Una relazione fra luoghi disposti su due piani a portata di sguardo, ma lontani come una società brulicante e un altrove popolato solo da chi ha scelto di allontanarsi, da quella società. Senza intenti antropologici o peggio folkloristici, Lassù è il nuovo documentario del toscano di casa a Parigi Bartolomeo Pampaloni, già autore dell’interessante Roma Termini, premiato a Roma nel 2014. Si tratta senza dubbio di uno dei titoli più interessnati del concorso al 70esimo Trento Film Festival.
Nino faceva il muratore prima di rispondere a una “chiamata” spirituale che l’ha portato dai quartieri popolari di Palermo al Monte Gallo, che sovrasta la città con il suo osservatorio militare ormai abbandonato che Nino ha trasformato, giorno dopo giorno, grazie alle sue abilità manuali, in un tempio della “outsider art”. Un tempio spirituale vero e proprio, con tanto di cappelle e altre, di nome Isravele (letto al contrario elevarsi) adornato di mosaici pazientemente realizzati in più di vent’anni.
”La genesi è stata lunga, un parto difficile da finanziare”, ci ha detto il regista, raggiunto telefonicamente da Trento. “Del resto non poteva andare diversamente, avendo deciso di raccontare un eremita lontano dal mondo. Ho iniziato quando ero ancora al Centro sperimentale di cinematografia a pensare a questo personaggio, dopo aver visto un corto documentario che lo raccontava. Dopo Roma Termini mi sono messo alla ricerca di storie di persone isolate dalla società e mi è tornato in mente. Sono andato con una tenda e ho aspettato che il giono dopo tornasse. Il primo incontro è andato molto bene, siamo entrati in sitonia e ha accettato di buon grado la mia presenza. Mi sono subito detto che sarei dovuto andare io con una tenda, era da escludere la possibilità di girare con una troupe. Quando sono sceso la prima volta ho visto proprio di fronte alla montagna, all’opera d’arte realizzata da una singola persona ispirata, gli scheletri di 150 villette abbandonate dopo un abuso edilizio. Mi sono detto che era una rappresentazione del mio paese, parlava della contemporaneità”.
Pampaloni ha fatto su e giù fra il Monte, dove restava per alcuni giorni dormendo in tenda, e la città, dove tornava per riordinare il materiale e lavarsi. Il tutto per oltre un anno, interruzioni comprese. “Non bisogna immaginare una persona che lascia fare perché il primo incontro è andato molto bene. Mi aveva subito detto che non era interessato al film, che non avrebbe accettato di fare quello che gli dicevo. Ogni giorno è stata una conquista. Per mesi non mi ha permesso di girare dentro al tempo e ho dovuto accettare. Mi ha vietato di tornare a Palermo con lui e filmare la sua famiglia. Poteva accadere che un giorno non voleva che girassi perché magari avevo gli occhi strani. Mi sembrava giusto fosse in controllo e padrone della situazione, ero a casa sua. È stato un cammino di passione. Si sale solo a piedi con fatica e talvolta andavo senza telecamera, specie quando dopo un po’ la sua interdizione è diventata più netta. Allora ho girato quello che stava intorno a lui, mentre prima solo con lui”.
Proprio pochi giorni fa Pampaloni ha preso il suo portatile ed è salito a Monte Gallo, dopo anni che non sentiva più Nino, ovviamente non contattabile. “È stata un’esperienza meravigliosa”, ci ha raccontato, “ci siamo guardati insieme Lassù. Gli è piaciuto il titolo, gli ha fatto strano sentire per la prima volta la sua voce registrata. Mi sembrava un atto dovuto farglielo vedere. Ci tenevo che sentisse il film anche suo. Ha detto che devo girare il secondo, che è andato molto avanti nel frattempo con la sua opera. L’opera di un muratore spirituale fuori da tutti i canoni, privo di retorica, considerato da molti palermitani come il mezzo folle da prendere in giro andando a Monte Gallo, luogo di scampagnate privilegiato della zona. Non volevo fare un film predicante, ma una storia di elevazione senza retorica, come lui che vive di azioni semplici fatte in solitudine. È una persona vera nella sua genialità, o follia, in base a come la si voglia definire e interpretare. Nella sua esperienza personale c’è una verità assoluta. Si può credere o meno alle sue capacità mistiche, ma da venticinque anni porta da solo sacchi di pietre e cemento dal mare fino in cima al monte, senza alcun interesse personale ma per rispondere a quella che ritiene una chiamata. L’archetipo dell’artista che non si esprime per il riconoscimento personale. È un’idea di arte che sento molto vicina”.
Lassù è un documentario capace di valorizzare la singolarità di un uomo semplice, ostinato nel suo portare avanti un cammino possibile da leggere come spirituale o artistico, ma che non lascia indifferente. Un’esperienza che richiede un lento processo di seduzione valorizzato dalla sala cinematografica. Luogo di elezione, ci auguriamo e ne siamo convinti, del riuscito film di Bartolomeo Pampaloni.
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