Un consiglio di Close-Up per una lettura critica e introspettiva di uno dei massimi critici del Novecento, Pietro Citati.
“Il libro invisibile di Pietro Citati – Racconto di un'analisi”, scritto dalla giornalista Chiara Fera (Rubbettino editore, pag 104, euro 14), è la prima opera sul noto critico letterario che si muove nel groviglio in cui s'incontrano giornalismo e letteratura. C'è una parte dedicata alla letteratura fra Otto e Novecento con puntate su quella contemporanea, ma soprattutto nel saggio assume un ruolo di primo piano il giornalismo culturale. Se è pur vero che il critico letterario che da oltre cinquant'anni scrive sulle pagine culturali del Corriere della Sera e de la Repubblica un libro su Fëdor Dostoevskij non l'ha mai scritto - visto che nella sua sterminata bibliografia, corredata da intense monografie letterarie (Goethe, Manzoni, Mansfield, Tolstoj, Kafka, Proust, Fitzgerald, Cervantes, Leopardi), un libro sull'autore di “Delitto e castigo”non c'è - è anche vero che quella monografia esiste. A Chiara Fera, giornalista laureata in Lettere moderne presso l'Università degli Studi di Milano, che per scrivere il suo libro è andata più volte a incontrarlo nella sua casa romana al quartiere Parioli, Citati ha detto: «Non ho mai osato scriverlo, è troppo difficile». Invece, quel libro su Dostoevskij c'è. Sebbene “invisibile”, quel libro è stato scritto. E scritto per lettori comuni, vincendo la sfida contro l'anacronistico elitarismo di parte della critica accademica. Chiara Fera l'ha scovato fra i numerosi articoli dedicati a Dostoevskij da Citati nell'arco di una lunga carriera che mai l'ha visto rinunciare alla sua libera voracità eclettica a dispetto d'ogni settarismo accademico. In quegli articoli s'è acquattata l'inedita monografia e il tormentato parallelo tra Dostoevskij e i personaggi dei suoi romanzi, che l'autrice propone ai lettori con una scrittura agevole e avvincente. Ma c'è molto altro nel saggio portato a compimento dopo diversi colloqui con il critico letterario e un certosino lavoro di scavo negli archivi dei due grandi quotidiani. Una minuziosa disamina di tutta la produzione giornalistica di Pietro Citati, a partire dalla quale l'autrice ricostruisce un'interessantissima storia della letteratura in cui compaiono gli amici intellettuali (fra tutti spicca il forte legame umano e professionale con Carlo Emilio Gadda) insieme ai maestri della narrazione mondiale otto-novecentesca e agli stravolgimenti lirici che infervorano la modernità, senza eludere le penne mediocri che rabbuiano la letteratura dei nostri giorni. Ne viene fuori un ritratto intellettuale ibrido e sorprendente: giornalista, critico letterario e, straordinariamente, scrittore dal vigoroso piglio narrativo. Trasformazione necessaria, spiega Citati all'autrice del saggio, per poter essere un critico letterario degno di questo nome («Quello che io faccio è il racconto di un'analisi. Credo che la critica si faccia sempre così: non a caso, i critici che amo maggiormente sono Proust e Flaubert, ovvero scrittori che parlano di scrittori»).
Nel suo saggio, Chiara Fera sottolinea così l'importanza innegabile dei quotidiani: il fatto stesso che un giornalista - critico - scrittore del talento di Citati abbia utilizzato i quotidiani per scrivere un libro sul più ossessionante e ossessionato degli scrittori è la prova che la carta stampata ha tuttora spalle forti per reggere l'urto di una modernità schiacciata sul presente che briga per trasformare l'homo sapiens in un innocuo e svuotato homo videns.
Si coglie in filigrana, infine, nel saggio di Chiara Fera, un grumo di emozioni originato dall'esperienza esaltante per una giovane giornalista che bussa alla porta apparentemente sbarrata di un celebre e maestoso scrittore, che vive in disparte, staccato dal clamore dell'attualità e da ogni forma di mondanità. Chiara Fera questa esperienza la racconta così: «Comincia tutto da una delusione. Poche parole al telefono, per accettare la mia richiesta d'incontro. Quasi come dire: “Venga pure, ma non le prometto nulla”. Mi ha freddata. Poi, però, sono andata e tornata più volte. Citati non è loquace, ma quando parla gli si fa silenzio intorno. In un tempo di spreco di frasi ed espressioni, distilla con suprema parsimonia le parole. Per me che l'ho sempre letto, chiosato e riletto come un fulgido esempio di critica letteraria e di narrazione folgorante, il cui vigore di prosa è rinvenibile anzitutto nella sua capacità di arpionare le vite di tanti giganti della letteratura con originali tratti artistici, incontrarlo è stata un'impareggiabile lezione culturale: Tolstoj, Kafka, Proust divengono Tolstoj, Kafka e Proust più lo sguardo ammaliato e ammaliante di Citati che li racconta, li scarnifica e li riempie come nessuno saprebbe fare meglio. Questo libro è il tributo a un uomo che contiene in sé sconfinati mondi narrativi».
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