mercoledì 1 dicembre 2021

Il muto di Gallura, la tradizione con giudizio del western sardo in concorso al Torino Film Festival

L’entroterra sardo nella metà dell’Ottocento. La Gallura fa da sfondo a una storia antica eppure moderna, un western per estetica e una faida diventata leggenda raccontata in tutta l’isola. L’epopea criminale di un bandito, Bastiano Tansu, ovvero Il muto di Gallura, la cui storia è stata raccontata in un libro ottocentesco di Enrico Costa, scritto pochi anni dopo i fatti, e ora da un film diretto dall’esordiente Matteo Fresi, con Andrea Arcangeli nei panni del protagonista. Il film è l’unico italiano nel concorso del Torino Film Festival 2021.

La storia ruota intorno a una faida di violenza inaudita che vide coinvolte le famiglie Vasa e Mamia, che causò la morte di oltre 70 persone. Bastiano Tansu è un personaggio realmente vissuto. Sordomuto dalla nascita, venne maltrattato ed emarginato finché la sua furia e la sua mira prodigiosa non divennero utili alla causa della faida. Il legame di sangue e l’assassinio di suo fratello Michele, lo legano indissolubilmente ad uno dei due capi fazione, Pietro Vasa, che lo trasforma nell’assassino più temuto. Lo stato e la chiesa procedono per tentativi, spesso maldestri, per arginare l’ondata di terrore mentre le due fazioni si consumano a vicenda.

“Una storia bella, forte e vera, legata a una terra che amo molto”, ha dichiarato il produttore Domenico Procacci, incontrando la stampa a Torino. “Ci piaceva molto la connotazione western, se ti capita di poterne produrre uno è una grande tentazione”. Ha amato la sceneggiatura di Fresi, torinese classe 1982 di padre gallurese, formatosi alla Scuola Holden, dove insegna da anni. “Desideravo raccontare questa storia”, ha detto, “perché credo che, in fondo, tutti noi ci siamo sentiti un po’ Bastiano Tansu: abbiamo avuto difficoltà a comunicare i nostri sentimenti e i nostri bisogni, abbiamo agito in funzione di regole che non comprendiamo, abbiamo guardato in faccia il dolore di una perdita e ci siamo sentiti soli. Abbiamo pensato che l'amore ci potesse salvare da noi stessi. E siamo stati smentiti.”

È stato il Divin Codino, Roberto Baggio, oltre che fra i protagonisti della serie tv Romulus. Arriva ora un’altra sfida in una lingua antica per Arcangeli, anche se il sardo rispetto al latino è tutto’altro che morto. “Ho avuto almeno la fortuna di non dover imparare il gallurese, essendo muto”, ha ricordato saggiamente. “Fin dall’inizio mi piaceva come non fosse la storia di un assassino, ma di un emarginato nella Sardegna dell’ottocento. Un ragazzo che nasce con una condizione all’epoca guardata in maniera molto diversa da oggi. Come cresce un sordo? Da qui sono partito. Un reietto della società che cresce da solo e ha come unica ragione vita il suo eterno dolore, e l'uccisione degli altri come assassino. Per un attore esser privato della lingua è una sfida. Volevo evitare di accentuare gli altri strumenti a disposizione per non rischiare di fare una macchietta, una cosa forzata. Non ho avuto paura di andare in sottrazione, farlo parlare più con gli occhi, scoprire Bastiano girando. Mi sono fatto aiutare ragazzi dell’istituto per sordi a Roma, immaginando anche un ipotetico antenato del linguaggio dei segni di oggi, all’epoca ovviamente non utillizzato. Non ho dovuto imparare il gallurese, dico appena poche parole, l’unico che non lo parlava sul set. Era strano dialogare con gli altri personaggi in scena, senza mai dire niente. Nonostante questo è stato bello instaurare qualcosa di vibrante con loro."

“Ho frequentato quelle zone fin da bambino”, ha proseguito Fresi “e lì è una narrazione, un misto fra leggenda e storia vera molto conosciuta. Una storia che mi è rimasta appicciata addosso e rileggendo il romanzo mi sono reso conto come avesse un impianto narrativo molto contemporaneo. Rimaneggiando la struttura si poteva portare al cinema in maniera efficace. Storia e leggenda si fondono, in un libro che è un prototipo del romanzo storico. Il western era uno dei tanti ingredienti, ma la struttura del racconto rievoca più qualcosa di mediterraneo, come la tragedia greca. Ma il tipo di estetica invece ci ha permesso di leggerlo come contemporaneo e non etnografico. Sarebbe un errore conservare la tradizione così com’è. Per rimanere viva bisogna reinventarla un po’ e il western aiutava in questo senso. Sui costumi abbiamo cercato di allontanarci leggermente, all’epoca i banditi indossavano una specie di gonnellino che sarebbe risultato ridicolo e fuori tempo. Anche la musica ha molti interventi di elettronica, sempre per allontanarci dalla teca museale.”



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