lunedì 24 febbraio 2020

Contact tra scienza e fede: la spiegazione del finale del film di Robert Zemeckis con Jodie Foster


Jodie Foster e Matthew McConaughey sono i protagonisti di Contact, film di fantascienza diretto da Robert Zemeckis che contrappone scienza e religione.

Affascinante e coinvolgente, il film Contact usciva al cinema nel 1997. Da un punto di vista estetico, oltre all'impeccabile e raffinata regia di Robert Zemeckis, c'è da constatare l'ottimo lavoro della Industrial Light & Magic sugli effetti digitali che a più di vent'anni di distanza si difendono molto bene. Il cuore del racconto però sono i contenuti, la contrapposizione tra scienza e religione personificate nel film dai personaggi di Jodie Foster e Matthew McConaughey. Da buon narratore qual è, Zemeckis fonde dramma, romanticismo e suspence in una storia tratta dal romanzo di Carl Sagan, uno dei più celebri astronomi e astrofisici di sempre. Per leggere le righe che seguono è necessario aver visto il film, altrimenti sarebbe un peccato bruciarsi l'occasione di vivere l'esperienza che Contact può offrire.

Il film di Zemeckis ci ricorda Carl Sagan, l'autore del romanzo da cui è tratto, ma soprattutto l'astronomo che suggerì alla Nasa di far ruotare la sonda Voyager arrivata ai confini del Sistema Solare per scattare una foto alla Terra da quella distanza. Sagan era uno scienziato con una profonda spiritualità e per capirlo basta andare a rileggere o riascoltare il suo discorso su quella fotografia, il pallido puntino azzuro (Pale Blue Dot), parole le sue che con il tempo acquisiscono sempre maggiore senso e valore. Contact affronta il tema del contrasto con i due opposti punti di vista dell'astronoma Ellie Arroway e dell'uomo di fede Palmer Joss (sentimentalmente legati soltanto nell'adattamento cinematografico), ma invece di rispondere su chi abbia toro o ragione, cerca di dimostrare quanto scienza e religione siano complementari nella grandezza dell'universo, la cui comprensione a noi umani sfugge. Possiamo cercare prove e attenterci a soltanto a ciò che è verificabile e verificato, ma quando Palmer domanda a Ellis se voleva bene a suo padre, lei risponde "Sì, moltissimo". E lui: "Provalo". Questo scambio sottolinea quanto la strada degli esseri umani nella ricerca di un significato, debba transitare attraverso l'essenza stessa dell'umanità, non certo meno misteriosa dell'universo.

Quando Ellie è seduta sul cofano della sua auto con le cuffie sulle orecchie e gli occhi chiusi, la scena si sposta al centro ricerche dove in TV Palmer sta parlando di "significato", di "buchi nella vita da riempire" e che forse abbiamo perso la "direzione". Il suo è un discorso spirituale, sta parlando di fede, ma sta anche descrivendo Ellie che in quel momento sta cercando di dare un "significato" alla sua vita, mentre le grandi parabole alle sue spalle ruotano fino a trovare la giusta "direzione" per captare il primo segnale. Le prove di qualcosa di extraterrestre ora ci sono, ma fino a un secondo prima non c'era forse la fede (essendo lei l'unica ostinata e ossessionata nella ricerca) a sostenere anni di dedizione a qualcosa in cui credere? Ellie decide spiritualmente di essere colei che farà il viaggio, percepisce che sia parte del suo destino. E comunque bisogna applaudire regista e sound designer per aver realizzato una sequenza da brivido.

Il viaggio di Ellie è la parte più spettacolare del film e così doveva essere perché si tratta pur sempre di un film Hollywoodiano, e per riprodurre l'esperienza scientifico-spirituale della protagonista. "Avrebbero dovuto mandare un poeta" , dice Ellie quando si trova di fronte alla bellezza del cosmo. Questa frase dà la lettura del messaggio sulla complementarità di scienza e fede: ci voleva un approccio scientifico per arrivarci, ci vuole la profondità umana e spiritualità per capirlo. Ellie vive un momento onirico "ricostruito" dagli extraterrestri per farla sentire a suo agio, come spiega quella figura con le sembianze di suo padre. Non ci sono altre domande da porre, né risposte da avere, "funziona così da milioni di anni" dice la voce aliena del padre, si va avanti così "un passo alla volta" e tutto ciò che "rende il vuoto sopportabile è trovarsi gli uni con gli altri". Anche qui il cuore del messaggio è inequivocabile: l'essenza dell'umanità è ciò che conta.

Il film insiste anche su un altro aspetto, quello della percezione individuale. Per Ellie il viaggio interstellare è durato diciotto ore (tempo registrato di solo disturbo audio/video con la sua videocamera), per tutti gli altri la caduta della capsula è stata istantanea. Quando si trova in aula a dover rispondere alle domande del Senato, Ellie riconosce di non avere prove per testimoniare il suo viaggio e sa di affrontare persone che ragionano esattamente come lei. Ma lei ha vissuto, lei ha sentito, lei ora è diversa. Non lo può spiegare e non lo può condividere. Ma l'uomo di fede Palmer Joss, le crede. E così noi a fine film dobbiamo scegliere a cosa credere. Non ci sono prove, c'è soltanto il racconto dell'esperienza di un individuo, ma tutto gravita intorno alla profondità degli umani di essere umani.



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