mercoledì 26 febbraio 2020

Alice nel paese delle meraviglie e la Disney: dagli anni Cinquanta a Tim Burton


Alice nel paese delle meraviglie di Lewis Carroll fu protagonista del celebre cartoon del 1951 e, più adulta, di Alice in Wonderland.

Alice in Wonderland di Tim Burton con Mia Wasikowska portò nel 2010 la Disney a rivisitare il suo classico Alice nel paese delle meraviglie del 1951, a sua volta adattamento libero del classico della letteratura firmato da Lewis Carroll. In cosa i due film si differenziano, nella genesi, nella realizzazione e nell'esito? Quale importanza storica hanno avuto?

Alice nel Paese delle Meraviglie e Alice in Wonderland: la genesi

Tra i primissimi lavori di Walt Disney nel mondo dell'animazione, negli anni Venti del muto, quando ancora non si era messo in proprio, c'erano le "Alice Comedies" (1923-1927): non si trattava di effettivi adattamenti di Carroll, quanto di una suggestione generale. I racconti seguivano infatti le vicende di una bambina umana, fotomontata in un mondo cartoon ancora piuttosto grezzo. Walt dagli anni Trenta ai Quaranta fu più volte sul punto di avviare il progetto di un lungometraggio animato: per un periodo si pensò persino che sarebbe stato quello il primo film del canone Disney e non Biancaneve e i sette nani, usando una Mary Pickford dal vivo in un mondo cartoon, ma con Alice nel Paese delle Meraviglie del 1933 targato Paramount appena uscito, Walt si limitò a un altro omaggio nello storico cortometraggio di Topolino "Thru the Mirror" nel 1936. Solo nella seconda metà degli anni Quaranta, dopo la II Guerra Mondiale, il progetto ripartì, su ispirazione di fantastiche concept art della pittrice Mary Blair. Le idee di spedire le vere Ginger Rogers (!) e Luana Patten in mezzo ai disegni animati dello studio fu cestinata rapidamente, in favore di un lungo interamente animato, distribuito poi nel luglio 1951, poco dopo che la produzione di lunghi animati a soggetto era ripresa col precedente Cenerentola (1950).
Molto più lineare la storia produttiva di Alice in Wonderland, perché semplicemente il progetto faceva parte di un dittico commissionato dalla Disney a Tim Burton, che tornava all'ovile a diciassette anni di distanza da Nightmare Before Christmas (in origine uscito sotto marchio Touchstone). Tim diede la precedenza a questo adattamento, posticipando il bellissimo Frankenweenie, versione più lunga di un suo celebre corto realizzato proprio per la casa del topo nel 1984.

Alice in Wonderland e Alice nel paese delle meraviglie: innovazione contro tradizione?

Se si pensa alle numerose critiche ricevute da Alice nel paese delle meraviglie nel 1951, lanciate dai puristi dell'origine letteraria, c'è da sorridere. In effetti l'Alice in Wonderland di Burton sovverte molto di più lo spirito stesso del racconto carrolliano, basandosi su un concetto di fondo, che poi porta conseguenze a tutta la sceneggiatura: Tim non sopportava la struttura sfilacciata del libro e del primo Alice, perché non gli permetteva da spettatore di immedesimarsi nelle avventure della bambina. Alla ricerca della connessione emotiva, Burton coinvolse la sceneggiatrice Linda Woolverton (La bella e la bestia originale) per costruire una nuova Alice: diciannovenne che si ribella a un destino prefissato, di ritorno nel Paese delle Meraviglie (anche se non lo ricorda subito), pronta a "liberarlo" dalla tirannia della Regina di Cuori, in uno scontro bellico al fianco dei "vecchi amici", tra cui un Cappellaio Matto di Johnny Depp, più eccentrico che davvero imprevedibile. Inutile inseguire le singole differenze con le radici dell'opera: quel che conta è che la narrazione è molto più tradizionale e irreggimentata, quasi una rilettura dell'epica alla C. S. Lewis delle Cronache di Narnia, e il senso di straniamento e inquietudine carrolliani vengono annullati in un'avventura fantasy dalla morale quasi alla Peter Pan.
Il primo Alice disneyano del '51 commise innanzitutto il "crimine" di fondere in un'ora e venti anche il successivo romanzo di Carroll, "Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò", rimescolando le carte, cambiando sequenza e natura di alcuni incontri. Tralasciando ancora una volta confronti serrati col testo che richiederebbero un articolo di per sè, il film di Wilfred Jackson, Clyde Geronimi e Hamilton Luske rispettava pienamente la natura disturbante del materiale, tanto che fu negli anni Settanta valutato come un trip ante-litteram dalla cultura hippie e rimane tuttora il meno rasserenenante dei classici Disney. Walt, preoccupato dalla piega da incubo che stava prendendo il racconto, avvertì la stessa mancanza di empatìa con Alice denunciata da Burton, ma decise di risolverla con la sequenza in cui Alice piange disperata in mezzo al nulla, peggiorando la situazione. Col senno di poi, Alice nel paese delle meraviglie è un'esperienza speciale e atipica nel canone disneyano, dove il più folle degli animatori Disney, Ward Kimball, non ha mai avuto così tanta carta bianca dal suo capo. Il design cromatico è antinaturalistico ed alcune sequenze sono entrate nella storia del cinema di animazione, come le evoluzioni dell'esercito di carte della Regina. In più, nonostante il film sia un musical a differenza della successiva versione di Burton, le canzoni sono quasi tutte le filastrocche stesse di Carroll musicate: rendono il ritmo del lungometraggio ancora più strano e sincopato.

Alice nel paese delle meraviglie e Alice in Wonderland: il responso del pubblico

All'uscita, l'Alice nel paese delle meraviglie del 1951 fu un mezzo fiasco, costando allo studio Disney la perdita di un milione di dollari. Il film non piacque, confermando le peggiori paure di Walt sulla tenuta di un lavoro così fuori dagli schemi, proprio perché paradossalmente più fedele all'incubo carrolliano di quanto si pensi. Disney arrivò a promuoverlo di persona durante uno speciale televisivo per l'ABC, preludio ai suoi programmi contenitori tra gli anni Cinquanta e Sessanta. L'Alice disneyano fu anche uno dei primi lunghi animati a essere tagliato e riadattato alla durata di tali programmi contenitori. Fu nominato al premio Oscar per le migliori musiche, a cura di Oliver Wallace.
Tutt'altro il responso trionfale decretato dagli spettatori all'Alice in Wonderland di Tim Burton, costato sotto i 200 milioni di dollari e foriero di un bottino da 1.025.000.000. Il suo esito straordinario e per certi versi imprevisto ha dato la stura alla sequenza incessante di rivisitazioni, remake e sequel dal vero dei classici disney: non sappiamo quanto sia un merito. Ha vinto due Oscar, per i migliori costumi e la migliore scenografia.     



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