venerdì 19 giugno 2020

Una sera al cinema, e non vedo l’ora di tornarci

Lunga vita allo streaming, ma è il metadone che permette di gestire l’astinenza dalla sala, vera dipendenza nobile di chiunque ami il cinema. Un’astinenza durata per la precisione 119 giorni, per quanto mi riguarda. L’ultima volta in cui avevo varcato la porta di un sala cinematografica era stata l’ultimo giorno del Festival di Berlino, il 28 febbraio, e il film era un documentario dolorosissimo di Rithy Panh, che così definivo, “un’impossibile (ri)elaborazione del dramma dei sopravvissuti, di chi è stato irradiato dalle radiazioni nucleari, a Hiroshima e Nagasaki, ma più in generale dal morbo della malvagità umana”. Il tutto in un asso bisestile: il minimo che poteva capitare era una pandemia, di cui ovviamente si parlava già a Berlino in quei giorni. Ma tutto il resto è cronaca e sarà storia.

Poi settimane di visioni domestiche, di tablet, computer, LCD, schermi piatti, curvi, piccoli, mal calibrati. Di tutto, insomma, ma sempre palliativo in attesa del ritorno al rito, alla sala, al buio disturbato dalle luci d’emergenza verdi. La differenza è che oggi siamo in periodo di distanziamento sociale, quindi niente vicini rumorosi. Mica male.

A Roma, la città in cui vivo, ha aperto il 15 gennaio solo una struttura, L’UCI Porta di Roma, mentre proprio ieri è stata la volta del Madison, otto sale indipendenti nel quartiere di San Paolo. È lui il prescelto, senza bisogno di conversioni sulla via di Damasco. In questi giorni la capitale ha subito una specie di inversione dei propri poli d’attrazione, con le zone più belle del centro spettrali per assenza di turisti, mentre le aree residenziali e popolari brulicano di un’attività pressoché normale, solo controllata e con mascherina.

Arrivo davanti al cinema e penso che di questi tempi il racconto di una sera al cinema sia la cosa più vicina a un reportage di viaggio. Deliri da novello Terzani, in bermuda e sneakers al posto di panama e lino, che durano poco; il tempo di pasteggiare tè freddo al bar invece che whisky e rendermi conto che stavo andando al cinema, attività non propriamente azzardata, in cui indugio varie volte a settimana da una ventina d’anni almeno. Il fascino del proibito dura poco, insomma, non è che ci voglia proprio un coraggio particolare ad andare al cinema in questi giorni. Distanziamento sociale, mascherina - ma in Italia non obbligatoria in sala, unico paese europeo a permetterlo -, un bel lavaggio di mani e via. 

Davanti al cinema qualcuno si avvicina e guarda come se fosse un luogo esotico tornato a disposizione della cittadinanza, o un cantiere, opzione questa riservata agli anziani. L’odore dolciastro dei popcorn al burro mi assale. Lo so, li ho sempre odiati e non sarà l’eleganza della madeleine di Proust, ma è un passo in avanti sensoriale verso il ritorno alla normalità. Il Madison è in un quartiere in cui in molti si conoscono, ed è tutto un darsi di gomito, nel senso pandemico del termine. Ci sono bambini e ragazzini con famiglia che chiacchierano con il proprietario del cinema, sbirciano il programma dei film. Il primo spettacolo non andato affatto male, una trentina di spettatori per I Miserabili e una ventina per Favolacce, di giovedì pomeriggio

Il gestore sembra soddisfatto. “Ho aperto con mio figlio, per cui siamo riusciti a farlo”, ci dice, “per ora mancano i figli con i genitori, sembrano ancora non fidarsi”. Gli diciamo della conferma dell’uscita per Warner di Tenet il 3 agosto, una nota di ottimismo importante per sostenere l’esercizio, visto che per ora il prodotto reso disponibile dai distributori è privo di novità, purtroppo. Non mancano comunque film interessanti, alcuni già presentati in streaming, ma la sala è un’altra cosa, come dicevamo. Dai MiserabiliFavolacce, da Lontano Lontano alla possibilità di recuperare Parasite. Poi c’è Emma, per cui opto, anche perché è l’unico che non ho visto.

Mi guardo intorno con una certa emozione, devo dire, non perché sia il cinema più moderno del mondo, ma per ritrovare le misure di un luogo che mi è caro come pochi altri. Alla fine entro, sfrutto il disinfettante per una bella lavata di mani, letterale. Non so voi, ma ormai degusto i vari disinfettanti nei locali pubblici come fossero premier cru. Mascherinato, mi avvicino alla maschera e compilo un foglio con nome, sala e spettacolo, oltre ovviamente a un recapito telefonico, dovuta procedura per intervenire rapidamente in caso di segnalazioni di positività nella struttura.

C’è bisogno davvero di raccontare quello che ne è seguito? Certo, sul jingle Universal mi è venuto spontaneo farmi trasportare e ho giocato d’ugola e percussioni quasi alle lacrime, ma per il resto è stato come tornare a casa, mi sono goduto una sala comoda e climatizzata, un film molto piacevole (su cui ha scritto la nostra Carola Proto). Non posso che aver avuto conferma dell’amore per il cinema, quello di mattoni e quello di emozioni. Non avevo troppi dubbi, credo neanche voi. A me è sembrata una cosa naturale e sicura. Speriamo che arrivino presto film nuovi, questo sì, ma non è così complicato, è come andare in bicicletta: non te lo scordi mai, in più non fa male alle terga. 

Ieri sera sono andato al cinema, e non vedo l’ora di tornarci.

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