Fra commedia e documentario, Alessandro Comodin, da anni a Parigi, continua a raccontare la terra da cui si è allontanato da tempo, ma che rimane l’ancora della sua poetica cinematografica. Premiato al Locarno Film Festival con il Premio speciale della giuria, in lizza ai Nastri d’argento come documentario, Gigi la legge è iscito nelle sale, dopo essersi affacciato con buoni risultati proprio nel nord-est, distribuito da Okta Film.
“Un clown triste dal cuore grande”. Così ha definito la giuria di Locarno il suo protagonista, cuore pulsante di questo racconto di “un vigile in un paese di campagna dove sembra non succedere mai niente. Un giorno, però, una ragazza si suicida, gettandosi sotto un treno. Non è la prima volta. Lì comincia un’indagine su questa misteriosa serie di suicidi che si consuma in uno strano mondo di provincia in bilico tra realtà e fantasia, dove un giardino può anche essere una giungla e un poliziotto avere un cuore sempre pronto ad innamorarsi e a sorridere”. Una commedia documentaria, questa la definizione che meglio si adatta a quest’avventura, fra realtà e fantasia, sbruffoneria e profonda malinconia, per spettatori “pronti a credere che un giardino possa essere una giungla e un poliziotto avere un cuore sempre pronto a ridere e innamorarsi”, secondo Alessandro Comodin.
Girato al confine fra Veneto e Friuli-Venezia Giulia, presenta al fianco del prode Gigi (tra parentesi zio di Comodin) la vigilessa Annalisa Ferrari e “l’ostetrica prestata al cinema” Ester Vergolini nel ruolo di Paola. Due figure che da una parte alimentano la sovversione di Gigi, dall’altra la contengono. Come ha detto il regista, il film ha rappresentato “Sette giorni di avventure straordinarie, tutte vere e tutte false, quelle che mio zio Gigi vive sullo schermo. Questo progetto nasce dalla mia volontà di tornare a casa. Abbiamo girato nel mio paesino, San Giorgio al Tagliamento, in Friuli. È dove sono cresciuto e avevo girato L’estate di Giacomo, presentato nel 2011 a Locarno. All’epoca mio figlio era appena nato, mi ero concentrato sulla fuga di due ragazzini che vanno al fiume, oggi sono più maturo, mio figlio va alle scuole medie, e volevo trattare quello che in quel caso era rimasto fuori campo: la pianura, la campagna. Il cuore del film è il giardino del protagonista, il posto in cui ho passato le estati da bambino, in cui giocavo a nascondino”.
Il giardino che ha una grande valenza evocativa, un archetipo misterioso capace di riproporre la complessità della nostra mente e delle nostre vite. “Del giardino si occupava mio zio Gigi, a modo suo, in maniera molto romantica”, prosegue Comodin. “Praticamente non se ne occupava, le piante avevano invaso tutto. Era una giungla: dall’interno molto bella, dall’esterno tutti i vicini si lamentavano. Lui è un vigile urbano con spiccato senso del suo ruolo. Mi è sembrato naturale pensare a un film poliziesco di campagna, in friulano, con mio zio come protagonista. Volevo girare d’estate, la stagione in cui quella regione si vive di più, con poca gente, un caldo pesante e le zanzare. Ci voleva un’indagine e non volevo una storia di finzione troppo codificata. Qualche anno fa una donna si era tolta la vita in paese, all’altezza di un passaggio al livello, fra un campo di calcio a un cimitero. Una zona interessante, in cui passavo spesso. Un posto in cui varie persone si sono suicidate, come attratte da una calamita. Ho scoperto poi che in ogni paese esiste un posto del genere. C’è il treno che passa, ci sono le persone che restano e quelle che se ne vanno, come accaduto a me. Poi quelli che cercano di partire, ma non ce la fanno e forse finiscono sotto le rotaie”.
In esclusiva una clip di Gigi la legge
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