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È morto nel corso della notte a Brighton, in Inghilterra, dove viveva dagli anni Novanta, Gianni Celati, uno dei più importanti scrittori e intellettuali italiani. Aveva 84 anni.
Nato a Sondrio, cresciuto dalle parti di Ferrara, studente a Bologna, Celati, dopo una tesi su James Joyce, iniziò a scrivere romanzi (il primo, "Comiche", è del 1971) e tradurre romanzi grandi classici della letteratura inglese, francese e americana, e a muoversi negli ambienti universitari inglesi, francesi, americani, per poi tornare a Bologna come professore di letteratura angloamericana al DAMS, dove ebbe tra i suoi studenti gente come Pier Vittorio Tondelli, Giacomo Campiotti, Andrea Pazienza e Freak Antoni.
Celati, col la sua scrittura irregolare, personale ed eccentrica rispetto al canone, col suo raccontare figure strambe e ai margini, con il suo umorismo sottile e stralunato, con le storie fortemente ancorate alla realtà padana in cui era cresciuto, divenne il caposcuola indiscusso di quel filone di letteratura padano-emiliana che, radunatasi attorno a lui nella rivista "Il semplice", negli anni Novanta, è formata da autori come Ermanno Cavazzoni, Daniele Benati, Ugo Cornia e Paolo Nori.
Oltre ai suoi romanzi e alle sue traduzioni (di autori come Stendhal, Jack London, Heman Melville, Louis-Ferdinand Céline, Jonathan Swift, James Joyce e molti altri), e ai suoi scritti critici e alla sua saggistica, Gianni Celati ci lascia anche quattro bellissimi documentari: Strada provinciale delle anime (1991), Il mondo di Luigi Ghirri (1999), Visioni di case che crollano (Case sparse) (2002), Diol Kadd. Vita, diari e riprese di un viaggio in Senegal (2010).
Come per i suoi romanzi, anche i documentari di Celati sono opere difficilmente riconducibili ai criteri del canone. Come ha spiegato bene Gabriele Gimmelli in un libro intitolato "Un cineasta delle riserve. Gianni Celati e il cinema" (Quodlibet, 2021), i film di Celati sono qualcosa che mescola in maniera difficilmente distinguibile la finzione e la realtà: «Non credo molto ai documentari, perché l’idea che le immagini ti mostrino davvero come è fatta la realtà appartiene a un modo di pensare che non è il mio. […] Non mi trovo a mio agio con l’idea di fiction, perché questa comporta una necessità d’illusionismo che non sopporto», diceva Celati.
Cinefilo, come ci racconta Gimmeli nel suo libro, Celati era sempre stato: i suoi primi romanzi erano ispirati alle comiche slapstick di Buster Keaton e Stanlio e Ollio, e firmati da lui sono stati saggi dedicati a registi amati come Michelangelo Antonioni, Wim Wenders e Federico Fellini.
E il Celati scrittore ha gettato anche la sua influenza sugli autori cinematografici dei nostri anni, come testimonia ad esempio quanto scritto dallo sceneggiatore e regista Francesco Bruni proprio poche ore dopo la morte dello scrittore:
Gianni Celati è stato lo scrittore del cuore di un paio di decenni della mia vita. I suoi romanzi sono stati l’ispirazione costante del mio lavoro con Virzi (Tanino gli è enormemente debitore, e anche Ovosodo) benché il suo humour stralunato e sottile fosse quasi intraducibile in immagini. Malgrado questo, è stata la lettura che ho praticamente imposto ai miei studenti del Csc, che ancora lo portano nel cuore. Ci mancherà. Riposi in pace.
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