domenica 29 novembre 2020

The Oak Room, o del cinema che racconta le storie e ti rapisce, per arrivare alla verità

Una volta è successo che avevo scritto una cosa, e quella cosa l'avevo mandata ad alcuni amici per fargliela leggere, e avere un parere.
Uno di questi amici, al quale forse quella cosa che avevo scritto non era piaciuta molto, ma che voleva trovare qualcosa da dirmi che non fosse che non gli era piaciuta, per una questione di delicatezza che mi fece sorridere ma che apprezzai, uno di questi amici mi disse che da quella cosa che avevo scritto si sentiva la mia voglia di raccontare con tutte quelle storie che si aprivano all'interno della storia e che esploravano altri mondi, altre possibili storie, per poi tornare a quella principale.
Penso che quell'amico avesse colto un punto importante, una cosa che effettivamente mi sta molto a cuore, come il raccontare storie e sentirle raccontare.

Questo non per stare qui a parlare di me, ma per spiegare uno dei motivi, che poi è il motivo principale e più evidente, per il quale mi è piaciuto molto The Oak Room, il film thriller (o neo-noir, come pare sia più corretto dire) che è stato tra gli ultimi visti al Torino Film Festival nella sezione Le stanze di Rol, quella curata da Pier Maria Bocchi, quella tutta film di genere eccentrici o estremi, o comunque che raccontano la storia dei film di genere nell'anno 2020.
Perché The Oak Room funziona esattamente come funzionava quella cosa che avevo scritto una volta, e come funzionano tante altre narrazioni, tra cui anche quella del film più bello degli anni duemila, La Flor, che è appunto  un susseguirsi di storie che poi aprono altre storie che poi aprono altre storie, specie nell'episodio tre e nell'episodio quattro, quelli che per semplicità definiremo l'episodio delle spie, il terzo, e quello degli alberi, il quarto, che poi sono gli episodi che toccano il sublime di quel film fluiviale e straordinario che è La flor di Mariano Llinás.

In The Oak Room c'è un barista che sta chiudendo il suo bar, alla fine di una lunga giornata di lavoro, e all'improvviso mentre fuori imperversa una tormenta (siamo in Canada, tormente happens) entra un altro tizio, uno che era sparito da alcuni anni, e a quanto pare il barista ha dei conti da regolare con questo tizio, e il tizio deve riprendersi qualcosa che è suo.  E poi il barista chiama un altro tipo, che pure lui ha dei conti da regolare con quello che è tornato, e mentre lo aspettano quello che è tornato si mette a raccontare una storia accaduta in un altro bar, lì vicino, quando il barista stava chiudendo alla fine di una lunga giornata di lavoro e poi all'improvviso era entrato un altro tizio, per ripararsi dal freddo, perché pure lì stava infuriando una tormenta.
E poi la storia sembra finita, e allora è il barista a raccontarne un'altra, e poi il tizio che è tornato dopo anni dice "ma ti devo raccontare cosa è successo prima, nella storia che ti ho raccontato", e così via, fino a quando da tutte quelle storie che rimbalzano viene fuori la verità sulla storia del film che si chiama The Oak Room.

Ecco, io penso che la cosa più bella del cinema, e della letteratura, e della musica, e dell'arte, e della natura umana, sia il saper raccontare storie.
E The Oak Room del raccontare storie fa una teoria, ma non è un film teorico, perché sennò sai che palle, ed è un film un po' come The Hateful Eight di Tarantino, ma senza Tarantino e i tarantinismi (quasi), e molto più compatto, nel senso di più breve.
The Oak Room mi è piaciuto per questa sua costruzione, e perché è un film tutto di dialoghi, e i dialoghi sono una cosa bellissima, il cinema che preferisco, se i dialoghi sono scritti bene, è un cinema di dialoghi: Allen, Sorkin, Wilder: solo per fare tre nomi.
E poi perché perché c'è il bar, che non è il bar inteso come lo intendiamo noi, caffè, cornetto e quotidiano locale, ma il bar degli americani, qui posti col legno, il neon, il biliardo, le birre, i liquori, gli sgabelli di fronte al bancone, sempre un po' bui, sempre un po' maledetti, tipo quello dove era cresciuto il giovane Flanagan di Cocktail, prima di entrare nel suo delirio anni Ottanta.

Insomma, The Oak Room è un piccolo grande film di genere, il più bello delle Stanze di Rol, mentre il più spaventoso era The Dark and the Wicked, è il più bello perché parla del raccontare storie, e dell'ascoltare le storie, anche quando non vorremmo o non potremmo, ma le storie sono così potenti che non possiamo fare altrimenti, che poi è quello che facciamo noi spettatori di fronte al film che prende e ci rapisce. E parla di come, attraverso il racconto delle storie, il loro rimbalzare da una parte all'altra, alla verità ci si arriva. Sempre. E che non è vero che uno nelle storie ci si immerge per sfuggire dalla realtà, ma per trasformarla e meglio comprenderla, in maniera più pura, diretta, cristallina e scioccante.



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