lunedì 22 giugno 2020

Si muore solo da vivi

Fin dalle primissime sequenze Si muore solo da vivi (uscito da un paio di giorni direttamente su Sky On Demand) dichiara la sua appartenenza a un “genere” importante del cinema italiano, il corposo complesso dei film padani, dei film sul Po.

La prima inquadratura alla luce dell'alba celebra il sinuoso andamento del fiume, le prime parole affidate a Ugo Pagliai, mitico capitano/nocchiero della “Stradivari” (per qualche secondo abbiamo pensato che fosse una pubblicità televisiva, una variante di Capitan Findus), ne esaltano la natura sfuggente, conferendo al fiume un evidente statuto allegorico, seppur non originalissimo. Fiume=vita. A questa isotopia il film tornerà reiteratamente ma possiamo fin d'ora dire che, nonostante tutta la buona volontà, questa dimensione, allegorica appunto, non risulta saldata al racconto principale, malgrado tutti gli apprezzabili sforzi del regista Alberto Rizzi (si tratta di un'opera prima) e soprattutto degli sceneggiatori, Rizzo stesso e Marco Pettenello, sforzi che troviamo anche a proposito dell'evento, anzi dell'Evento che fin dall'inizio sconvolge la vita di alcuni dei personaggi che impareremo a conoscere, ovvero il terremoto, che è sì – stante l'ambientazione emiliano-romagnola del film – quello del 2012, ma che nel modo stesso in cui viene descritto lo si vuol fare apparire come un evento quasi mitico e astratto.
A causa del terremoto muoiono, in un colpo solo, il fratello e la cognata del protagonista Orlando (Alessandro Roia) che lasciano allo zio e ai nonni la figlia Angelica (entrambi lavoravano in una fabbrica di Parmigiano Reggiano, sponsor del film). Orlando, Angelica…viene in mente nulla? Ecco un'altra, a nostro avviso non necessaria, dimensione allegorica. Il terremoto danneggia anche la casa post-hippie sul fiume in cui si era ritirato Orlando, tanto che l'uomo, più vicino ai quaranta che ai trenta, torna a vivere a casa dei genitori, fortemente preoccupati del destino del bamboccione (e chi non lo sarebbe?).
Poiché Orlando di fatto è uno di quei sognatori sfaccendati che costituiscono parte integrante dell'humus padano, una caratteristica ontologica accentuatasi all'indomani del terremoto ma anche della fine del rapporto con Chiara (Alessandra Mastronardi) che si è messa con un altro, un chirurgo ben più benestante e ben più quadrato rispetto al protagonista. E Orlando che reca nel corpo la traccia e la ferita di quell'amore (il nome di Chiara tatuato su un fianco), si barcamena fra lavoretti facendo ogni volta di tutto per esser cacciato. Fin quando tramite un espediente non esattamente credibile apprendiamo che Orlando in passato era il frontman di una band, i Cuore Aperto.

Ecco che allora, non tanto per passione o nostalgia ma giusto "faute de mieux", il film entra in modalità Blues Brothers. Orlando va a recuperare gli altri quattro membri del gruppo e facendo fronte a non poche esitazioni da parte loro (fra i quali spiccano Neri Marcorè al basso e Francesco Pannofino alle tastiere) la band si ricompone, anche grazie al sostegno della loro manager di una volta, interpretata niente meno che da Amanda Lear. E i Cuore Aperto - con un repertorio di cover (Arriva la bomba, cavallo di battaglia di Johnny Dorelli in arte "Dorellik") e di canzoni originali, scritte per la bisogna da Stefano Brandoni e Diego Mancino – ritornano in auge, fra balere e comparsate a matrimoni.
Non sarà difficile immaginare al matrimonio di chi un giorno dovranno comparire, impossibile rinunciarvi perché il pagamento è di quelli che fanno davvero gola. Diciamo solo che se vi vengono in mente Benjamin (detto Ben) Braddock e Elaine Robinson non siete totalmente fuori strada.
Insomma: tanta carne al fuoco, tanti riferimenti intertestuali, tante immagini padane belle patinate, comprensive di personaggi strani che di volta in volta potremmo definire felliniani, bertolucciani, olmiani etc, ma il film, malgrado tutto, procede con una certa stanchezza e i dialoghi spesso zoppicano.

(Si muore solo da vivi); Regia: Alberto Rizzi; sceneggiatura: Alberto Rizzi, Marco Pettenello; fotografia: Massimo Moschin; montaggio: Davide Vizzini; interpreti: Alessandro Roia (Orlando), Alessandra Mastronardi (Chiara), Neri Marcorè (Ivan), Francesco Pannofino (Fredo), Annalisa Bertolotti (Angelica), Ugo Pagliai (capitano), Amanda Lear (Giusi Granaglia); produzione: K+; distribuzione: Fandango; origine: Italia 2019; durata: 95'



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