martedì 11 agosto 2020

Le idi di marzo, George Clooney e la candidatura a Presidente degli Stati Uniti

È uno dei divi più amati, stimati e popolati di Hollywood e del cinema mondiale. Uno dei nomi che garantiscono immediatamente attenzione mediatica e incassi. Ma è anche uno delle poche grandi star dell'industria culturale a rifiutare testardamente - e saggiamente, verrebbe da dire - l'uso dei social network, e uno dei nomi politicamente più impegnati dell'intero establishment hollywoodiano.
Mettendo assieme tutti questi elementi, non è difficile capire per quale motivo siano anni che si fa un gran parlare di George Clooney come di un possibile candidato, sponda rigorosamente democratica, alla Presidenza degli Stati Uniti d'America.

Lui ha sempre nicchiato, smentito. "Non ho le competenze necessarie," aveva dichiarato in un'intervista appena lo scorso anno, quando iniziavano le grandi manovre, sempre sulla sponda democratica, attorno al nome di colui che in novembre sfiderà l'attuale inquilino della Casa Bianca, Donald Trump, alle presidenziali del 2020.
Hillary Clinton, che evidentemente ai tempi covava qualche speranza, e che si vedeva forse in pericolo, sosteneva la stessa cosa. Su di lui, su Clooney.
Salvo sorprese, lo sfidante di Trump sarà soltanto Joe Biden, ma le elezioni presidenziali negli Stati Uniti si svolgono ogni quattro anni, e nel 2024 Clooney di anni ne avrà appena 63. Più dei 48 dell'amico Obama quando è stato eletto, certo, ma meno dei 70 che aveva Trump, e dei 78 che avrebbe Biden dovesse diventare il 46esimo POTUS.
E allora ecco che di Clooney alla Casa Bianca si continua e si continuerà a parlare.

Se ne parla da tanto, da tantissimo.
Se ne parlava già nel 2011, quando Clooney ha presentato in prima mondiale al Festival di Venezia Le idi di marzo, il suo quarto film da regista. Un film che voleva mostrare il volto oscuro della politica americana, non a caso tratto da una pièce teatrale del Beau Willimon che è stato il creatore di House of Cards (tanto per restare in tema Casa Bianca), e in cui l'attore interpretava il ruolo di Mike Morris, governatore della Pennsylvania in corsa per la nomination democratica alle presidenziali. Un tipo amatissimo e apparentemente limpidissimo, che non era esente però da lati oscuri.

E a proposito.
In molti contestano a un'eventuale candidatura di Clooney il fatto che non abbia alcuna reale esperienza amministrativa. Ronald Reagan, almeno, era stato Governatore della California prima di diventare presidente. Ma nemmeno Trump aveva esperienza amministrativa; e se l'obiezione è che amministrava le sue aziende, come già per Berlusconi, beh: George Clooney amministra la sua carriera e la sua immagine, che sono ben poco meno di un'azienda. Anzi.

Torniamo all'attualità.
Solo poche settimane fa Clooney ha pubblicato sul sito americano Daily Beast, dopo l'uccisione di George Floyd e le proteste che ne sono scaturite, una lunga (e bella) lettera in cui si sosteneva che "la vera grande pandemia dell'America è il razzismo contro i neri", e invitando la popolazione a votare - sott'inteso: per i democratici - per spezzare le catene del razzismo e dell'oppressione.
n molti hanno voluto vedere in questo testo, come in mille altre dichiarazioni e azioni pubbliche (e donazioni: l'ultima, di 100mila dollari a tre ONG che si occupano del Libano, dopo l'esplosione che ha devastato Beirut) di Clooney, un altro passo nel suo impegno personale e verso Washington.

Possiamo solo speculare, solo ipotizzare.
La verità, sulla sua candidatura, la sa solo lui.
Anzi. La sanno lui e l'invidiatissima moglie Amal Ramzi Alamuddin, che oramai si fa chiamare Amal Clooney, avvocatessa impegnatissima anche lei, inglese di origine libanese (da qui, anche la donazione congiunta) che, quando Clooney l'ha sposata, in molti hanno visto come una perfetta First Lady, e il matrimonio studiato appositamente per la carriera politica.
Ma magari, e non sorprenderebbe, è vero proprio il contrario, e a Clooney forse non dispiacerebbe affatto diventare il primo First Man della storia degli Stati Uniti d'America, e far diventare Amal la prima donna alla Casa Bianca. Sarebbe una mossa perfetta. Geniale.
In linea coi tempi, e col profilo intelligente, riservato e sornione di Clooney.

Per sapere, c'è solo da aspettare, e vedere. E nel frattempo, vedere i film di Clooney. Le idi di marzo, magari. O magari quelli che arriveranno: l'imminente The Midnight Sky, che sarà targato Netflix, e l'appena annunciato adattamento di "Il bar delle grandi speranze" di J. R. Moehringer (anche ghost writer dell'"Open" di Andre Agassi), che invece sarà prodotto da Amazon: per non scontentare nessuno dei due grandi player, con mossa perfettamente e astutamente politica.



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