sabato 15 febbraio 2020

Delitto perfetto: Michael Douglas e Alfred Hitchock a confronto


Il remake del Delitto Perfetto di Alfred Hitchcock, con Michael Douglas, Gwyneth Paltrow e Viggo Mortensen, affrontava una sfida intrigante.

Delitto perfetto (1998) con Michael Douglas, Gwyneth Paltrow e Viggo Mortensen è il remake del Delitto perfetto (1954) di Alfred Hitchcock con Ray Milland, Grace Kelly e Robert Cummings. Rifare questo lungometraggio era un'impresa più complessa di quello che si possa pensare, non soltanto per l'ovvio rispetto religioso verso un'opera acclamata di un maestro del cinema. Un remake come questo comporta una problematica piuttosto pratica, concreta, al di là della "lesa maestà": trovandosi di fronte a un racconto molto noto che fa della suspense la chiave del coinvolgimento, un remake non partirebbe già "spoilerato"? In questo articolo vi mostriamo brevemente come gli autori del remake abbiano brillantemente risolto il problema.
Per paragonare i due lungometraggi, purtroppo, dobbiamo noi stessi incorrere per forza in spoiler. Nel caso vi manchi la visione di queste due divertenti esperienze, a malincuore vi consigliamo di salutarci qui.

Delitto perfetto, la premessa nel film originale e nel remake

Il film originale di Hitchcock, scritto dal commediografo Frederick Knott basandosi su una sua piece, ruota intorno a un piano perfetto che si rivela più fallace del previsto: Tony (Milland), marito di Margot (Kelly), scopre una sua tresca con l'amante Mark (Cummings). Dipendendo dai soldi della donna, temendo d'essere lasciato sul lastrico ed essendo senza scrupoli, ricatta il suo loschissimo ex-compagno di università Swann affinché uccida la donna, predisponendo la scena per suggerire un furto. Il pubblico che nel 1998 si trova davanti al Delitto perfetto di Andrew Davis molto probabilmente ricorda il classico di Hitchcock, così lo sceneggiatore Patrick Smith Kelly, prima ancora di porsi il problema di come riadattare il colpo di scena fondamentale di cui discutiamo dopo, sa di dover spiazzare le aspettative sin dalle premesse.
Nel film di Hitchcock la figura dell'amante Mark è piuttosto strumentale nel plot, anche se ha una valenza metanarrativa: Mark è uno scrittore di gialli, convinto che il "delitto perfetto" esista solo nella fiction, ma che nella realtà si commetta sempre qualche errore. Più avanti, è proprio Mark che per salvare Margot destinata alla forca per le macchinazioni di Tony, ipotizza un piano per salvarla, insistendo con Tony affinché lui si dichiari parzialmente colpevole. Senza saperlo, Mark consiglia a Tony di raccontare ciò che è effettivamente accaduto, creando un corto circuito affascinante che regge il film di sir Alfred. Il primo Delitto perfetto ha almeno due momenti in cui si illustra per filo e per segno ciò che potrebbe accadere nelle scene successive, allestendo con il pubblico un gioco quasi astratto di aspettative frustrate o soddisfatte, portandoci a riflettere sulle regole stesse del giallo.



L'elemento metanarrativo si perde nel remake, perché l'amante David (Mortensen) di Emily (Paltrow) è un pittore, ma ecco la trovata che rilancia la curiosità: vengono accorpate la figura dell'amante e dell'esecutore dell'omicidio. Il marito Steven (Douglas) scopre che David è un poco di buono, così ricatta direttamente lui, spingendolo anche con la promessa di denaro a uccidere Emily. Addio sfida metanarrativa, però sull'altro piatto della bilancia abbiamo una costruzione più noir e più torbida, ideale nel decennio di Basic Instinct. Il David di Mortensen diventa più interessante e sfaccettato di Swann e Mark nell'opera originale. Soprattutto, la nostra curiosità è stimolata anche se conosciamo il primo Delitto perfetto.

Delitto perfetto, i due diversi colpi di scena

E' nella gestione del colpo di scena a metà della storia che i due film divergono ancora di più, approdando a un significato diverso e decisamente più nero nel rifacimento. Nel Delitto perfetto del '54, Margot si difende e inaspettatamente riesce a uccidere il suo aggressore Swann, costringendo Tony a tentativi disperati (a volte geniali, a volte più goffi) per fare marcia indietro e coprire le sue tracce, dirottando le indagini su un finto ricatto che coinvolge la donna, suggerendo così alla polizia che quella di Margot non sia stata legittima difesa. Il personaggio di Grace Kelly è proprio una "damigella in pericolo" (siamo dopotutto negli anni Cinquanta), quindi a Hitchcock non basta la saggezza dell'ispettore Hubbard per trarla d'impaccio: il contributo dell'uomo che l'ama davvero, Mark, è fondamentale per incastrare Tony. E' salvata dalla giustizia e dall'amore, che lavorano in tandem.
Nel remake di Andrew Davis c'è un colpo di scena aggiuntivo all'interno dello stesso colpo di scena di base: anche qui Emily si difende e uccide il suo aggressore, ma Steven verifica poi sconvolto che non si tratta di David, il quale ha mandato qualcun altro in vece sua e in fondo ama ormai troppo Emily per eliminarla di persona (ma non abbastanza per salvarle la vita!). Nonostante il simpatico personaggio del detective Karaman (David Suchet) sia adeguatamente sospettoso, non cava d'impaccio Emily come succedeva a Margot con l'ispettore Hubbard: David muore ucciso da Steven, che aggredisce sul finale la moglie, che a sua volta lo elimina di persona. Esito nerissimo, un lieto fine solo meccanico e di superficie, perché in effetti l'innocente Emily si salva, però ne esce a pezzi la fiducia nell'amore e negli affetti. E' vero, l'escamotage delle chiavi di casa è preso pari pari dal materiale originale, ma attenti alla sostanza: rispetto a Margot, che poteva mantenere una fede nel vero amore, contrapposto al cinismo del consorte, Emily perde marito e amante, tutti e due gretti, insinceri, inaffidabili e pericolosi.
In fin dei conti, il nuovo Delitto perfetto di Andrew Davis è meno sosfisticato di quello firmato da Hitch, ma sa adeguarsi a tempi meno ingenui e più disillusi, cambiando un numero sufficiente di carte in tavola per alimentare questa visione più cupa e, come si diceva, decisamente noir.



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