valori etici nobili. Ma la febbre dell’oro, perché di questo si tratta, non può seminare che tradimento, avidità e follia, in quelle terre desolate
Come raccontano i registi, Alessio de Righi e Matteo Zoppis, è tutto nato “durante un pranzo degli anziani cacciatori in mezzo alla campagna del viterbese hanno iniziato a parlare di questo Luciano. Ma a differenza delle altre volte di questa storia se ne sapeva poco, non c’erano dettagli. Allora abbiamo cercato di portare avanti la conversazione che finiva quando questo personaggio veniva esiliato in Argentina. Nessuno di loro era mai stato lì, quindi non si sapeva la fine. Una volta sentita la vicenda e fatte domande in giro, anche nella Terra del fuoco, abbiamo costruito il progetto con queste caratteristiche, insieme ai produttori. Le idee ci sono sfuggite di mano nella fase di sceneggiatura, ma poi a livello del progetto avevamo le idee chiare su come impostarlo”.
Re Granchio è il primo film di finzione per i due registi italo-americani, entrambi classe 1986, che si sono fatti apprezzare per il corto Belva nera (2013) e per un documentario che ha girato mezzo mondo dei festival, Il Solengo (2015). Li accomuna una passione per l’idea “che il cinema d’autore non debba essere trattato come un genere cinematografico a sé stante”, e l’amore per i racconti popolari e le leggende della tradizione contadina orale.
Partendo dai pochi documenti su questo Luciano, “abbiamo prima scoperto dove era finito, trovando un omonimo arrivato a Buenos Aires in quegli anni. Poi da lì abbiamo provato a fare altre ricerche e siamo finiti per vari motivi nella Terra del fuoco, dove siamo andati anche noi per ispirarci. Abbiamo portato dentro letteratura e personaggi che potevano aver vissuto storie simili. Poi abbiamo inserito racconti locali. Era il punto di partenza del progetto: prendere una storia raccontata oralmente in un posto, per poi traslarla in un’altra parte del mondo, fino a che, intrecciata, ne formava una sempre nuova. Abbiamo scoperto che la Terra del fuoco a fine Ottocento era in piena febbre dell’oro. Si diceva ci fosse, anche se poi ce n’era poco, ma un’enorme quantità di persone, proprio come negli Stati Uniti, è finita in quei posti ostili a cercare fortuna”.
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