Le commedie polarizzano sempre, non c'è niente di meno condiviso della comicità, ognuno di noi ha la propria playlist e le proprie idiosincrasie, o i comici divertono, fino a far sbellicare dalle risa oppure non divertono per niente. Anche per le commedie sentimentali – fatte le dovute differenze - valgono più o meno le stesse regole: c'è chi la medesima romantic comedy la considera brillante, ben scritta, personaggi deliziosi, un meccanismo di scrittura, di dialoghi che funziona a orologeria, e c'è chi la considera stucchevole e ripetitiva con dialoghi sciatti e i personaggi che non appassionano e non inducono neanche a uno straccio di identificazione. Tutto quel che si legge su The Big Sick- che nella versione si ritrova un improbabile sottotitolo: "il matrimonio si può evitare...l'amore no", ma andiamo! - dalla presentazione a Sundance, nel gennaio scorso, in avanti (per esempio a Locarno) sembra propendere con pochissime, quasi nulle eccezioni, verso la prima alternativa (commedia brillante, sceneggiatura perfetta, personaggi credibili etc. etc.), l'indice di gradimento su Rotten Tomatoes è di quelli che sembrano non lasciare dubbi: 98% su un campione significativo (più di 200 entries), il coro sembra davvero unanime, gli incassi importanti. Persino Mariarosa Mancuso, non certo persona di facile contentatura, che pure segnala alcune cose che non funzionano, ne fornisce un giudizio sostanzialmente più che benevolo. Con un esordio del genere, il lettore avrà già capito che chi scrive non è stato per nulla conquistato dal film di Michael Showalter, un quarantasettenne fin qui distintosi per la regia di alcuni episodi di serie televisive e poco altro. Il clou del film, come detto, sarebbe tuttavia rappresentato non già dalla regia, in effetti francamente négligeable, ma dalla produzione di Judd Apatow (un verso guru della commedia nonché scopritore di talenti) dalla sceneggiatura e dai dialoghi, scritti entrambi da Emily V. Gordon (1979), americana originaria della North Carolina con alle spalle una carriera come giornalista, co-autrice di live shows e web-series destinate a teenager e Kumail Narjani (1978), nato a Karachi, ma cresciuto negli USA, di mestiere stand-up-comedian nonché attore televisivo e cinematografico, i quali non avrebbero fatto altro che mettere in scena la propria tormentata e in certi momenti drammatica storia d'amore interculturale e interetnica con annesso lieto fine, con l'attore di origine pakistana ad autentificare, tramite la propria interpretazione, la corrispondenza della vicenda raccontata con la verità di fatto (mentre invece la controparte femminile non è interpretata dalla Gordon ma dall'attrice Zoe Kazan). Ora, al netto di questa rispondenza fra la realtà fattuale e il cinema che ci interessa fino a un certo punto e al netto della sempre maggior feticizzazione del dato fattuale nell'ambito del cinema internazionale (in particolare americano), ci permettiamo di dire che il film, salvo pochissimi meriti di cui fra un attimo si dirà, è piuttosto scadente per le seguenti tre ragioni: a) il conflitto interetnico, interculturale, interreligioso etc etc fra culture che, per esempio, prevedono il matrimonio libero e culture che prevedono il matrimonio combinato è stato negoziato fino alla noia nella cinematografia degli ultimi vent'anni: quante riunioni di famiglia con fidanzate/fidanzati scelti da famiglie, quante figlie/i recalcitranti, quanti discorsi sempre uguali abbiamo visto, la lista dei film, con tutte le varianti del caso, è sterminata, basterà forse ricordare che il padre pakistano integralista è interpretato dal medesimo attore (Anupam Kher) che interpretava un ruolo analogo in Sognando Beckham, quindici anni fa (e non sembra esserci una strizzatina d'occhio al sottogenere) ; b) le sequenze reiterate ambientate nel locale/nei locali dove si esibisce non solo il protagonista ma tutta la corte dei miracoli dei suoi – non esattamente brillantissimi – compagni e colleghi aspiranti comici sono davvero troppe e appesantiscono il testo, senza fornire un contributo davvero fattivo alla costruzione dei personaggi (e anche il momento in cui il protagonista esce dal personaggio in esito alla vicenda tragica di cui è stato indirettamente vittima non funziona sul piano drammaturgico, perché il personaggio non aveva, fino ad allora, costruito una minima legittimazione attoriale e artistica, ciò malgrado – non si capisce davvero come – a un certo punto viene selezionato per un importante contest in altra città); c) ci pare che la sceneggiatura ecceda oltre misura in tipizzazioni, i personaggi sono spesso autentiche macchiette. Più in generale una commedia romantica non è un film comico tout court, che può anche permettersi di lavorare su tipizzazioni, se un attore è particolarmente bravo, se è un personaggio minore magari sì, può anche funzionare, ma in generale no. E proprio qui veniamo ai – a nostro avviso pochissimi – elementi positivi del film. Al primo posto va messa senz'altro la figura della madre della protagonista interpretata da una strepitosa Holly Hunter, molto nevrotica e molto grunge. Al secondo posto qualche battuta riuscita che qua e là fa ridere. Qualche battuta, non molte. Fra i pakistani che girano in taxi era incomparabilmente meglio Nasir, interpretato da Riz Ahmed, nella notevole serie The Night Of.
(The Big Sick). Regia: Michael Showalter sceneggiatura: Emily V. Gordon, Kumail Narjani; fotografia:Brian Burgoyne; montaggio:Robert Nassau; interpreti: Kumail Narjani; (Kumail), Zoe Kazan (Emily), Holly Hunter (Beth), Ray Romano (Terry), produzione: Autumn Productions, FilmNations Entertainment, Apatow Prdocutions origine: Usa 2017; durata: 120'.
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