venerdì 28 febbraio 2020

There Is No Evil: recensione del dramma in quattro atti sulla pena di morte in Iran in concorso al Festival di Berlino 2020


Mohammad Rasoulof realizza in clandestinità un'opera ispirata sulla morte indotta di stato nella repubblica islamica.

La morte di stato in quattro atti. Il regista iraniano Mohammad Rasoulof continua il suo percorso di crescita nell’attenzione dei cinefili dei festival internazionali di riferimento con questo passo in avanti notevole. Un film girato in clandestinità, senza alcuna autorizzazione preventiva né successiva, tanto che gli è impedito presentarlo al di fuori dei confini del suo Iran. Una raccolta di quattro storie sulla pena capitale, legate tematicamente una all’altra in maniera spesso sottile e intelligente, in un paese in cui vengono messe a morte ogni anno oltre 500 persone. Sono altri esseri umani, in questo caso inquadrati nella burocrazia dello stato, spesso fra i soldati di leva, costretti a prestarsi ai due anni di servizio militare obbligatorio, a mettere in atto questo assassinio legalizzato. Ogni volta è una scelta, quella che fanno, se compiere o no un atto che per alcuni è una routine, un mestiere come un altro, mentre per altri può provocare una reazione che cambia la propria vita e di quelli che gli sono intorno.

Quattro persone sono poste in There Is No Evil di fronte a questa scelta. Un titolo che, più che ironia, dimostra la spesso evocata banalità del male all’opera, come il mostro si nasconda nella comune routine di personaggi che incontriamo ogni giorno per strada. Proprio da uno di questi incontri, con uno dei burocrati che ha interrogato e segnato il destino del regista senza più autorizzazione a dirigere film, è partito Rasoulof immaginando le sue storie, allargando il discorso alla pena di morte. Ma dietro alla superficie, è sempre l’autocrazia ormai in cancrena a essere l’antagonista principe del film, il cui scopo è la sua sopravvivenza stessa, in maniera più placida possibile, e non più il cittadino che rappresenta. Un regime ormai ridotto a operare per stimoli involontari e assenza di speculazione, qualsiasi essa possa essere stata in passato. 

Quattro mondi intorno a loro si quietano per un momento, prima di riprendere un moto placido nella stessa direzione, o di sconvolgerlo verso dinamiche inattese e impazzite, visto che la decisione eticamente più giusta è anche spesso quella più difficile. Quattro luoghi, generi e risultati diversi per un film che è un atto morale che non dimentica la complessità dell’animo umano, che non giudica ma rivendica la possibilità di criticare lo stato che regola un sistema così distorto, che obbliga piccole pedine, esseri umani fallibili, a rispondere con un sì o con un no a una scelta immorale: uccidi, perché lo devi fare per il tuo ruolo all’interno della società, o non farlo finendo però al di fuori della rispettabilità sociale, alieno in fuga espulso come rifiuto dalla repubblica islamica.

Impossibile non vedere dietro a questo dilemma morale quello del regista stesso, e degli artisti come lui, che devono cedere al controllo della censura, oppure entrare nell’illegalità o lasciare il paese per mantenere la propria fedina etica intonsa. Come successo da anni a Rasoulof, i cui film non sono mai stati mostrati nei cinema del suo paese, e la cui figlia Baran, che recita nell’ultimo episodio, è protagonista di una storia che somiglia molto al rapporto reale con il padre: una figlia che ha abbandonato il suo paese e che per anni non ha potuto frequentare il padre.

There Is No Evil è uno splendido concept movie morale composto da storie appassionanti e complementari, esemplari casistiche sulla fragilità dell’essere umano, sul confine talvolta sottile fra routine e arbitrio. La colpa e il destino sono sempre incombenti, giudici implacabili di un viaggio nei quattro angoli del paese che colpisce nel segno, specie nel primo e nel terzo episodio.



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