martedì 18 dicembre 2018

Il testimone invisibile

Siamo tutti concordi, crediamo, nel dire che di thriller in Italia se ne producono davvero pochi, un genere anche a livello internazionale in leggera remissione. Remake di un film spagnolo uscito all'inizio del 2017, intitolato Contratiempo, e prodotto senza badare a spese dalla sede italiana della Warner Bros, Il testimone invisibile costituisce una benvenuta eccezione per la sua capacità di soddisfare tutte le convenzioni del genere: ritmo incalzante, buona (seppur qua e là un po' troppo arzigogolata) scrittura e una significativa serie di colpi di scena. Il regista è Stefano Mordini (1968), al suo quarto lungometraggio dopo Provincia meccanica, Acciaio e Pericle il Nero. Mordini è insieme a Massimiliano Catoni autore della sceneggiatura, anche se, per valutare appieno la capacità di scrittura e l'originalità, bisognerebbe confrontare il film con il suo omologo spagnolo che non abbiamo avuto occasione di vedere. Il film sembra mettere in gioco tutto fin dall'inizio: in un arco di tempo di poco superiore a quello della durata del film, Adriano Doria, imprenditore di successo, interpretato da Riccardo Scamarcio (in un ruolo, sul piano professionale, non molto differente da quello che interpretava in Euforia) deve raccontare tutto quel che è accaduto al cospetto di un'avvocatessa celeberrima (interpretata da Maria Paiata), incaricata dal legale di Doria (evidentemente sopraffatto dall'arduità del compito) di inventarsi una strategia difensiva tale da convincere il procuratore che, contrariamente alle evidenze, l'imprenditore non è colpevole dell'omicidio dell'amante, pur essendo, almeno all'inizio, l'unico plausibile indiziato (un classico del genere thriller, peraltro). Con un continuo passaggio dalla cornice (la casa di Doria, costretto agli arresti domiciliari) alla visualizzazione talora eccessivamente spettacolarizzata di ciò che lui racconta, il film ricorre a un espediente che si potrebbe definire tarantiniano, vale a dire la rinarrazione, ma non come in Tarantino al fine di affiancare diversi e pur non necessariamente contraddittori punti di vista ma per raccontare invece tutta una serie di opzioni alternative, secondo un principio narrativo che di fatto induce lo spettatore a riposizionarsi continuamente, a rimettere in discussione certezze che aveva dato per acclarate, talvolta con una quantità di informazioni correlate oggettivamente difficili da elaborare in tempi brevi. Forse si eccede in qualche passaggio, qualche dettaglio - in un film in cui la co-protagonista ha un'autentica ossessione per i dettagli – e soprattutto in qualche casualità di troppo, che fa sorgere più di un dubbio sulla plausibilità del realismo di fondo ma il film è molto avvincente e tiene inchiodati alla poltrona, soprattutto se si ha la lucidità di seguire tutti i molti e contraddittori snodi. Che cosa si può raccontare di questo film senza rivelare nulla? Che la Trentino Film Commission ha investito molti soldi perché buona parte del film, la più drammatica, si svolge nei pressi di Molveno, fra boschi, laghi e cervi. Che proprio lì abita il personaggio interpretato da Fabrizio Bentivoglio, che nel film è il più bravo di tutti anche se l'accento non è trentino ma veneto, mentre Scamarcio è meno convincente che in Euforia. Che il film è anche un apologo sul capitalismo selvaggio, sulla virtualizzazione, sul concetto di colpa. Che il film possiede con certezza un metalivello: sembra di essere condotti per mano dentro l'officina degli sceneggiatori, colti nell'atto di ideare il plot e vagliare le varie opzioni, le varie biforcazioni aperte davanti a loro. Disturba una colonna sonora un po' troppo invasiva.

(Il testimone invisibile); Regia: Stefano Mordini sceneggiatura: Stefano Mordini, Massimiliano Catoni; fotografia: Luigi Martinucci; montaggio: Massimo Fiocchi; interpreti: Riccardo Scamarcio (Adriano Doria), Miriam Leone (Laura), Maria Paiata (Virginia Ferrara), Fabrizio Bentivoglio (Tommaso Garri), ; produzione: Warner Bros, Picomedia, origine: Italia 2018; durata: 102'.



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