Il primo film in concorso del Noir in Festival 2024 è il francese Miséricorde, che uscirà nelle sale italiane distribuito da Movies Inspired e si intitolerà L'uomo nel bosco. Diretto da quell'Alain Guiraudie di cui abbiamo tanto amato Lo sconosciuto del lago, il film racconta la storia di un ragazzo di nome Jérémie che torna nel paese in cui un tempo ha lavorato come aiuto del panettiere locale quando quest'ultimo muore. Ospitato dalla vedova dell'uomo, Jéremie decide di trattenersi nel paese che fa da sfondo alla vicenda, suscitando gelosia e rabbia nel figlio della donna e trovando invece un buon amico nel parroco locale, che lo aiuterà quando le cose si metteranno male e il forestiero si troverà la polizia alle calcagna.
Protagonista de L'uomo nel bosco è Félix Kysyl, che ricordiamo ad esempio ne Il mio Godard di Michel Hazanavicius. Dalla Francia è arrivato a Milano per presentare il film al pubblico del Noir, e noi che siamo degli habitué della manifestazione cinematografica e letteraria dedicata al genere che più amiamo, lo abbiamo volentieri intervistato, partendo dal titolo originale del film. "Non ho grande familiarità con il termine misericordia" - ha ammesso Félix - "che è inevitabilmente legato alla religione e che nella lingua corrente non viene utilizzato quasi più. Tuttavia nel film misericordia significa comprensione dell'altro e capacità di perdonare e di accettare ragioni di una persona".
Cosa le ha fatto dire sì ad Alain Guiraudie? Ha avuto una folgorazione leggendo il copione?
La prima cosa che ho adorato della sceneggiatura è che c'era un grande senso di mistero nel film, che non viene mai meno. A volte mi capitava di finire di leggere una scena e mi sembrava di intuire situazioni e sentimenti che in realtà non erano sul copione, e questo perché fra le righe si potevano leggere tante cose, a cui riuscivo a dare forma attraverso l'immaginazione. Era come se fossi stato chiamato a riempire dei buchi con la fantasia.
A giudicare da come si comporta, Jérémie non è esattamente uno stinco di santo. Secondo lei è il cattivo del film?
Credo che Jérémie sia un personaggio complesso e che non sia né buono né cattivo, del resto è quasi sempre difficile stabilire se un individuo sia buono o cattivo. Come tutte le persone, Jérémie affronta dei problemi e delle situazioni, ma tutto mi sembra fuorché il cattivo del film. E comunque prima di giudicarlo bisogna capire cosa si intenda per buono o per cattivo, e in questo senso il film solleva diversi interrogativi.
Come si è avvicinato a Jérémie?
Ammetto che al principio avevo difficoltà a fare mio il personaggio, a comprendere le sue motivazioni e la sua spinta, e quindi ho subissato il regista di domande alle quali lui non voleva rispondere, così mi sono detto che la sola maniera che avevo per capire Jérémie fino in fondo era concentrarmi sulle relazioni che il personaggio aveva con ogni altro personaggio della storia. Non volevo che avesse lo stesso tipo di rapporto con la vedova Martine, con suo figlio Vincent e con Walter, che è il personaggio più solitario del film. Desideravo che, a seconda di chi si trovava di fronte, Jérémie cambiasse il suo comportamento.
Uno dei temi forti del film è la violenza. Come ce la racconta L'uomo nel bosco?
Credo fermamente che la violenza possa scaturire anche da un evento fortuito. La sfida più grande, in questo senso, è stata non rendere Jérémie un serial killer, perché non siamo in presenza di un assassino seriale. Eppure c'è della violenza in lui. All'inizio del film non si comporta in maniera aggressiva, ma la violenza che ha dentro la percepiamo nettamente. Esistono degli individui che non farebbero male a una mosca ma che sembrano emanare violenza. È difficile capire perché, ma è così.
Alan Guiraudie ha detto che il desiderio è il più grande mistero che ci sia. Lei è d’accordo?
È una domanda che mi pongo quasi ogni giorno, ma il mistero resta. Mi chiedo perché una cosa mi attiri e un’altra invece no, e ciò che mi piace de L'uomo nel bosco e degli altri film di Alain Guiraudie è che traduce in immagini un desiderio che non siamo abituati a vedere espresso nella società. Il regista ci fa capire, e questa è la parte politica del suo cinema, che possiamo desiderare qualsiasi persona in qualsiasi momento e cambiare tranquillamente oggetto del desiderio, il tutto senza tenere conto degli standard di bellezza o sociali del nostro mondo.
Com'è diventato attore? Ha sentito "la chiamata" o è successo tutto per caso?
Non sono diventato attore casualmente. Il mondo della recitazione mi era molto familiare, perché i miei genitori sono entrambi attori, quindi avevo dimestichezza con i testi teatrali e con il palcoscenico. Confesso che all'inizio non volevo per nessuna ragione appartenere a quel contesto, ma quando ero al liceo, un amico mi ha proposto di recitare in un suo cortometraggio. Gli ho risposto di sì anche se non ne avevo molta voglia, e tuttavia l'esperienza mi ha stregato. Forse avevo solo bisogno di confrontarmi con la recitazione. Così ho continuato fino a quando non ho capito che era ciò che volevo fare nella vita.
Lei è un attore di pancia o di testa?
Sono una via di mezzo tra istinto e razionalità. Diciamo che faccio un attento lavoro sul testo, sia esso un copione teatrale o una sceneggiatura, ma a guidarmi è l'istinto. Quando arrivo su un set, so già cosa voglio provare a fare e mi sembra anche di avere un’idea di cosa succederà, ma è l'istinto a suggerirmelo, oltre alla persona con cui recito. Cerco sempre di fare in modo che ci sia uno scambio di energia fra me e la persona o le persone con cui divido una scena, e questo per vedere dove si arriva.
La cosa più bella del suo mestiere?
La cosa più bella dell'essere un attore è farsi carico di personaggi che hanno bisogno del teatro o del cinema per essere ascoltati. Quanto a me, ho bisogno del cinema e del teatro per vivere e per conoscere cose in cui non mi imbatterei nella mia vita di tutti i giorni. Recitare significa allargare un po’ la realtà e il mondo.
Tornando al tema del festival, lei è un appassionato di noir?
Non conosco benissimo il cinema di genere. Ho più familiarità con il realismo e i film a sfondo sociale, ad esempio il cinema di Ken Loach. Ammetto però che mi sono sempre piaciuti i thriller, perché spesso i thriller parlano di tante altre cose. Non mi piacciono particolarmente i film dell'orrore, ma apprezzo molto le storie che provocano angoscia. Mi piace che un film mi disturbi o che mi lasci comunque qualcosa dentro dopo che l'ho visto.
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