Per inquadrare Never rarely sometimes always, ovvero “mai raramente talvolta sempre” è bene partire dal titolo, una sequenza di quattro avverbi di tempo senza virgola o trattino, da pronunciare tutto d'un fiato. Non si tratta di riflessioni filosofiche sulle forme della temporalità o sull'eterno ritorno dei fenomeni umani; molto più banalmente – lo si scopre circa a metà della proiezione – si riferisce alle possibilità di risposta previste da un test medico cui si sottopone la protagonista prima di un delicato intervento chirurgico, un aborto in stato di gravidanza avanzata. La scena è efficace e rappresenta il cuore della pellicola di Eliza Hittman; potrebbe suscitare effetti di spaesamento o addirittura di ilarità nello spettatore, e invece affonda come un coltello nella fragilità della ragazza, colta dalla telecamera che induce sul suo volto mentre riflette su quale avverbio scegliere per rispondere alle domande della psicologa, domande tipo «sei mai stata costretta dal tuo partner a fare sesso contro la tua volontà?». È lì che il film tocca il vertice della sua tensione drammatica, perché rivela in modo inequivocabile lo sfondo di violenza e desolazione che fino a quel momento si era potuto solo intuire.
È veramente un film riuscito e intenso quello della regista newyorkese Eliza Hittman, già presentato qualche settimana fa al Sundance Film Festival e ora in concorso alla Berlinale. Un film che segna la piena maturità dell'autrice dopo i precedenti It felt like love (2013) e Beach rats (2017).
La sceneggiatura è compatta e senza una sbavatura, lo stile narrativo è sobrio e segue schemi tradizionali, senza sperimentazioni azzardate. Attraverso inquadrature chirurgiche la regista mette in rilievo dettagli e gesti che dicono tanto quanto i dialoghi, evocando costantemente l'atmosfera cupa e cruda in cui si muovono le ragazze non ancora maggiorenni interpretate dalle attrici, Sidney Flanigan e Talia Ryder. Lo squallore claustrofobico è colto fin dalle sequenze iniziali nelle quali, prima ancora che si possa immaginare il dramma della gravidanza indesiderata e della decisione di abortire, si vede la diciassettenne Autumn (questo il nome della protagonista) esibirsi alla chitarra con palese impaccio in un talent show, tra i lazzi dei compagni di scuola e l'indifferenza dei famigliari.
Siamo nella profonda provincia statunitense, in una cittadina della Pennsylvania e in un milieu di operai e piccola borghesia. Il dramma di Autumn (Sidney Flanigan) nasce dalla certezza che mai e poi mai i suoi genitori avranno comprensione per quanto accaduto, né tantomeno autorizzeranno l'aborto (come prescritto dalle leggi della Pennsylvania). Insieme con la cugina Skylar (Talia Ryder), con la quale condivide un lavoro part time come cassiera in un supermercato, Autumn parte allora alla volta di New York per raggiungere una clinica dove è possibile praticare l'aborto. Da qui parte un road movie fatto di autobus, stazioni della metro, cliniche e sale d'attesa. Le due ragazze si avventurano coraggiosamente nella città sconosciuta. La protagonista ha un carattere schivo e poco comunicativo, con tratti misteriosi che non vengono del tutto chiariti. E questa caratterizzazione del personaggio protagonista si rivela una scelta azzeccata perché rende la vicenda ancora più penosa di quanto sarebbe comunque.
Il film assume senza dubbio la forma dell'apologo sulla marginalizzazione delle donne che intendono prendere decisioni tanto dolorose e sofferte, sulle difficoltà sociali (breve ma sintomatica la scena in cui si vedono centinaia di fanatici cattolici manifestare davanti alla clinica newyorkese in cui si praticano aborti e memorabile lo sguardo stupito e smarrito di Autumn). Nel corso del film non si discute mai della moralità o meno della scelta della protagonista di abortire, il che segna una differenza assai profonda rispetto a un precedente celebre film che tratta di tematiche analoghe, ovvero 4 mesi, 3 settimane, 2 giorni di Christian Mungiu (ambientato per altro nella Romania di Ceausescu in cui l'aborto era severamente proibito). E le strutture sanitarie di New York city si rivelano tutto sommato bendisposte ed efficienti. Ciò che conta nella pellicola della Hittman è il percorso della protagonista, la consapevolezza maturata nel corso del viaggio e delle esperienze vissute della propria alienazione e marginalità.
(Never rarely sometimes always); Regia: Eliza Hittman; sceneggiatura: Eliza Hittman; fotografia: Hélène Louvart; montaggio: Scott Cummings; musica: Julia Holte; interpreti: Sidney Flanigan (Autumn), Talia Ryder (Skylar), Théodore Pellerin, Ryan Eggold, Sharon Van Etten; produzione: Pastel; origine: USA, 2020; durata: 101'
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