domenica 23 febbraio 2020

Le sel des larmes: recensione della malinconica commedia amorosa di Philippe Garrel in concorso al Festival di Berlino 2020


Una giostra sentimentale più malinconica di altre volte per il maestro delle relazioni del cinema francese.

L’educazione sentimentale può portare anche in dote il sapore salato delle lacrime, oltre a quello gioioso dell’amore e dei suoi sapori. Il più giovanile, nonostante la carta d’identità, cantore francese dell’amore in divenire, Philippe Garrel, regala un nuovo capitolo delle sue educazioni sentimentali, storie di formazione all’amore, passando per tutta una serie di possibili ostacoli o splendidi riti di passaggio. Negli ultimi anni ci ha dimostrato come sia questa la sirezione intrapresa dal suo cinema, con piccoli e riusciti ritratti come La gelosia o L’amant d’un jour. Torna con un bianco e nero illuminato da Renato Berta, sempre in cerca di talenti giovani, già visti in passato, come la Louise Chevillotte scoperta ancora studentessa di recitazione in L’amant du jour, o la Oulaya Amamra di Divines; ma anche una novità, come il protagonista Luc, Logann Antuofermo.

Garrel porta avanti la sua indagine sulle relazioni amorose avendo sempre bene in mente di stupire lo spettatore alla fine di ogni sequenza, una stella polare per il suo sceneggiatore Jean-Claude Carrière, che non smette di ricordare anche al figlio di Philippe, Louis, con cui ha collaborato nei suoi film da regista. Ci sono mille variazioni che Garrel combina nel cercare di cucire addosso ai suoi attori e all’attenzione per un momento specifico della relazione di coppia o dell’età degli interessati. In Le sel de larmes parliamo del primo amore, che presto lascia spazio alle prime conquiste, alla consapevolezza di Luc di avere facilità nel sedurre le donne, senza però che questi primi rapporti gli diano particolari soddisfazioni, o gli facciano veramente perdere la testa e capire cosa veramente voglia dire innamorarsi.

Normali fasi di studio alla vita di coppia che Luc inizia nella sua piccola realtà di provincia, dove vive e lavora insieme al padre, artigiano del legno. I due hanno un rapporto intimo e confidenziale, soprattutto dopo la morte della madre qualche anno prima. Gli amorosi sensi, le prime passioni intense, lo porteranno proprio ad allentare, in maniera naturale, il rapporto con il padre, a tenersi per sé le prime confidenze, cercando al di fuori di casa i segreti condivisi con amici e amanti. Insomma, il primo grossolano insediamento di quello che poi sarà il suo nido, il nucleo della sua famiglia da adulto. Non mancano naturalmente gli esperimenti, i triangoli più o meno accettati o benvoluti, una delle dinamiche classiche del cinema francese e dello stesso Garrel. Una coppia che aumenta di un’unità, per avere qualcosa in più o per godersi anni orientati all’oggi e subito, al piacere spensierato, senza proiezioni sul futuro. Senza neanche troppo pensare alle responsabilità e ai rischi di paternità non volute.

Le sel de larmes conferma una fase recente ancora più intima del cinema di Garrel, concentrata sul fluire naturale e quasi accidentale delle sorti dei suoi personaggi, asciutta, senza scene madri, con un bianco e nero che aumenta la sensazione minimalista di questi ritratti. Non troviamo i sontuosi appartamenti haussmaniani di molto cinema francese, ma le camere della servitù nei sottotetti riadattati a minuscoli studio per studenti squattrinati, magari col bagno nel corridoio. Spesso gli interpreti li trova nei suoi corsi di recitazione, generando l’idea di un laboratorio permanente sulle amorose variazioni che appassiona proprio per l’eterna attualità del soggetto che affronta.

Questa volta c’è meno spensieratezza, non ci si addolora solo per dinamiche tutto sommato innocue come la gelosia o il rimpianto, ma per il rapporto con la generazione che ci ha messo al mondo e quella che potremmo mettere al mondo noi, raccontando anche di vie senza ritorno, oltre che di sperimentazioni più o meno giocose. Raccontando anche, insomma, delle lacrime salate, non solo di quelle dolci.



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