Da anni ormai l'interculturalità gioco un ruolo decisivo nel cinema tedesco, o quanto meno di produzione tedesca. Ne costituisce un esempio certamente originale la trentaseienne regista di origine mongola Uisenma Borchu, che presenta nella sezione Panorama del Festival di Berlino il suo secondo film intitolato Schwarze Milch, ovvero Latte nero, dopo essersi fatta conoscere con il suo film d'esordio Schau mich nicht so an (Non guardarmi così) che ha ricevuto diversi premi cinque anni fa. Insieme ai genitori la regista, nel 1988, all'età di quattro anni lasciò la Mongolia per trasferirsi in DDR, dopodiché, caduto il muro, si trasferì prima a Magonza per studiare all'università e poi a Monaco per frequentare una delle più celebri scuole di cinema del paese, figurando anche come attrice principale dei due film da lei diretti.
Qui interpreta una donna trentenne che vive in Germania ed è legata, seppur non proprio felicemente, a un uomo tedesco (un brevissimo cameo interpretato da uno degli attori tedeschi in questo momento più "en vogue", ovvero Franz Rogowski), ma che si sente irrimediabilmente, come una calamita, attratta dalla propria terra, dall'idea di rivedere la propria sorella, tanto da mollare tutto e salvo una brevissima sosta tecnica a Ulan Bator (aeroporto Gengis Khan) muovere alla volta della steppa dove la sorella continua a vivere la propria vita da nomade (giova ricordare che in Mongolia un terzo degli abitanti, un milione circa, vive da nomade) nella iurta di famiglia (anche se il marito è spesso assente, finendo per esporre moglie e da un certo punto in poi cognata ai pericoli della steppa, terra di conquista di soggetti non esattamente raccomandabili).
Le due sorelle, che rispondono ai curiosissimi nomi di Wessi e Ossi (i due appellativi decisamente spregiativi con cui, rispettivamente, i tedeschi orientali chiamavano e chiamano gli occidentali e i tedeschi occidentali i loro cugini orientali, dalla Riunificazione in avanti), provano a ritrovare una dimestichezza l'una con l'altra, ma è soprattutto Wessi che deve (ri)-abituarsi a quella vita che chissà da quanto tempo, lei donna emancipata e, appunto, occidentalizzata, non pratica più, sempre che – non lo sappiamo – l'abbia mai praticata. Da un lato Wessi è clamorosamente affascinata dal paesaggio estremo, dai colori pazzeschi, dalla luce e dagli odori, che attengono alla sfera istintuale, è disposta a (re)-imparare tutta una serie di operazioni quotidiane a partire dalla mungitura di giumente, pecore e capre, dall'altro invece fa una gran fatica ad accettare il fatto che praticare la vita di nomade vuol dire sottostare tutta una serie di riti, di attribuzioni di ruoli e di genere, e la sua refrattarietà finisce per irritare un po' tutte le persone che gravitano intorno alla iurta di Ossi: il patrigno, il marito, i vicini; persino Terbish (un vicino scapolo e più anziano, un personaggio che tutti considerano un solitario un po' troppo originale) su cui Wessi ha osato mettere gli occhi addosso, a un certo punto scappa da una donna tanto attraente ma così poco capace di stare al proprio posto. L'arrivo di Wessi nella steppa finisce così per esser visto come una maledizione, episodi di ogni giorno come l'assalto dei lupi di cui restano vittima le pecore, vengono magicamente e animisticamente ricondotti alle infrazioni dell'estranea, ciò che induce gli indigeni a un pellegrinaggio alla montagna per ottenere il perdono alla divinità fra lo sgomento di Wessi.
Malgrado l'abbraccio finale fra le due sorelle e la corrente d'affetto, la re-integrazione, al di là di tutto, non sembra riuscita, né, verosimilmente, mai potrà esserlo. Il film, come si può immaginare, vive molto della bellezza dei paesaggi primordiali, la storia è forse un po' tenue. Curiosa la precisazione nei titoli di coda: «l'uccisione degli animali è stata ripresa in modo documentario».
(Schwarze Milch); Regia: Uisenma Borchu; sceneggiatura: Uisenma Borchu fotografia: Sven Zellner; montaggio: Uisenma Borchu Christine Schön; interpreti: Uisenma Borchu (Wessi), Gunsmaa Tsogszal (Ossi ), Terbish Demberel (Terbish), Franz Rogowski (Franz); produzione:Sven Zellner und Uisenma Borchu Film, Holzkirchen origine:Germania 2020; durata: 91'
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