“La nostra ossessione è quella di dare vita a individui. Meno intrigo c’è e più i personaggi diventano persone”. I fratelli Luc e Jean-Pierre Dardenne sono dei convinti e a loro modo ostinati cantori di un cinema sociale, vicino alle persone. Lo sono dagli anni ’90, da La promesse e Rosetta, vincitore quest’ultimo della Palma d’oro a Cannes. Hanno poi bissato quel traguardo, e presentato sulla Croisette quasi tutti i loro film successivi, alcuni dei quali verranno mostrati in questi giorni in un omaggio previsto dal 10 al 17 novembre a Roma, Milano, Torino e Bologna.
Gli autori belgi hanno presentato il loro nuovo film, Tori e Lokita, premio speciale per il 75° anniversario a Cannes, in uscita il 24 novembre distribuito sempre da Lucky Red, prima di spostarsi a Firenze per una retrospettiva a loro dedicata dal Festival dei Popoli.
Il film è ancora una volta uno sguardo sul reale, sulla difficoltà degli immigrati di trovare un loro spazio in una società nuova che li accolga. “Prima di tutto una storia di amicizia fra una ragazza e un bambino fuggiti dall’Africa e arrivati in Belgio passando dall’Italia”, hanno detto i fratelli Dardenne incontrando la stampa al cinema Quattro fontane di Roma. “Il nostro più grande desiderio è che alla fine del film il pubblico, che avrà provato una profonda empatia per questi due giovani esiliati e per la loro amicizia, provi anche un senso di rivolta contro l’ingiustizia che regna nella nostra società”.
Come spesso gli accade hanno preso degli esordienti per interpretare Tori e Lokita, Pablo Schils e Joely Mbundu. Ma ci tengono a definirli attori, “quantomeno lo sono diventati dopo le riprese. Li abbiamo incontrati in un casting e sono stati i migliori, entrambi frequentano la scuola. Lei aveva 16 anni, lui 12. Come ci succede sempre non abbiamo spiegato agli attori la sceneggiatura, che siano professionisti o meno. Non diamo indicazioni particolari. L’hanno letta con i genitori, con cui ne hanno parlato. Hanno capito le situazioni anche difficili che incontravano i loro personaggi. Joely indossava una parrucca nella vita, che poi so toglieva quando diventava Lokita sul set, per poter poi vivere quello che viveva lei. In pausa la rimetteva, non voleva confondere le due anche se dice di aver perso l’innocenza con il film, di essere cresciuta. Tori l’ha presa come un’avventura, in cui saltava e correva. Capirà più tardi meglio quello che ha fatto, ci ha fatto alcune domande ma ha preso tutto come un gioco. Ci si diverte anche girando un film, ed è importante che sia così”.
Com’è nata questa storia? Una domanda alla quale Luc e Jean-Pierre Dardenne rispondono spiegando come non sia direttamente ispirata a un fatto reale, ma dalla combinazione fra uno spunto scritto una decina d’anni fa su una madre e due figli e la lettura sui giornali, in Belgio ma anche in Italia, del numero scioccante di minori non accompagnati che, una volta arrivati in Europa, spariscono poi dalla circolazione senza che se ne sappia più niente.
“A quel punto abbiamo deciso che il nostro prossimo film avrebbe raccontato di due ragazzi e della loro amicizia. Lei è più grande e ha un grande spirito protettivo nei suoi confronti. Penso che si debbano aiutare questi ragazzi anche oltre i 18 anni, per farli studiare o imparare un mestiere, permettendogli di integrarsi anche dopo aver conseguito un diploma. Non volevamo che Tori e Lokita rappresentassero un gruppo sociale, i migranti. Cerchiamo sempre il dialogo silenzioso fra ogni spettatore e i personaggi dei nostri film. Cerchiamo una semplicità estrema ma non fine a sé stessa, è la miglior maniera per noi di dargli vita. Meno intrigo c’è e più i personaggi diventano delle persone. Sono tempi inquieti, le persone temono per il loro futuro, per la crisi energetica, la guerra. Sono molto sensibili ai discorsi di istigazione alla paura e all’odio. Credo ci siano però molte persone che resistono a tutti questi input, vogliono una società meno diseguale e più aperta. Come artisti abbiamo fiducia ci siano, non perderemmo due anni per fare un film se non lo pensassimo sinceramente. In Europa ancora si possono ancora fare film senza troppi problemi, grazie ad aiuti nazionali e non, oltre ovviamente a un pubblico ricettivo”.
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