sabato 27 luglio 2024

Deadpool & Wolverine senza censure? Novità per il Marvel Cinematic Universe, non per la Disney

Come ormai è chiaro, Deadpool & Wolverine rappresenta un caso unico (forse non il primo) nella storia dei Marvel Studios targati Disney: non ha subito infatti interventi di censura preventiva, rompendo il tabù del "Restricted", cioè del divieto ai 17 anni negli USA, dal quale il Marvel Cinematic Universe si era accuratamente tenuto lontano, puntando al "PG-13" per famiglie. È uno shock proprio per la Disney come azienda? In realtà no, e non lo è più da quarant'anni, ma proviamo a mettere un po' d'ordine nella questione, per capire dove sono i veri tabù e in cosa consistano.

La Disney vietata ai minori esiste... ma non si fa chiamare "Disney"

Non era mai successo che un film del Marvel Cinematic Universe come Deadpool & Wolverine uscisse negli USA e in altre parti del mondo con barriere suggerite per le fasce di pubblico più giovani: nel caso del Nord America si parla addirittura del divieto ai 17 anni, il famigerato "R - Restricted". Ma non è una novità per la Disney come multinazionale. La svolta verso contenuti non propriamente "per tutti e per famiglie" avvenne nei primi anni Ottanta, quando il genero di Walt Disney, l'allora CEO Ron Miller, decise di creare la sottoetichetta Touchstone Pictures per poter finanziare anche contenuti non in linea con quella storica firma-marchio... senza sporcarla. Si discusse molto del nudo di Daryl Hannah in Splash - Una sirena a Manhattan (1984), primo segno di questa pragmatica disinvoltura commerciale. Semplicemente il mercato più adulto era troppo lucrativo per poter essere ignorato dall'azienda, che tra la fine dei Settanta e i primi Ottanta era in difficoltà economiche. La mossa fu tra quelle che fecero inviperire Roy Disney Jr., nipote di Walt: cominciò a far guerra a Miller in quel periodo, ma questa è un'altra storia.
Fatto sta che da allora questa disinvoltura del gruppo Disney nel finanziare contenuti non propriamente "disneyani" non ha fatto che aumentare, specie da quando sono aumentate le acquisizioni, culminate con l'arrivo in casa di tutti gli asset della fu-20th Century Fox, nel 2019. Nella sezione STAR di Disney+ (in America è Hulu) trovate la spintissima serie Pam & Tommy, mentre al cinema è passata poco fa la disinibita Emma Stone del provocatorio Povere creature! di Yorgos Lanthimos. Il capitale è sempre Disney, ma queste non sono di opere per famiglie: i più piccoli tuttavia non possono accedere alla sezione STAR, e Povere Creature! porta etichetta Searchlight Pictures, ex-divisione della Fox. Il tabù per i contenuti politicamente scorretti esiste, ma è limitato solo alla sacralità della Walt Disney Pictures, di quel logo garanzia di innocenza, del castello della Bella Addormentata con le note di "When You Wish Upon a Star". Se però quello manca perché il prodotto in questione arriva dalle aziende acquisite... non ci sono obblighi morali. Sulla carta, questo varrebbe anche per Marvel e Lucasfilm, che hanno i loro "loghi scudo". Ma allora perché...? Leggi anche Indiana Jones e il tempio maledetto, la nascita della categoria PG-13 nella censura americana

Deapool & Wolverine senza freni, svolta commerciale più che artistica

Ci sono però convenzioni economiche... e nel caso dei cinecomic dei Marvel Studios, parte del Marvel Cinematic Universe, si parla di opere molto costose, piene di postproduzione digitale, in media con budget di 200 milioni di dollari in su (!). Un divieto restrittivo significa ridurre in automatico una buona parte dei possibili incassi, senza contare che lasciar fuori adolescenti, bambini e bambine, significa ridurre lo sfruttamento anche del merchandising e della popolarità dei beniamini nei parchi a tema. Finora il più alto incasso della storia per un film Restricted è stato quello del Joker di Joaquin Phoenix targato Warner Bros., e si parla di "appena" 1 miliardo di dollari raccolti nel mondo, contro le cifre ben più alte che il MCU ha saputo raggiungere nel suo momento d'oro, terminato cinque anni or sono con Endgame.
Non è un mistero che la pandemia e l'improvvida gestione di Disney+ da parte del licenziato CEO Bob Chapek ha messo nei guai la Disney negli ultimi quattro anni. Allo stesso tempo, la presa automatica del MCU sul grande pubblico è venuta meno, con un 2023 in evidente affanno finanziario. A questo punto qualsiasi approccio fresco è ben accetto, e le preghiere di Ryan Reynolds sono state accolte appena in tempo. Tramite i suoi due precedenti Deadpool, realizzati presso la Fox buonanima, ha dimostrato col loro successo di pubblico, insieme a quello del Joker warneriano, che il vecchio taglio "alla Kevin Feige" non era l'unico a disposizione per il genere cinecomic. Con il logo "Marvel" il tabù corretto e innocuo dei contenuti "Walt Disney Pictures" non c'era mai stato, ma era silenziosamente accettato per convenienza economica. In passato Kevin Feige, boss dei Marvel Studios, aveva detto che non si precludeva a priori l'idea, ma fino a quel momento non avevano mai ritenuto "necessario" superare la barriera del PG-13. Evidentemente, tra il bisogno di freschezza e il dovere di non compromettere Deadpool così come il pubblico lo conosceva, quella necessità è alla fine arrivata. Leggi anche Blade, Kevin Feige medita sul divieto ai minori e spiega i ritardi



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