Quando ho visto Assassinio sull'Orient Express, il primo dei film diretti e interpretati da Kenneth Branagh nei panni del leggendario Hercule Poirot, ho pensato quasi esclusivamente ai baffi di quel personaggio.
Ora: va bene che il cinema, prima di Branagh, ci aveva abituato male, tradendo in praticamente ogni adattamento le indicazioni date da Agatha Christie sui baffi di Poirot, più volte descritti come "giganteschi", "immensi" e "straordinari", e che proprio in quel romanzo lì, in "Assassinio sull'Orient Express", parla di Poirot come di "un piccolo uomo con degli enormi baffi", ma io baffi come quelli lì non li avevo mai visti. Grandi, enormi, certo, ma strani, stranissimi, tanto che in molte scene, quando Poirot è visto di profilo, pare che parte di quei baffi, la parte che crea una seconda punta arricciata, cresca, o sia disegnata, sulla guancia.
Immaginerete quindi la mia sorpresa quando, in un prologo in bianco e nero ambientato all'epoca della Grande Guerra, in Assassinio sul Nilo si racconta la origin story, per dirla in gergo contemporaneo, di quei baffi. E, assieme alla genesi dei baffi, si parla di Katherine, l'unica donna mai amata da Poirot, alla quale si fa un sottile riferimento anche nel film precedente.
Il perché di questo prologo è piuttosto chiaro, o comunque lo diventa man mano che il film procede.
E se la questione dei baffi - che in Assassinio sul Nilo variano rispetto all'Orient Express, che sono meno enormi, ma più arditi, con una doppia arricciatura ben evidente da ogni lato - può sembrare solo una curiosità (salvo poi assumere una valenza nuova nel finale), è chiaro che l'enfasi sul rapporto di Poirot con Katherine sta lì per annunciare allo spettatore che tutto il film che sta per vedere si basa più sui sentimenti che non su una tradizionale vicenda gialla.
Intendiamoci: il giallo c'è eccome. C'è l'assassinio (più assassinii) e ci sono gli assassini, e Poirot fa funzionare le sue piccole cellule grigie e tutto il resto, e smaschera tutto e tutti. Però. Però, se tutto sommato il precedente Assassinio sull'Orient Express si era tenuto mediamente fedele al testo della Christie, qui Branagh e il suo sceneggiatore (che è, ancora una volta, Michael Green), tradiscono molto di più, quasi arrivando a snaturare.
Non solo perché inflano anche in questa storia Bouc, l'amico di Poirot interpretato da Tom Bateman, ma anche perché, continuando a giocare anche con le etnie e i colori della pelle, come nel film precedente, modificano molti tratti dei personaggi, rendendo alla fine della fiera questo Assassinio sul Nilo un film sulla potenza e il tormento dell'amore.
Che poi, a ben vedere, il tradimento alla fine è tutto relativo.
Per quanto la Christie sia famosa per le sue trame, c'è anche da dire che le sue sono trame che spesso e volentieri tradiscono sfacciatamente le regole del giallo, barando un po' con il lettore, e quello che rende così amati i suoi romanzi è proprio la grande attenzione all'elemento umano, ai sentimenti dei personaggi, alla voglia della scrittrice di svelare le ipocrisie della upper class britannica, perfino la passionalità che si nascondeva dietro l'impeccabile understatement. E Poirot, l'ossessivo, analitico, razionale Poirot, è sempre stato un attento osservatore della natura umana e dei sentimenti, la cui comprensione è sempre stato l'elemento chiave per risolvere i suoi casi, ben più dei veri e propri indizi o delle prove. Che, come in questo caso, sono virtualmente inesistenti.
Allora, forse, con tutti i suoi tradimenti del testo, con le variazioni sui personaggi, con gli eccessi di CGI e quel po' di ansia di troppo di rendere esteticamente e narrativamente moderni e contemporanei i racconti della Christie, a ben vedere l'ossessione di Assassinio sul Nilo per i sentimenti ha qualcosa di filologico. Non dico di commovente, no, sarebbe troppo: ma perlomeno di coinvolgente. E, perfino, un pizzico sorprendente, considerando la scena finale del film, e dove e come e da chi Branagh porta Poirot. Poirot e i suoi baffi.
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