Sui personaggi ambigui, seducenti e pericolosi, Kevin Spacey ha costruito la sua carriera. In I soliti sospetti, che gli portò il primo Oscar come non protagonista, quando aveva 35 anni, 4 anni prima quello come protagonista per American Beauty, la sua performance è esemplare: sfuggente, sempre ai margini, patetico e debole, ma dallo sguardo acuto e indecifrabile, rende alla perfezione un personaggio che in altre mani sarebbe risultato di sicuro meno credibile. A quel ruolo, che lo ha promosso a protagonista, ne sono seguiti molti altri, tutti memorabili, sia in film indipendenti che in blockbuster: L.A. Confidential, Mezzanotte nel giardino del bene e del male, K-Pax, i (mediocri) Superman con Brandon Routh dove però è stato un perfetto Lex Luthor e soprattutto la parte più mefistofelica della sua carriera, quella di Frank Underwood in House of Cards, per cui ha vinto il Golden Globe e da cui è stato frettolosamente espunto dopo la sua caduta in disgrazia. In Italia lo abbiamo visto l'ultima volta, poco prima dell'esplosione della bomba, nel 2017, quando a sorpresa è venuto a presentare Baby Driver. Il resto è storia: le denunce per molestie sessuali portate da molti uomini e le dichiarazioni dell'attore Anthony Rapp, nessuna delle quali (di quelle arrivate in tribunale) è per ora risultata in una condanna.
La damnatio memoriae di Kevin Spacey
Ma ormai era tardi: nell'ambiente si sapeva, o almeno si sospettava, che Spacey - da sempre schivo sulla sua vita privata - era gay ma non che fosse un predatore, anche se l'amicizia con Bryan Singer (assai più compromesso di lui e tuttora in circolazione) dava da pensare. Lo stesso Gabriel Byrne, suo compagno ne I soliti sospetti, ha raccontato nel dicembre del 2017 che sul set del film le riprese vennero interrotte per due giorni perché Spacey fece delle avances non gradite a un attore più giovane. Ribadendo la cosa, Kevin Pollak nel marzo 2018 sostenne che l'oggetto delle sue indesiderate attenzioni era il ragazzo di Bryan Singer. Perché è così che succede quando un segreto noto in un certo ambiente viene fuori: quelli che prima stavano zitti sono i primi a puntare il dito. Per tre anni direttore dell'Old Vic londinese, Kevin Spacey era stato anche arrestato, a Londra, qualche anno fa, per un episodio mai chiarito avvenuto in un parco. Fatto sta che, prima ancora di arrivare a processo e sull'onda dell'importante movimento #MeToo, Hollywood ha preso immedatamente le distanze dall'attore sottoponendolo a una vera e propria damnatio memoriae, risultata nella sua sostituzione a riprese ultimate da Tutti i soldi del mondo (caso mai avvenuto nella storia del cinema) e congelando i film che aveva già girato.
Leggi anche I soliti sospetti 25 anni dopo: chi sono e cosa fanno oggi i magnifici protagonisti del filmNei paesi anglosassoni è uscito da poco in digitale (con pessime critiche) Rebel in The Rye, dove è il mentore del futuro scrittore J.D. Salinger interpretato da Nicholas Hoult: il suo nome è stato tolto da tutti i manifesti del film. Durante questo lungo periodo Spacey è letteralmente scomparso e quasi nessuno gli ha dimostrato solidarietà, almeno professionale, con poche eccezioni. Una di questi è stato il regista Paul Schrader, sommerso di insulti e costretto dalla società di produzione A24 a cancellarsi da Facebook, almeno temporaneamente, per aver dichiarato nel novembre 2018 di averlo proposto come protagonista di un film che gli era stato offerto. Aveva scritto questo: “Credo che esistano crimini nella vita, ma non nell'arte. Spacey dovrebbe essere punito per qualsiasi crimine che la sua persona abbia commesso. Ma non per l'arte. Tutta l'arte è un crimine. Punirlo come artista serve solo a sminuire l'arte. Mettete in prigione Celine, metteteci Pound, punite Wilde e Bruce (Lenny, ndr) se dovete, ma non censurate la loro arte”. Parole sagge e condivisibili – del resto di acclamati artisti criminali la storia è piena: dovremmo forse censurare Caravaggio? – che in tempi di giustizia sommaria via social hanno scatenato un vero e proprio linciaggio verso chi le ha pronunciate.
Nel settembre 2018 anche la grande attrice Judy Dench – che aveva lavorato con lui in The Shipping News – si era espressa in suo favore: “Non posso approvare in alcun modo il fatto che, qualsiasi cosa abbia fatto, lo si cominci a togliere dai film" – aveva detto - Faremo quello che è successo quando è stato sostituito da Christopher Plummer? Lo faremo per sempre? Andremo indietro nel tempo e toglieremo tutti queli che si sono comportati male, hanno infranto la legge o hanno commesso qualche tipo di crimine? Li cancelleremo dalla nostra storia? Non so". E aveva ribadito: “Non so come stanno i fatti, tuttavia lui è, ed è sempre stato, un attore davvero meraviglioso". Dal canto suo. Spacey è rimasto in silenzio a lungo, prima di riapparire, una volta cadute buona parte delle accuse, con il video Let Me Be Frank, nel dicembre 2018, in cui riprendeva il personaggio di Frank Underwood e che sembrava alludere a una futura rentrée che stiamo ancora aspettando.
Kevin Spacey oggi
Agli inizi di maggio di quest'anno, in un podcast tedesco, Kevin Spacey ha dichiarato di comprendere il dramma di chi ha perso il lavoro per la pandemia perché la sua vita è cambiata all'improvviso, togliendogli nel giro di poche ore la professione e le relazioni. Ovviamente anche qua c'è stato chi ha gridato allo scandalo. Ma se qualcuno vuole che Spacey bruci per sempre nelle fiamme dell'inferno, moltissimi altri considerano il suo ostracismo penalizzante per il mondo dello spettacolo, che ha perso un grande interprete. È giusto che l'uomo venga condannato per i crimini che ha commesso, se giudicato colpevole, nelle giuste sedi, ma non lo è privarci delle emozioni che l'arte con cui si esprime ci ha sempre donato, finché resta un uomo libero.
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