mercoledì 1 giugno 2016

Scream, la recensione dell’episodio 2×01: I Know What You Did Last Summer

La seconda stagione di Scream ha debuttato ieri su Netflix (che ne detiene l’esclusiva italiana) con il primo episodio, I Know What You Did Last Summer, dove il nuovo serial killer prende subito di mira i Sei di Lakewood…

Attenzione: il seguente articolo contiene SPOILER

Sono trascorsi alcuni mesi dagli omicidi di Lakewood. Audrey lavora in un cinema, dove una sera viene aggredita da un individuo mascherato: lei lo pugnala, ma era solo uno scherzo. La ferita, comunque, non è grave, e la ragazza viene immediatamente scagionata per legittima difesa (anche perché lo scherzo è andato in onda in diretta su internet, quindi Audrey non ha nulla da dimostrare). Noah ha rilevato il podcast di Piper Shaw, dove parla degli omicidi di Lakewood, mentre Brooke e Jake stanno ancora insieme. Audrey riceve messaggi minatori da qualcuno che sa della sua complicità con Piper. Emma si è allontanata per riprendersi dall’esaurimento nervoso, ma ora sta per tornare, e gli amici le preparano una festa. Lei e Kieran si sono lasciati; Emma vorrebbe riprendere la relazione, ma lui si comporta in modo strano, è evasivo e sembra evitarla di proposito.
Dopo la festa, Brooke e Jake s’intrufolano nella piscina della scuola per fare un bagno, ma litigano e si lasciano. Jake in realtà la ama, ma non fa in tempo a riconquistarla perché viene rapito da un nuovo killer che indossa la stessa maschera di Piper, e che lo chiude in un capanno dopo averlo ferito a un piede con una tagliola. L’assassino gli lascia a disposizione una falce, che lui usa per tranciare la catena della porta e uscire, ma il rapitore non glielo permette. Lo appende a testa in giù e poi lo uccide brutalmente, tranciandolo con quella stessa falce.
Audrey continua a ricevere SMS minatori, e il suo persecutore attacca le fotocopie della sua corrispondenza con Piper nel bagno del cinema in cui lavora. Noah ritiene che sia uno dei seguaci del suo podcast, ma lei si rifiuta di denunciarlo per paura che il persecutore renda pubblica la sua complicità con l’assassina. Intanto, a scuola, Emma chiede a una sua brillante compagna di classe, Zoe, di aiutarla a recuperare le lezioni di psicologia che ha perduto. Noah invece parla con Augusto, figlio del nuovo sceriffo, un ragazzo con un grande talento artistico e una spiccata passione per il macabro, che sostiene la superiorità dell’horror seriale su quello autoconclusivo.
Dopo aver accettato un’intervista nel podcast di Noah, Emma vede alcune foto sulla sua bacheca dei misteri: gli scatti ritraggono una fattoria che lei vede spesso nei suoi sogni, sin da quando era bambina, e scopre che appartiene al fratello di Brandon James. Emma si reca sul posto per indagare, accompagnata da Brooke, e nella casa trova alcune foto di se stessa da piccola. Di fronte a lei compare anche l’assassino, e la ragazza comincia a urlare…

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I Know What You Did Last Season
Non poteva esserci un avvio più malizioso di così per la seconda stagione di Scream, che parte da un doppio tranello ai danni dello spettatore: le prime due scene lavorano infatti sulle aspettative del pubblico, ingannandole con false promesse di pericolo. Se il prologo si rivela essere soltanto un film (un po’ come Squartati all’interno di Scream 2), l’inseguimento nel cinema è invece ben più ambiguo, anche perché questo franchise comincia tradizionalmente con un omicidio. L’agguato nei confronti di Audrey è però un sadico scherzo che si ritorce contro i suoi esecutori, come se lo show volesse sottolineare la perenne doppiezza dell’horror post-moderno: la messa in scena degli spaventi viene denudata per mostrarne l’artificiosità intrinseca, simile a un teatro di burattini dove si vedono i fili, mentre il trucco delle scatole cinesi nasconde sempre una realtà più grande. L’inizio nella sala cinematografica, peraltro, è un’ulteriore citazione di Scream 2.

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Insomma, i primi minuti di I Know What You Did Last Summer lasciano un po’ spiazzati, anche perché si percepisce immediatamente l’ellissi temporale che separa la seconda stagione da quella precedente. I Sei di Lakewood (nome concepito da Noah) sono immersi in un nuovo status quo, ma il cambiamento più evidente riguarda Emma, che ha avuto un esaurimento nervoso e si è lasciata con Kieran: il suo ritorno cementifica il gruppo, ma innesca anche la minaccia di un nuovo serial killer dagli obiettivi misteriosi, suggerendo l’esistenza di una verità più ramificata e complessa. Sul piano dell’intreccio, però, l’idea migliore risale al finale della prima stagione, quando abbiamo scoperto che Audrey era la complice di Piper. Ne deriva una metamorfosi sostanziale del suo personaggio: non più eroina che si batte legittimamente contro il mostro, ma figura nebulosa e contraddittoria, provvista di un lato oscuro che spinge a diffidare della sua sincerità. Da carnefice a potenziale vittima, il passo è breve.

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Il cliffhanger della prima stagione lasciava intendere che Audrey non se la sarebbe cavata con poco, e infatti il nuovo assassino perseguita soprattutto lei, dando inizio a un’altra scia di omicidi guidati dal rancore. In tal senso, il discorso metanarrativo è piuttosto interessante, seppure isolato e un po’ disorganico: il parallelismo di Noah tra la funzione degli horror e quella dei sogni è scontato, ma Gustavo (nuovo personaggio che si prende carico di molte ambiguità) approfondisce il discorso e lo adatta al formato seriale, affermando la superiorità di quest’ultimo rispetto alla narrazione autoconclusiva. Mentre il racconto chiuso porta inevitabilmente a una risoluzione della storia (poco importa se lieta o tragica), la narrazione seriale – fumetti o show televisivi – termina sempre con un cliffhanger che pone le basi per l’episodio successivo, emblema di un orrore che non può fermarsi mai; al contrario, si autoalimenta e si ripete come un circolo vizioso, che poi è lo stesso meccanismo del grande intrattenimento di massa, dove l’infinita reiterazione dei modelli visivi o narrativi nutre l’assuefazione del pubblico. Questo è vero soprattutto per i generi cinematografici, caratterizzati da tòpoi famigerati e inesauribili: peccato però che Scream, al contrario dell’omonimo film di Wes Craven, sfrutti la riconoscibilità immediata dei cliché per confermare la loro funzione, più che per stravolgerla, includendo il citazionismo e le riflessioni “teoriche” in modo forzato, come se gli autori si sentissero obbligati a trattare questi elementi controvoglia. Ormai, anche le idee dell’horror post-moderno sono diventate cliché.

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Per il resto, il ritornello non cambia: la tensione latita, gli SMS minatori non reggono il confronto con le telefonate di Ghostface, le influenze dai torture movie appaiono timide e confuse, mentre i personaggi della serie sono piatti e stereotipati (con la parziale eccezione di Audrey), e non inducono certo a preoccuparsi per loro. Ma, in questo carrozzone ingannevole e autocosciente, sorge il dubbio che possa essere una scelta volontaria: d’altra parte, ogni saga horror giunge al punto di non ritorno in cui gli spettatori cominciano a tifare per l’assassino…

La citazione:
«I sogni e i film horror lavorano allo stesso modo, forse è per questo che il sogno è una costante. L’horror non fa altro che esternare le paure dell’inconscio.»

Ho apprezzato:
– L’inganno delle prime due scene
– L’ambiguità di Audrey
– Il discorso sull’horror seriale

Non ho apprezzato:
– Il citazionismo forzato e le riflessioni disorganiche
– La tensione inesistente
– I personaggi piatti e stereotipati
– La ripetizione dei cliché senza tentare di stravolgerli

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