La 33esima edizione del Noir in Festival, in programma a Milano dall’1 al 7 dicembre, si apre celebrando il genere a cui è dedicato nella sua forma più classica, e quindi strizzando l’occhio a La fiamma del peccato, Brivido caldo e a La donna che visse due volte, che ricorda non soltanto nella forma ma anche nel contenuto.
Out of the Blue è il nuovo film di Neil LaBute. Il regista americano torna a parlare di guerra fra i sessi, argomento che ha inaugurato e attraversato la sua filmografia e che oggi lo porta a tracciare un nuovo identikit tanto della dark lady o femme fatale quanto dell’uomo che ne subisce irresistibilmente il fascino, e se la frase di lancio di Solo chi cade può risorgere, che si affidava a un attore dalla forte mascolinità come Humphrey Bogart, recitava "È così che un uomo si fa male: fidandosi di una bella donna", qui basta un’inquadratura a mostrare la grande fragilità del protagonista: un bibliotecario da poco uscito di prigione che cade come un birillo di fronte al sex appeal di una donna bellissima che viene brutalmente picchiata dal marito. Lei, che si chiama Marilyn ha il volto di Diane Kruger, bionda come le grandi attrici hotchockiane ma alle prese con un personaggio tutt'altro che algido. Il lui del film, Connor, è interpretato invece da Ray Nicholson, che ricordiamo nella serie Panic.
A parlarci di Out of the Blue è però Neil LaBute, famoso anche per le sue regie teatrali oltre che per il superbo Betty Love, con Renée Zellweger. Gli chiediamo di spiegarci il suo approccio al noir e cosa direbbero Billy Wilder, Howard Hawks. Otto Preminger & Co del film. La sua risposta è lunga, articolata e molto interessante: "Spererei di farli appassionare al mio film e ai protagonisti, soprattutto a Marilyn, un personaggio che somiglia alle varie dark lady impersonate da Barbara Stanwyck o Jane Greer. Out of the Blue non è un’interpretazione o una satira dei film noir di una volta, ma un tentativo di muoversi nel solco dei grandi classici del genere. Mi piaceva l'idea di una figura femminile più adulta del protagonista e che il protagonista perdesse subito la testa per questa donna. Ecco perché ho scelto un'attrice che è in grado di rendere credibile agli occhi del pubblico ciò che il protagonista sceglie di fare, rischiando di mandare a carte 48 la propria vita in nome dell'attrazione che sente per lei fin dal primo momento. Diane Kruger mi è sembrata l'attrice perfetta per innescare il dramma che il film racconta, perché è un'artista che affascina e incuriosisce sia quando parla che quando resta in silenzio, e che può rendere plausibili anche eventualità che sembrano lontane. Credo che le persone che hanno scritto sceneggiature di film noir, o che ne hanno diretti diversi, apprezzerebbero sia la mia femme fatale che colei che la incarna. Per quanto riguarda Ray, non lo conoscevo, ma quando ho avuto modo di vedere alcune delle sue interpretazioni, ho pensato: è perfetto per il ruolo che deve interpretare, e cioè quello di un uomo che non è un criminale o un poliziotto, ma soltanto un ragazzo che è andato a scuola e che aveva qualche problema nella gestione della rabbia, e infatti ha esagerato ed è finito in prigione, e adesso sta cercando di rifarsi una vita ma si ritrova invischiato in questa passione e nelle sue ferali conseguenze. Sulla carta entrambi i personaggi sono 'classici' e ho avuto la fortuna di trovare attori sopraffini. Aggiungo che il film acquista una connotazione tragica proprio perché il protagonista maschile in fondo è un bravo ragazzo, uno che semplicemente commette degli errori. E anche questo è tipico del noir, e mi auguro che Out of the Blue possa essere uno di quei film che quando cominci a vederli, non riesci a smettere finché non arrivi alla fine. E mi piacerebbe che il pubblico non desse la colpa a nessun personaggio per ciò che accade, perché a tutti capita di fare stupidi sbagli. Se ci pensate, è pieno di noir in cui una parola detta male o un gesto stupido hanno come conseguenza la morte".
Al di là degli omaggi e delle citazioni, cosa c’è di personale in Out of the Blue?
Probabilmente e paradossalmente l’aver strizzato l’occhio al buon vecchio noir, perché la contemporaneità del film è piuttosto evidente, ovunque guardi te ne accorgi. Proprio questo mi ha indotto a scegliere location che avessero un aspetto molto classico. Sarebbe bello se qualcuno, magari fra 10 anni, vedendo il film si domandasse in che epoca è ambientato. Magari Out of the Blue non darà l'illusione di essere stato girato negli anni '40, ma nemmeno lo scorso anno. Prendete la biblioteca in cui Connor lavora. L'ho vista e ho pensato immediatamente: 'Accidenti, dobbiamo venire qui a girare'. In realtà era una libreria, ma l'abbiamo trasformata in una biblioteca un po' come quelle di una volta. Abbiamo insomma cercato luoghi che non avessero una connotazione temporale, perché a suggerire la contemporaneità della vicenda c'erano già diversi elementi: le automobili, per esempio. Per quanto riguarda il costume da bagno di Diane Kruger, doveva essere un modello un po’ anni '40, '50 ma credibile anche ai giorni nostri. Stesso discorso per la sua casa, che non è di quelle moderne ed essenziali che si vedono sulle riviste, ma ha qualcosa di caldo e di old fashion.
Lei ha alle spalle una solida esperienza teatrale, e forse è per questo che dà sempre spazio ai dialoghi nei suoi film. Anche qui i personaggi parlano molto. Era essenziale per lei che fosse così?
I miei film hanno molti più dialoghi della maggior parte dei film degli altri. Adoro i dialoghi, adoro vedere la gente che parla e credo che attraverso le parole si possa creare la giusta tensione, dare un’idea di violenza e sopraffazione o al contrario intrattenere, divertire. In Out of the Blue vediamo spesso i personaggi che parlano senza il classico campo/controcampo o comunque senza un cambio di inquadratura. Non c'è cosa più bella di due attori che recitano insieme, magari senza stacchi, e quindi in un'unica inquadratura che "contiene" l'intera scena. Diane e Ray hanno trovato entusiasmante lavorare così e anche a me piace, e anche questa modalità è molto classica. Ho appena rivisto Gilda e mi sono accorto di quanti dialoghi ci fossero. Le sceneggiature di allora erano il doppio di quelle attuali. Gli attori dell'epoca studiavano a lungo i copioni, molti di loro venivano dal teatro. In Out of the Blue ho cercato di tirare fuori quante più cose potevo da due soli personaggi, e forse ho corso un rischio, ma se ci fate caso, nessuna delle cose che Marilyn racconta a Connor può essere verificata. Non vediamo mai il marito di Marilyn, perché se lo vedessimo, lo giudicheremmo, e quindi scegliamo di credere o non credere alla donna. Questa maniera di procedere è qualcosa che non mi è mai capitato di vedere prima al cinema, e che secondo me genera ambiguità. Non a tutti piace l'ambiguità, tuttavia. Molte persone vogliono andare in una sala e capire cosa sta succedendo e cosa è bene e cosa è male. Nei film noir non sempre è possibile, perché a volte i cattivi non vengono puniti e i buoni muoiono, ma secondo me è questo il bello".
Un elemento di Out of the Blue che colpisce molto è l’aggressività della polizia, tema che lei ha già affrontato al cinema. Perché le interessa trattare questo argomento?
In tutto il mondo ci sono continui abusi di potere, alcuni più evidenti, altri più sotterranei. E se i medici hanno la presunzione di sentirsi Dio, i poliziotti credono di essere invincibili, sostanzialmente perché hanno la legge dalla loro parte, e anche se in questo film non vediamo poi così tanto la polizia, per me era interessante avere due diversi poliziotti. Uno è un'autorità locale che esagera un po' con Connor, perché, guarda caso, è la persona su cui Connor ha sfogato la propria rabbia e a cui ha fatto del male, e, che sia o meno un poliziotto cattivo, non tollera che Connor non rispetti le regole della libertà vigilata. L'altro poliziotto, che poi è l'ufficiale di sorveglianza, è anche lui eccessivamente aggressivo con Connor, ma in fondo è una buona persona. Quando stavo costruendo questo personaggio, mi è venuto in mente un film con Dustin Hoffman che si intitola Vigilato speciale in cui il protagonista esce di prigione, cerca di rigare dritto ma poi cade nuovamente nella trappola del crimine. A interpretare l'ufficiale di sorveglianza era il magnifico Emmet Walsh. Hank Azaria non era certo l'attore a cui avevo pensato per il ruolo, infatti ero d'accordo con un altro attore, che poi è andato via. Hank, però, trovava il personaggio molto interessante, perché si tratta di vero bastardo che tuttavia sorride spesso ed è accattivante. Ho detto: 'Proviamo', e quindi Azaria ha preso un treno ed è venuto a Rhode Island, dove stavamo girando, ed è stato fantastico averlo sul set. Ha lavorato egregiamente, e mi sono reso conto di aver fatto benissimo a sceglierlo.
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