Come cinque fa con Quartet, esordio alla regia di Dustin Hoffman, anche in questa 35° edizione al Torino Film Festival si parte con la terza età, con uno dei molti film recenti britannici che attingono al loro serbatoio di lusso di interpreti non più giovanissimi. Un film per un pubblico ampio e un’età non giovanissima, come quello che ha partecipato ieri a una cerimonia d’apertura in tono minore, derubricata dalla cornice nobile del Lingotto a quella casalinga della Mole.
Richard Loncraine è un artigiano del cinema mainstream d’oltremanica, abituato a lavorare ad adattamenti del bardo nazionale e con grandi attori. Se nel 2014 aveva accompagnato i ricordi nostalgici di Morgan Freeman e Diane Keaton in Ruth & Alex, nel film d'apertura qui a Torino, Ricomincio da me, ci racconta di Lady Sandra, interpretata da Imelda Staunton. che dopo decenni di matrimonio scopre proprio il giorno in cui il marito festeggia un’importante onorificenza, che festeggiava anche altro, da anni, con una loro cara amica. Occasione per scappare di corsa da quel contesto iper borghese e sistemarsi a casa della sorella (Celia Imrie), eccentrico spirito libero che la porta in una scuola di danza a rivedere le priorità della sua vita, cercando una bella dose d’energia. In quella balera conosce baldi non più giovani diversamente seducenti, come il solito irresistibile Timothy Spall, che la corteggerà fino ai balconi con vista di un elegante hotel di Roma.
“Ho 71 anni e sono fortunato a lavorare ancora alla mia età”, ha detto alla stampa il regista. “La maggior parte dei registi miei coetanei o sono star, come Ridley Scott, o non lavorano più. Non credo che potrei realizzare un film per i ragazzi, di quell’età ho ancora dei ricordi ma piuttosto annebbiati. All’età mia, che poi è quella dei personaggi del film, ti inizi a chiedere cosa fare con il tempo rimasto, cercando di cogliere le opportunità e aggrapparti all’ultimo capitolo della vita. Con il film cerco di dimostrare come parlando di anziani i soggetti non debbano essere per forza deprimenti e tristi, spero di esserci riuscito. La danza ha un ruolo importante, riunisce le persone, anche se, per i miei figli, ai vecchi, specie ai loro genitori, non dovrebbe essere permesso di ballare. Nel film entra anche la malattia, del resto è una delle cose schifose che fanno parte della vecchiaia. Non sono religioso, per cui vivo il futuro attraverso i miei figli.”
Figlio del successo di Marigold Hotel e del filone che ne sta seguendo, Ricomincio da me dimostra le doti di artigiano, non certo di grande autore, di Loncraine, mostrando ottime intenzioni, una bella dose di sincerità, ma purtroppo anche una mediocrità di fondo fatta di luoghi comuni e sceneggiatura artritica. Un feel good movie che non rende onore alla grande tradizione britannica e sarà nelle sale il prossimo anno, distribuito da Cinema.
In attesa della notte horror, che allieterà fra poche ore gli emofiliaci e gli amanti del genere, oggi è stato presentato il primo film di cui ci siamo innamorati. Gli alieni all’italiana battono non senza appello gli anziani ballerini inglesi, nel delizioso Tito e gli alieni di Paola Randi. Una storia molto semplice, ma di grande profondità e misura, utile a dimostrare una volta per tutte come per raccontare di una perdita il cinema può permettersi ben di più che il didascalico e il ricattatorio.
In un’epoca in cui guardiamo per terra, al massimo sullo schermo del telefonino, la Randi guarda in aria e arriva fino allo spazio, rendendolo uno sconfinato e laico luogo della memoria. Sorprendente e coraggioso, Tito e gli alieni regala qualcosa di molto diverso con cui avere a che fare, prima divertiti dall’eccentricità di luoghi e personaggi e poi sempre più commossi dalla ricerca del professore protagonista, un magnifico Valerio Mastandrea, di entrare in contatto con la moglie morta anni prima.
Il professore vive sperduto nel deserto fuori Las Vegas e conduce un esperimento che da anni lo porta in contatto con i militari della vicina Area 51. All’inizio del film gli giunge un messaggio del fratello, nel frattempo morto, che gli affida i suoi nipoti, per una volta nel cinema italiano recente due attori bambini convincenti, l’adolescente Chiara Stella Riccio e il piccolo Luca Esposito. Fra Spielberg e la tecnologia vintage malinconica di WALL-E, Paola Randi dimostra qualità non comuni, anche considerando quanto fosse diverso il suo primo film, Into Paradiso.
“Abbiamo girato in un piccolo villaggio del Nevada di poche decine di abitanti”, ha dichiarato Paola Randi, “tutti bizzarri e convinti che gli alieni aiutino i militari a sviluppare tecnologia dentro l’Area 51. Poi in Almeria, Spagna, dove c’è ancora il villaggio western costruito da Sergio Leone per girare i suoi film. Il robot Linda costruito dal protagonista, che ha il nome della moglie morta, è diventato un vero personaggio, con le rotelle che potevano farlo muovere, tanto che Valerio Mastandrea la porta in giro in una spettacolare scena di danza. Un oggetto tecnologico, ma anche un rottame speciale, un totem costruito in memoria della moglie, non riuscendo a mettersi in contatto con lei.”
Ci sarà modo di tornare sul film, che non ha ancora una distribuzione e ci auguriamo possa trovare presto qualcuno che creda in pieno nelle sue potenzialità.
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