Raccontare Massimo Troisi come se si raccontasse un pittore del Quattrocento.
È questo che Mario Martone si è proposto di fare con Laggiù qualcuno mi ama, un bellissimo film che è molto più di un semplice documentario su un grande artista che ci ha lasciati troppo presto. “Ho capito da subito che mi piaceva l’idea di fare un film in cui si parlasse per suo cinema: volevo far emergere quello che di lui c’era nei suoi film. I film ci parlano dell’artista, e dall’artista viene fuori l’uomo”, ci ha spiegato Martone al Festival di Berlino, dove Laggiù qualcuno mi ama è stato presentato in prima mondiale. “I racconti dei suoi amici li ho ascoltati per capire l’uomo, ma ci sono cose che sono sul piano umano e personale che ho lasciato fuori”. Il Trosi che viene fuori da questo film, ha continuato Martone, “è quindi il mio Troisi, quasi un personaggio del film. In questo mi è stato di grande ispirazione Ennio di Tornatore, nel quale Giuseppe fa di Morricone un personaggio, e nel quale non si tira indietro di fronte ai tecnicismi musicali”.
È per questa sua volontà di mettere in chiaro di essere di fronte alle opere, prima ancora che di fronte a una persona, che Martone si è messo (“non a mio agio”) di fronte alla macchina da presa, mostrandosi all’inizio del suo film al montaggio, con le immagini di Troisi nei monitor del computer: “volevo fosse chiaro per lo spettatore che stavamo guardando insieme i suoi film”.
L’idea per Laggiù qualcuno mi ama nasce dall’incontro quasi casuale con quella che è stata per anni la compagna di vita e di lavoro, di Troisi: Anna Pavignano. “Mauro Berardi mi aveva proposto di leggere una sceneggiatura di Anna, in cui si raccontava della vita di lei di Massimo tra Torino e Napoli. Era molto bella, la conferma del peso che Anna ha avuto nel cinema di massimo, ma non ho voluto fare il film perché sapevo che non avrei potuto riprendere un attore che interpretava Massimo Troisi", ha spiegato Mario Martone. "Dopo qualche tempo Massimo è tornato alla carica e mi ha proposto il documentario”. A quel punto Martone ha accettato, ponendo un’unica condizione: “quella di poter montare i suoi film nel documentario: in questo modo il suo cinema torna a vivere sullo schermo, e provo a raccontare perché il suo cinema era così bello”. Troisi, ha aggiunto poi Martone, “soffriva del fatto di non essere considerato come regista, di essere visto solo come grande comico: io volevo restituirgli questa cosa, che sapevo gli avrebbe fatto piacere”.
La tesi - ne abbiamo già parlato in questa recensione di Laggiù qualcuno mi ama - è quella per cui il cinema di Troisi è in stretto rapporto con quello della Nouvelle Vague francese: “Massimo era un ribelle, forte di un impegno politico a cui era rimasto sempre fedele. Era figlio di un tempo e un luogo, la Napoli degli anni Settanta che era una temperie importante. In uno dei foglietti da lui scritti che si vedono nel film”, ha continuato Martone, “teorizza un personaggio che non deve mai piegarsi e arrendersi al conformismo, e a questo lui è rimasto fedele nonostante sia stato un attore amatissimo. Aveva la schiena dritta, faceva quel che aveva in mente di fare: questo è Nouvelle Vague, come lo è il parlare d’amore interrogandosi su di esso invece di raccontarlo. I suoi temi si riflettevano nella forma dei suoi film, con scelte completamente libere, a volte da cinema radicale”.
A colpire e incuriosire Martone, poi, c’erano anche “i ruoli femminili forti, reali, non comuni nel cinema italiano dell’epoca, che affollavano i film di Troisi, scritti con Anna Pavignano. Anna era una ragazza torinese, una femminista molto impegnata nel movimento, e al momento dell’esordio cinematografico Troisi era già Troisi, famoso per la Smorfia. Normalmente da regista avrebbe dovuto lavorare con qualcuno dei tanti grandi sceneggiatori dell’epoca, per il suo esordio, ma lui invece sceglie di scrivere con la ragazza che ama: già questo dice moltissimo della sua totale libertà”.
Martone, che con Troisi è stato legato da “un’ amicizia breve”, era sul set dell’ultimo suo film, Il postino, che Troisi affrontò sebbene malato e in attesa di trapianto, e che anzi decise di girare “con il suo cuore”, prima di affrontare un’operazione che forse gli avrebbe salvato da vita. Come molti, Martone vide il film completato tra le lacrime, straziato dal dolore per la sua morte. “Il dono di Laggiù qualcuno mi ama è stato quello di rivederlo, di rivedere un film che in qualche modo non esisteva per me, che era un buco nero nel mio rapporto con lui da spettatore, e che rivedendolo nel corso di una visione emozionante ho riconsiderato, e valutato il punto di arrivo di tutto il suo cinema, che contiene un cifra d’autore precisa per via di quella magia che il cinema ha, capace di una poetica autoriale che si sviluppa in rapporto con gli altri”.
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