Nel 1969, in piena New Hollywood, Sidney Pollack girò un film che avremmo visto qualche anno dopo (forse lo vedemmo direttamente in TV), e che ci rimase parecchio impresso, anche se da allora non ci è più accaduto di rivederlo. Il titolo italiano era Non si uccidono così anche i cavalli?, che era poi la traduzione letterale del titolo americano originale. Fra le/ gli interpreti c'era Jane Fonda nella sua stagione migliore. Ambientato nel periodo della Grande Depressione in California, il film raccontava di un manipolo di disperati che partecipava a una maratona di ballo, una gara di resistenza con in palio un premio in denaro che faceva grande gola ai partecipanti, ma in palio c'erano anche, quanto meno per tutta la durata della gara, regolari pasti caldi, merce rara per quei tempi.
Cinquant'anni dopo il non celeberrimo regista tedesco Bastian Günther (1974), da tempo attivo negli Stati Uniti, ha girato con One of these days un film per molti aspetti parecchio simile. Non si svolge in California ma in Louisiana, se non è Depressione siamo comunque in una zona degli USA che non sembra esattamente navigare in ottime acque, siamo in mezzo al nulla, nei non luoghi di una periferia che è periferia del Nulla, dove se giri a piedi la polizia ti ferma perché risulti automaticamente un individuo sospetto, talché la macchina rappresenta un'appendice della propria identità, un elemento indispensabile. Meglio ancora della macchina, segno dell'ambizione a una crescita sociale è il truck, il camioncino, oggetto del desiderio di un manipolo di altrettanti disperati. La gara consiste nel tenere sopra il suddetto camioncino almeno una mano, senza staccarla mai, se non nelle scarse pause concesse, ogni ora cinque minuti, ogni sei ore quindici minuti (se non ricordiamo male). Il premio è quello stesso camioncino blu, oggetto comune del desiderio. La gara si disputa in un parcheggio – di nuovo – in mezzo al nulla su cui affacciano grandi magazzini e concessionarie, fra cui – come ovvio – quello della ditta che mette in palio il premio. Dopo dieci minuti il patto con lo spettatore è chiaro: anche per lui sarà una gara di resistenza nella claustrofobia di un setting e di una storia che sembra aver davvero poco da offrire.
E invece si finisce per appassionarsi a questo campionario di follie, maturando anche una qualche compassione e non già dall'alto di un atteggiamento sprezzante e sussiegoso, disprezzo e sussiego per un'America che non è certo quella che amiamo e che, c'è da scommettere, vota tutta compattamente Trump. Il regista – non nuovo a narrazioni multiprospettiche: a Berlino si era fatto apprezzare nella sezione dei nuovi talenti tedeschi tredici anni fa Autopiloten, costruito in modo analogo – è davvero molto bravo a dare ritmo alla storia, a schizzare con pochi tratti un piccolo spaccato di umanità derelitta, estrapolando dal coro soprattutto due figure: Kyle, un ragazzo trentenne con moglie e figlio piccolo che dal contest si augura un possibile/impossibile riscatto e Joan, la coorganizzatrice della gara, una donna di mezza età interpretata dall'ottima Connie Preston, alle prese fra le altre cose con una vecchia madre smemorata, la figlia che è andata a studiare in Florida e una vita sentimentale tutta da ricostruire. Come già succedeva al film di Pollack, anche il finale di One of these days (il titolo, mai spiegato nel film, fa, con ogni probabilità, riferimento alla speranza che uno dei prossimi giorni avvenga un riscatto) è disperatamente tragico, seppur attenuato da un'appendice in cui tramite un flashback si vorrebbe riportare indietro l'orologio a un istante prima che questa insulsa macchina infernale si mettesse in moto, a dimostrazione ulteriore che la conquista del truck risponde a un'ambizione di riscatto è solo una variante e una variabile impazzita di quella cosa assurda che è il grande sogno americano.
(One of these days ); Regia: Bastian Günther; sceneggiatura: Bastian Günther; fotografia: Michael Kotschi; montaggio: Anne Fabini; interpreti: Carrie Preston (Joan), Joe Cole (Kyle), Callie Hernandez (Maria), Bill Callahan (Truck); produzione: Flare Film, Berlin; origine: Germania-Usa 2020; durata: 120'
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