Con Anemone in arrivo nei cinema americani a inizio ottobre, Daniel Day-Lewis sta smentendo per la seconda volta la sua promessa di ritiro dalle scene, questa volta con un film scritto da lui stesso con suo figlio Ronan, autore anche della regia. Intervistato da Rolling Stone, si è sentito in dovere di spiegarci come mai periodicamente nella sua carriera abbia sentito la necessità di fuggir via. Il problema non è nella professione in sé, nell'atto di recitare, ma in tutto ciò che ruota intorno a un mondo nel quale si trova a disagio. Daniel comunque non deve preoccuparsi: non è solo in questi tira-e-molla, e siamo sempre qui ad attenderlo. Leggi anche Daniel Day-Lewis, in nome del Metodo, ha bandito dal set di Lincoln i bicchieri da caffè in cartone
Daniel Day-Lewis: "Avrei fatto meglio a tapparmi la bocca, non mi sono mai voluto ritirare"
Con Anemone il regista Ronan Day-Lewis, finora pittore e autore solo di cortometraggi, è riuscito nell'impresa di riportare sul grande schermo suo padre, il sommo Daniel Day-Lewis, che dopo Il filo nascosto aveva annunciato per la seconda volta il suo ritiro (l'aveva già fatto dopo The Boxer, prima di tornare con Gangs of New York). Anemone si ambienta nel nord dell'Inghilterra, dove un uomo di mezza età (Sean Bean) parte per i boschi, in cerca di suo fratello (Daniel Day-Lewis), eremita per scelta: quali violenti eventi li hanno fatti allontanare decenni prima?
Insomma, contrordine: Daniel Day-Lewis, anni 68, tre Oscar (Il mio piede sinistro, Il petroliere e Lincoln), non si ritira e torna al cinema, in una storia di padri, figli e famiglie, come non poteva essere altrimenti, considerando la genesi del film. Ma perché ogni tot anni mente su questo suo ritiro? Non mente, come ci spiega: combatte costantemente contro sé stesso.
Mi era rimasta una certa tristezza, perché sapevo che Ronan avrebbe fatto cinema, e io invece stavo chiudendo. Ho pensato: "Ma non sarebbe bello fare qualcosa insieme, trovando magari il modo di contenere tutto, senza i crismi di una grande produzione?" [...] La mia è una paura molto concreta, è l'ansia di risintonizzarmi con il business del cinema. [...] Il lavoro in sé l'ho sempre amato, non ho mai smesso. Ma c'erano aspetti dello stile di vita che si porta dietro, e che non sono mai riuscito a digerire, sin dagli esordi. C'è qualcosa in quel processo che alla fine mi fa sentire svuotato. Certo, ne ero consapevole, capivo che faceva parte del processo, che dopo c'è una rigenerazione. Ed è stato solo dopo l'ultima esperienza che ho cominciato sul serio a sentire che il momento della rigenerazione non sarebbe mai arrivato, che avrei fatto bene a prendere le distanze, perché non avevo più nulla da offrire. [...] Ripensandoci ora, avrei fatto meglio a tenere la bocca chiusa. Quando ne parli sembrano stupidaggini. Non mi sono mai voluto ritirare sul serio. Ho solo smesso di fare un particolare tipo di lavoro, per farne un altro tipo. Mi hanno accusato di essermi ritirato già due volte, ma non mi volevo ritirare da niente! Volevo solo lavorare su qualcosa di diverso per un po'... ora che invecchio, mi ci vuole sempre più tempo per ritrovare la strada per riattizzare il fuoco. Ma lavorando con Ro, il fuoco si è riacceso in un baleno. Dall'inizio alla fine, è stata una pura gioia passare questo tempo con lui.
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