mercoledì 31 luglio 2024

Here After, fra vita e morte, perdono e paura: incontro con il regista Robert Salerno

Una carriera di successi come produttore, con all’attivo titoli come A Single Man o 21 grammi, Animali notturni o il recente thriller horror di successo Smile. Robert Salerno ha deciso ora di passare dietro la macchina da preso con un altro film di genere, fra spaventi ed emozioni, intitolato Here After, appena uscito in sala per Eagle Pictures e girato integralmente in Italia. Protagonista è la veterana Connie Britton, che ricordiamo con grande piacere per la magnifica serie Friday Night Lights, uno dei modi migliori per conoscere l’America profonda, quel Texas lontano dalle metropoli New York o Los Angeles. 

Il film, scritto da Sarah Conradt, racconta di una ragazza, Robin (Freya Hannan-Mills), talentuosa pianista e figlia adolescente di Claire (Connie Britton), che, dopo essere sopravvissuta miracolosamente a un'esperienza di pre-morte, comincia a manifestare comportamenti sempre più inquietanti e pericolosi. Preoccupata per la figlia, Claire si trova a dover riaffrontare un segreto nascosto per molto tempo, frutto di una dolorosa esperienza che ha segnato il passato suo e di Robin.

Abbiamo incontrato Robert Salerno a Piazza Farnese, proprio nel cuore di quella Roma in cui ha con piacere girato il film.

Cosa l’ha convinta a esordire alla regia con questa storia?

Ho una lunga carriera come produttore in film apprezzati dalla critica, e più recentemente con lavori di genere. L’idea era proprio quella di cimentarmi con il genere in un film che avesse però anche uno spessore critico. Era quello che cercavo, qualcosa con un significato profondo che potesse però anche intrattenere e coinvolgere un publico vasto. Un racconto emozionalmente rilevante.

Viviamo in un momento in cui il genere si sta cimentando con molte storie fra la trascendenza e il tentativo di cercare un senso esistenziale. Forse per il periodo di crisi che il mondo sta vivendo?

Gli Stati Uniti, ma mi sembra anche il resto del mondo, sono in questo momento un luogo molto polarizzato. Mi sembrava importante l’intrattenimento e la tensione, ma senza dimenticare le sfumature. Nel mio film un tema centrale è la ricerca del perdono, prima di tutto per noi stessi, per farlo uno con l’altro bisogna liberarci dalla rabbia. Bisogna scavare nel nostro passato per liberarci di tanti piccoli o grandi traumi. Preparando, girando e poi montando il film ho cercato un equilibrio fra questi due aspetti apparentemente lontani. Dando la possibilità alla gente di respirare, dopo avergli regalato un momento di tensione e paura.

Parliamo di generi differenti, ma il cuore della storia è legata al potere universale della musica, della possibilità di superare una perdita con l’amore. 

È davvero così, è importante trovare qualcosa che ci unisca. Il motivo per cui ho scelto una storia del genere e non un dramma più “serio”, come molti dei film che ho prodotto, è la ricerca di mistero e di vari piani di lettura. 

Come mai ambientarlo in Italia?

Onestamente era pensato per New York, poi la pandemia è esplosa e l’Italia ha vissuto un momento difficile, per poi superarlo prima di altri. Era sulle prima pagine e mi è venuto in mente come possibile interessante luogo per la mia storia. Invece di far sì che la protagonista fosse semplicemente una donna americana a New York, dove tutti parlano inglese, poteva essere una straniera e quindi essere un po’ più isolata. La religione poi ha un ruolo importante, rendendo perfetto il cattolicesimo con la sua iconografia, così prevalente a Roma. Una città in cui ci troviamo e che mi ha ispirato creativamente come non mai, con la sua storia. Probabilmente il Covid ha allargato la mia idea iniziale, mi ha portato ad amare così tanto la possibilità di girare a Roma che ho rinunciato a New York per venire qui.  

Parlando del suo stile visivo, alterna elementi onirici e trascendenti a riferimenti all’iconografia cattolica. Quali sono stati i suoi riferimenti, immaginandolo?

Volevo qualcosa di eterno, ma anche contemporaneo. Era più facile da trovare a Roma, mi piaceva un mondo antico nelle strade e a scuola. Abbiamo lavorato con lo scenografo per creare qualcosa che fosse classico ma non necessariamente datato o riferito a uno specifico periodo. Dal punto di vista stilistico volevo che sembrasse come se ci fosse un’altra entità in azione, con la macchina da presa in movimento come fosse un fantasma.

Come ha lavorato con attori americani e italiani insieme?

Ero un po’ preoccupato all’inizio, ma la maggior parte del cast parlava inglese. Ho imparato un sistema molto diverso lavorando in Italia rispetto a New York. Non dico sia migliore o peggiore. Mi sono adattato a lavorare con quel cast e quella troupe e loro hanno fatto lo stesso. Mi sono visto recentemente con molti di loro per prendere un gelato ed è stato un incontro molto affettuoso, mi hanno detto di aver molto apprezzato l’esperienza. Ho cercato di coinvolgerli chiedendogli cosa pensassero anche dei personaggi e delle loro azioni. Gli attori italiani li ho trovati molto ricettivi e pronti a condividere le loro idee. Molti, anche nei ruoli più piccoli, erano attori di teatro con una lunga carriera, alcuni non parlavano inglese, e io non parlo italiano, ma li ho diretti con l’emozione ed è stato piuttosto facile. Ogni mia preoccupazione iniziale è stata presto superata. Con la sensibilità e alcuni riferimenti si può trovare una lingua comune.

Parlando di comunicazione, la ragazza protagonista ha difficoltà a esprimere il suo dolore, usa la musica per farlo

In una situazione traumatica la musica è per lei un modo per trovare una voce che le è stata tolta da bambina. Esprimere un’emozione è cruciale e mi sembrava interessante incorporare la dinamica nel film. La colonna sonora poi mi è servito per aumentare la gravitas di Roma, grazie a Fabrizio Mancinelli, l’autore delle musiche, che viene proprio da qui.

È un momento in cui a Hollywood non si producono più film dal budget medio, solo grandi blockbuster o piccoli film. Una delle piche eccezioni, è l’horror o il genere, come Smile, che lei ha prodotto ed è stato un grande successo, o i film di Jason Blum. Nel tentativo di avere prodotti finanziariamente sostenibili ma capaci anche di intercettare un prodotto.

Amo l’horror, anche se Smile o Here After non credo lo siano. Sono una versione più sofisticata di quel genere. Il pubblico vuole provare emozioni, saltare sulla sedia e per questo tipo di film l’esperienza della visione in sala è fondamentale, sono film che vanno bene anche grazie all’esperienza di visione collettiva. Siamo così isolati ognuno con il proprio smartphone, in cerca di visioni indipendenti a casa, il che è un’ottima cosa, ma bisogna anche andare al cinema e spaventarci o piangere insieme ad altre persone. Sono contento quando nelle proiezioni del mio film vedo il pubblico commuoversi, con gli occhi lucidi. Provare emozioni in maniera collettiva, suscitare energia, è catartico. Condividiamo questo pianeta ed è importante farlo come comunità e condividere emozioni.



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