lunedì 31 dicembre 2018

Aquaman

Tocca ahimè registrare con questo Aquaman forse il risultato più basso e scadente raggiunto da una DC che pure ci ha regalato, in tempi recenti, insieme a opere discutibili, ma mai a livelli così infimi, come Suicide Squad, titoli solidi e poderosi come Batman vs Superman, e soprattutto Wonder Woman. Si ha fin da subito la sgradita sensazione di una indecisione sul target, perché qualità dei dialoghi, delle riprese action e del ‘look' generale del film, così come si può dedurre dalla primissima sequenza di combattimento a una manciata di minuti dall'incipit, rimandano ad un pubblico basico la cui età potrebbe aggirarsi intorno agli otto/dieci anni. Per loro, a meno che non sei la Disney, tendi a risparmiare le forze e a confezionare un blockbuster non proprio inappuntabile, potendo contare sul gusto globalizzato delle giovani generazioni orientato verso l'estetica dei videogiochi più che dei classici della storia del cinema. Ma anche da questa prospettiva, sembra che alla DC non abbiano scaricato i più recenti aggiornamenti, perché anche l'universo dei videogiochi ha oggi ormai raggiunto spessori e finezze distanti anni luce dalla paccottiglia sparsa a piene mani sullo schermo per due interminabili ore e venti minuti di proiezione. Il cattivo gusto impera, anzi esonda, visto il tema marittimo, sopra e sotto la superficie del film in un variato tripudio di fantasie marine inammissibili non tanto dopo La Sirenetta Disney, ma almeno dopo il Nemo della Pixar. Armature guerriere, cavalcature, tute e calzemaglie squamate, elmi, tridenti e altri accessori, architetture e ambienti atlantidei ispirati indistintamente ad uno stile misto di greco-romanità e antico Egitto, decisamente pacchiani più che sfarzosi e seduttivi, abbinati a scene di azione di pachidermica grevità nonché inusuale assenza di immaginazione, sono il pretesto di una sceneggiatura che sputa le sue frasette ad effetto pronunciate (ma forse è colpa della versione doppiata) con parodistica intonazione dal merluzzone tatuato Jason Momoa, e da tutto l'acquario del cast che gli sguazza intorno, compresi due grossi pesci fuor d'acqua, tanto è il disagio che trasmettono nell'aver partecipato a questo nauseabondo grand plateau de fruits de mer, come Nicole Kidman, digitalmente infarinata e impanata finché si vuole ma sempre una gran bella spigola, e Willem Dafoe, intrichechito e col capello tirato all'indietro, più somigliante alla Maggie Smith di Downton Abbey che a Pier Paolo Pesciolini; c'è pure quel congelato sogliolone di Dolph Lundgren, quasi irriconoscibile nel ruolo del nettunense anziano Re Nereus. Dove forse almeno noi italiani vacanzieri dei mari del (nostro) Sud ci saremmo potuti divertire è in una baraonda con inseguimenti e scazzottate girata in Sicilia, vicino ad Erice, dove a colpi di fiocina e di pinna viene semidistrutto un finto paesino mediterraneo col campanile barocco, il suo bel parchetto archeologico di cartapesta, i balconcini e le insegne dei bar in maiolica, ma appena qualche brutto cefalo squamato di verde fluo sfonda il soffitto dell'appartamento di una vecchina sicula ed incredula, l'occhio ci casca su paesaggi dolomitici e dipinti di Guercino appesi alle pareti: ecco che l'eventuale magia crolla e a cascatelle rifluisce nel gorgo dello sciocchezzaio di un film tutto da dimenticare. Stesso genere di macchiettismo riaffiora in superficie perfino nella sequenza aggiuntiva a metà dei titoli di coda: un invito chiaro e diretto a cambiare menù, rinunciare risolutamente alla cena di pesce e optare per una bella fiorentina al sangue.

(Aquaman); Regia: James Wan; sceneggiatura: David Leslie Johnson McGoldrick, Will Beall; fotografia: Don Burgess; montaggio: Kirk Morri; musica: Rupert Gregson-Williams; interpreti: Jason Momoa, Amber Heard, Willem Dafoe, Patrick Wilson, Dolph Lundgren, Nicole Kidman; produzione: Peter Safran; distribuzione: Warner Bros. Pictures; origine: USA, 2018; durata: 143'



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