sabato 4 dicembre 2021

Offseason, la recensione: Mickey Keating mescola gotico tradizionale, cosmic horror e videogame

Se siete appassionati di cinema di genere, e magari vi muovete anche tra quei titoli e quei nomi che per un motivo o un altro in Italia in sala non arrivano, potreste conoscere Mickey Keating, regista americano classe 1990 che ha già diretto film piuttosto apprezzati come Pod, Ritual, Darling o Carnage Park.
Se lo conoscete, lo sapete già, altrimenti ve lo dico io: quello di Keating è un cinema fortemente citazionista. Nei suoi film il giovane autore rielabora in maniera evidente ma sempre personale riferimenti espliciti: che se in passto hanno riguardato, per dire, Polanski o Peckinpah, nel nuovo Offseason presentato al TFF (sezione Le stanze di Rol), sono invece Lovecraft, Lucio Fulci, un pochino del John Carpenter di The Fog (e non solo) e tantissimo Carnival of Souls.

In Offseason c'è un'isola che, terminata la stagione estiva e partito l'ultimo turista, viene isolata dal resto del mondo. Il ponte attraverso il quale vi si accede viene sollevato, e nessuno entra e nessuno esce. Alla vigilia di quella chiusura, quando già nell'isola non viene fatto entrare più nessuno, arriva Marie (Jocelin Donahue) una giovane donna col marito un po' inetto (Joe Swamberg): la tomba di sua madre Ava Aldrich (Melora Walters), grande attrice che sull'isola era nata, è stata vandalizzata. Così, almeno, dice una lettera che gli chiedeva di recarsi con urgenza sul posto e di mantenere il riserbo su quanto accaduto.
E non ci vuole molto - anzi, ci vuole pochissimo - perché una volta sull'isola Marie inizi a capire che lì c'è qualcosa di molto strano, molto inquietante e di mortalmente pericoloso.
Al cimitero sale la nebbia, e poi arrivano strane figure dagli occhi bianchi, e Marie perde il marito, e poi lo ritrova, e poi in un bar incontrano figuri strani e grotteschi e minacciosi che paiono usciti da un folk horror marinaro, e poi ancora il tentativo di fuga di Marie e dell'uomo fallisce tragicamente, e Marie si ritrova sola ad attraversare quella spettrale cittadina come se fosse stata catapultata a (o dentro) Silent Hill.

Keating, che non rinuncia all'abituale divisione in capitoli preceduta da cartello, trova un punto d'incontro e d'equilibrio per nulla facile tra il gotico tradizionale, il cosmic horror e il videogame, affidandosi completamente alla bravissima Jocelin Donahue, una che mica per caso era stata premiata protagonista di The House of the Devil di Ti West.
È Marie, infatti, il centro del racconto, il nostro punto di vista, la nostra porta d'immedesimazione. Perfino il nostro destino, che è quello di rimanere legati al film come lei all'isola dal primo all'ultimo dei suoi 83 minuti di durata: scena dopo scena, inquadratura dopo inquadratura, suggestione su suggestione, stratificazione d'immaginario su stratificazione d'immaginario.
Tutto questo, tutto quello che Offseason è e deve essere, e che volete vedere da bravi appassionati, Keating lo mette sullo schermo, con baldante eleganza, utili sfumature e senza inutili sovrastrutture: creando un mondo e un'atmosfera che non mancheranno di lasciarvi soddisfatti.



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