Lupin III The First celebra il personaggio, lo reinventa in CGI e diverte, ma siamo ancora in rodaggio.
Lupin III vede a portata di mano il mitico “diario di Bresson”, che conterrebbe indicazioni per un tesoro su cui suo nonno (Arsenio Lupin I) non è mai riuscito a mettere le mani. Tra lui e l'obiettivo c'è però una misteriosa organizzazione gestita da un algido Geralt, con l'aiuto di un infido anziano studioso, Lambert. La chiave potrebbe essere Laetitia, la nipote di quest'ultimo, appassionata di archeologia.
Lupin III The First di Takashi Yamazaki è uno di quei film che suscitano incauti giudizi preventivi sin dalla sua presentazione. Il motivo è presto detto: dopo quasi cinquant'anni di anime disegnati rigorosamente a mano, il mitico Lupin, bastione delle infanzie dei quarantenni italiani, vive sullo schermo per la prima volta in CGI. Da appassionati di animazione, abbiamo vissuto con una certa malinconia la cieca migrazione disneyana alla computer grafica, quindi capiamo se a maggior ragione gli appassionati di manga e anime invocano l'intervento di un esorcista dell'omologazione. Ci tranquillizzano però alcuni elementi. La mole di produzione legata al personaggio del compianto Monkey Punch è tale che, in futuro, difficilmente si potranno dedicare a ogni avventura quattro anni di lavorazione con relativo alto budget, come è avvenuto in questo caso. Se non altro per ragioni pratiche, immaginiamo che Lupin sopravviverà anche nella sua versione disegnata a mano. Yamazaki ha tenuto al battesimo della CGI un altro bastione dell'anime in Doraemon - Il film (2015) e ciò non ha pregiudicato la produzione di film e speciali in 2D negli anni seguenti. Lo stesso Monkey Punch, scomparso lo scorso aprile, aveva peraltro espresso il desiderio di vedere Lupin in 3D, affidandosi del tutto a Yamazaki in preproduzione.
Al di là del contesto produttivo, soprattutto la resa finale non è tirata via. Lo sforzo profuso nel mantenere il “quid” grafico della banda anche nei modelli 3D si vede: Lupin, Jigen, Goemon e Zenigata mantengono la loro caratterizzazione. Lupin in particolare è stato oggetto di un gran lavoro, nelle espressioni e nei movimenti che tutti ricordiamo, ora elastici e dinamici, ora sgangherati e slapstick. Ciò che manca piuttosto è quell'ultimo livello finale di rifinitura al quale ci ha abituato troppo bene la Pixar: specialmente nei personaggi secondari si avverte un certo residuo di rigidità, tipico anche delle migliori produzioni europee in CGI. Fortunatamente le simulazioni fisiche, gli effetti visivi e la cura della fotografia compensano in parte questa lieve immaturità: nel peggiore dei casi, sembra di assistere alle migliori sequenze non interattive della Squaresoft per i Final Fantasy. Le sequenze d'azione, rischiamo la blasfemia, guadagnano parecchio dalla libertà d'inquadratura del 3D.
Certi che si possa migliorare ancora sul piano tecnico ma che le basi ci siano, possiamo liberarci della tecnica e guardare alla sostanza. Il copione dello stesso Yamazaki riporta Lupin III agli anni Sessanta, quando il personaggio è nato (1967), e imbastisce una corsa in giro per il mondo: il regista cita come ispirazione 007, ma dubitiamo che uno spettatore più scafato non noti l'enorme debito con Indiana Jones e l'ultima crociata. Personaggi che dedicano tutta la propria vita a un sogno archeologico, un diario con le informazioni per superare “tre prove”, i villain nazisti: difficile non ripensare a Harrison Ford e Sean Connery, ma d'altronde è evidente l'idea di rendere Lupin III più internazionale e meno squisitamente anime, più “hollywoodiano”, per capirci. Sarà per l'evento che il film vuole rappresentare, sarà per il look di Lupin modellato su quello del primo allucinato lungo La pietra della saggezza (1978), viene spontaneo paragonare questa narrazione così lineare, “classica” e irreggimentata ai deliri spiazzanti del primo Lupin animato, alle trame sciolte dove la tenuta dell'insieme contava meno degli sprazzi visionari. Questo è un Lupin più d'esportazione, così come è (relativamente) più casta la sua Fujiko.
C'è un risvolto positivo in questa identità ibrida dello spettacolo, tra anime e gusto hollywoodiano occidentale: anche grazie allo stesso uso della CGI, Yamazaki si concede respiri che ricordano il cinema dal vero, come nel lungo dialogo iniziale tra Lupin e Laetitia in casa di quest'ultima a Parigi (dove manca persino la musica e c'è un uso curioso del silenzio). La caratterizzazione del protagonista pende più sul romantico che sul demenziale, e lo spirito d'avventura ha la meglio sulle gag e le follie. In fin dei conti, Lupin è stato anche questo.
Se siete tolleranti, vivrete questo Lupin III The First come un esperimento di rilettura di un mito, passibile di miglioramenti e almeno interessante per il fan meno oltranzista. Con oltre cinquant'anni sul groppone, un personaggio così iconico può sopportarne l'impatto e cavarsela con scioltezza. Sul filo del rasoio, come sa fare solo Lupin.
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